La Romagna dei Malatesta di Paola Emilia Rubbi I Malatesta, abilissimi condottieri e generosi mecenati, protagonisti di rilevanti vicende storiche. |
C’è chi sostiene che l’essere protagonisti di “fattacci” di cronaca nera dà maggiore notorietà che l’essere, ad esempio, un mecenate, un Nobel per la chimica, o l’autore di un pregevole ciclo di affreschi del XIII secolo. Gianciotto Malatesta parrebbe la conferma di questa tesi. Vero è che in epoca in cui non c’erano i mass-media l’essere cantato da Dante nella Divina Commedia poteva dare ampia fama. Ma è un fatto che della lunga e importante storia di questa famiglia romagnola, le cui origini risalgono ad un Malatesta citato in un atto del 1186, il più famoso resta l’uxoricida e fratricida Gianciotto, che, nel 1283 “fece fuori” la moglie Francesca (figlia di Guido Minore da Polenta, sposata nel 1275) e il proprio fratello Paolo, rei di adulterio. La tragedia, si narra, ebbe come teatro la rocca duecentesca di Gradara, possente edificio a pianta quadrata, con alte torri angolari, mastio quadrangolare e cortine coronate da beccatelli e da merli. Ma la dinastia malatestiana, che si stabilì a Rimini nel XIII secolo, aderendo al partito guelfo, non solo raggiunse con i suoi componenti una notevole potenza, ma la esercitò per decenni su buona parte della Romagna e fu protagonista della storia locale per varie generazioni, lasciando anche testimonianze di alto valore culturale e architettonico. Rocche malatestiane si trovano a Cesena, a Montefiore Conca, a Verrucchio, ma qui vogliamo ricordare in particolare due monumenti eccezionali: la Biblioteca Malatestiana di Cesena e il Tempio Malatestiano di Rimini. La Biblioteca, fondata nel 1447 da Domenico Novello, signore di Cervia e Cesena, dove morì nel 1465, lasciando la città allo Stato Pontificio, è uno splendido esempio di architettura rinascimentale, ispirata alla Biblioteca di S. Marco di Michelozzo: a pianta basilicale a tre navate, vi sono conservati 340 codici manoscritti e 48 volumi a stampa. Il Tempio Malatestiano o di S. Francesco di Rimini, fu commissionato a Leon Battista | Alberti da Sigismondo Pandolfo (1417 - 1468), signore di Rimini, figlio naturale di Pandolfo III: Sigismondo fu un abilissimo e ricercato condottiero, che nel 1435 comandava l’esercito pontificio e che poi passò al servizio di Venezia e per questa Repubblica andò anche a combattere i Turchi in Morea. Ma la sua figura è contemporaneamente, ricordata come quella di un generoso mecenate che si circondò sempre di studiosi e di artisti. Per il Tempio riminese Sigismondo importò direttamente pietra dall’Istria, acquistò a Fano una partita di pietra destinata alla costruzione di un ponte sul Metauro, razziò marmi superstiti dell’antico porto romano. Come è antica e diffusa usanza in Romagna, a molti componenti della dinastia malatestiana fu dato un sopranome: così, Malatesta III (1299-1364) fu detto “Guastafamiglia”, e Malatestino, che morì a Rimini nel 1317, fu chiamato “dall’Occhio”, perché cieco da un occhio; e Dante, che nella sua Commedia cita, oltre a Gianciotto, ben altri due membri della famiglia, nomina Malatesta II da Verrucchio, che morì a Rimini nel 1312, come Mastin Vecchio (Inferno, XXVII) e il già citato Malatestino come Mastin Nuovo (id.). Quando, dunque, citiamo la pascoliana “Romagna solatìa, dolce paese ove regnaron Guidi e Malatesta...” sappiamo a chi ci riferiamo: ad una famiglia la cui signoria, di fatto, fu fondata, all’inizio del ‘300, da Malatesta II da Verrucchio sopra Rimini e altre terre della Romagna e della Marca di Ancona; una dinastia che, con i suoi componenti, fu protagonista di rilevanti vicende storiche; che ebbe riconoscimento ufficiale della signoria, esercitata già da oltre un secolo, quando, nel 1392, i Malatesta ricevettero da parte del Papato l’investitura perpetua delle loro terre; e che si estinse nel 1503, quando Pandolfo V (che morì poi nel 1534) per salvarsi da Cesare Borgia, decise di cedere Rimini a Venezia. |