Abilhandicap:
valorizzare
le potenzialità delle persone


In merito alle trasmissioni divulgative in tema di Handicap abbiamo raccolto le parole di Nelson Bova, giornalista che da anni si occupa per conto della Rai di disabilità, realizzando per la sede dell'Emilia Romagna la rubrica settimanale Abilhandicap.

Federico Bartolomei

Cosa tratta nello specifico la rubrica?

Abilhandicap è nata tre anni fa con l'obiettivo di raccontare storie di persone che, per la loro disabilità, sono viste solo per i limiti e non per le potenzialità. Il termine handicap con il prefisso abile vuole dare un messaggio in questo senso. Fin dalla prima edizione la rubrica è partita dalle storie individuali, dalle abilità e dalle eccellenze nello sport, nella quotidianità, nella sfida con loro stessi e con gli altri di un individuo che ha, tra le altre cose, una non-abilità sensoriale, intellettiva o fisica.
Sono loro a raccontarsi, senza una evidente mediazione giornalistica. Raccontando loro stessi danno informazioni sulle opportunità che il territorio regionale offre, e vi garantisco che l'Emilia Romagna offre tanto, e lo scopro ogni giorno di più.
I punti di forza della rubrica sono, io credo, fondamentalmente due, al di là della qualità del prodotto che non sta a me giudicare: il fatto di essere un appuntamento settimanale fisso, al martedì, e di essere all'interno di un contenitore generalista come il telegiornale. Quest'ultimo aspetto fa si che ogni spettatore abbia la possibilità di conoscere le potenzialità di una persona disabile quasi casualmente, nello stesso modo in cui viene a conoscenza di un caso politico o di cronaca. Però Abilhandicap non ha, volutamente, legami troppo stretti con la cronaca, perché solo in questo modo può evitare lo schema uniformante del racconto di un evento legato al sensazionalismo e alla tempestività di trasmissione, meccanismi che penalizzano l'approfondimento del tema.
La rubrica non risulta nel palinsesto della Rai perché è all'interno del telegiornale, ma ditemi chi altro l'avrebbe guardata, oltre al circolo ristretto dei parenti e degli operatori, se il termine handicap fosse stato scritto tra i programmi della rete o della testata? Nessuno in più dei soliti, quindi non aiutando la causa di integrazione delle persone disabili nella società.
I miei protagonisti sono positivi, propositivi, non lamentosi: solo così il normodotato può trovare un'intesa con loro e una comprensione delle esigenze delle persone disabili.

Mi risulta che attualmente non ci siano altre trasmissioni televisive in Rai che trattano questo tema con continuità e regolarità. È così?

Credo di sì, mentre in radio c'è più attenzione, per esempio con Diversi da chi, o altre trasmissioni.
Devo anche dire che in pochi anni c'è stata una accelerazione verso la comune sensibilità a questi temi, e il 2003 anno europeo del disabile ha contribuito a che questo avvenisse.
Il termine handicap, nel 2000 quando la rubrica è stata concepita, era comunemente accettato. Ora, in pochi anni, sta assumendo una connotazione negativa. Per questo motivo dalla prossima edizione al marchio abilhandicap, ho aggiunto il sottotitolo persone con abilità, che rovescia il temine che anche l'OMS propone in alternativa a handicap: persone con disabilità.

Una puntata della prima edizione di Abilhandicap ha vinto, nel 2002, il premio giornalistico Ilaria Alpi e, al termine della seconda edizione, un'altra puntata della stessa rubrica è stata finalista. Mi sembra che ci siano i presupposti per proseguire su questa strada.

Sicuramente, anche se nell'edizione che partirà i primi di novembre ho intenzione di rinnovare alcune formule, includendo un pò di finzione cinematografica, facendo ogni tanto recitare personaggi famosi e mettendoli in una condizione di disabilità per dimostrare come le difficoltà nella conduzione della quotidianità siano spesso causate da condizioni ambientali sfavorevoli.
Se vogliamo includere il disabile nella comune condizione di diversità, di una minoranza che ha valori e potenzialità da esprimere, allora è giusto che nel termine handicap -che ha ancora un senso se lo si considera, come di fatto è, un disagio determinato da carenze della società- ci stiano anche ex detenuti, senza fissa dimora, e disagiati di ogni natura. Perciò, ogni tanto, vorrei trattare, nello stesso modo, anche altri soggetti in qualche modo penalizzati.
Considera un paradosso pensare ad una produzione cinematografica e televisiva fruibile anche dai non vedenti.

Direi proprio che non è affatto un paradosso. Il cinema, che nasce con l'immagine (si pensi al cinema muto dei primissimi tempi), si è con il tempo evoluto sperimentando nuovi linguaggi e nuove forme di rappresentazione. Quante volte la musica o la frase di un personaggio diventa l'elemento identificativo di un film?
Certo, per fare un film che sia fruibile per i non vedenti occorrono alcuni accorgimenti, come una colonna sonora che non disturbi troppo la comprensione dei dialoghi, scene senza parlato che in qualche modo facciano capire anche a chi non vede cosa sta succedendo, e così via. Come succede per il teatro, anche questo può essere un fertile terreno di sperimentazione.

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