faccine
Le faccine compiono 30 anni.
Da Repubblica del 23 dicembre 2012

www.repubblica.it/tecnologia/2012/12/23/news/emoticon_30_anni-49323475/?ref=HREC2-21

L'anniversario degli emoticon
le faccette compiono 30 anni
In principio furono sorrisi :-) e bronci :-( Poi arrivarono lacrime,
pernacchie, occhiolini, sguardi perplessi o annoiati. Oggi gli smile
sono entrati a far parte del linguaggio globale
di STEFANO BARTEZZAGHI

L'anniversario degli emoticon le faccette compiono 30 anni
ADESSO si chiamano emoticon, smiley o anche faccette e li si data a
trent'anni fa, nel 1982. Il mito fondativo viene ambientato alla
Carnegie Mellon University di Pittsburgh (Pennsylvania): il professor
Scott Fahlman propose la sequenza :-) per marcare i messaggi scherzosi
nelle bacheche elettroniche pre-Internet. La mancanza di segnali di
ironia, infatti, aveva già creato diversi equivoci e risentimenti
nell'informalità di quelle forme pionieristiche di scrittura.
Con l'introduzione di :-) e del suo contrario :-( il più era fatto: si
era stabilito che il segnale dovesse arrivare dopo il messaggio, come
accade con gli interrogativi e gli esclamativi (con l'importante
eccezione spagnola) e si era trovata la convenzione della rotazione di
novanta gradi del testo, o della testa (del lettore). In realtà ora
esistono anche emoticon che non richiedono rotazioni, di provenienza
sembra giapponesi: per significare "allegro" si fa così: (^-^).
Da lì le faccette si sono diffuse ovunque, la cosa è piaciuta molto: dal
sorriso e dal broncio si è passati a rappresentare il pianto, la
pernacchia, la vergogna, l'occhiolino, lo stupore, la perplessità, la
noia, l'ira; quindi si è trovato l'equivalente di "cuore" (è questo: 3
e potrebbe valere anche per "cono gelato a due palle") e si è passati a
oggetti e animali, su più righe e con uso di parecchio spazio. A quel
livello di complessità l'emoticon è parte dell'"Arte ASCII" (dal nome
dello standard di codifica dei caratteri).
Internet è piena di liste che spiegano il significato, spesso criptico,
degli emoticon. Se da un lato i programmi di scrittura traducono
automaticamente la sequenza di caratteri in un'icona vera e propria (per
:-) il tipico sole che ride), a volte anche animata, e quindi di
interpretazione più semplice, dall'altro lato la quantità di emoticon
esistenti rende necessario avere prontuari che sciolgano i dubbi. Se
qualcuno si rivolge a voi con l'emoticon del maiale :@) è il caso che lo
sappiate.
Che gli emoticon prima o poi sarebbero stati inventati se lo era già
immaginato Jean-Jacques Rousseau che, nel suo Saggio sull'origine delle
lingue, lamentava l'assenza di un "punto vocativo" (per distinguere dai
casi in cui si nomina qualcuno quelli in cui lo si chiama) e anche di un
segno grafico per manifestare l'ironia "quando il tono della voce non la
fa sentire". Più vicino, nel tempo, alla trovata di Fahlman, Vladimir
Nabokov nel 1969 aveva dichiarato di sentire la mancanza di un segno di
"sorriso", che si immaginava proprio come una parentesi "supina", per
rispondere alla domanda di un intervistatore: "Quale posizione assegna a
se stesso fra gli scrittori viventi e quelli del passato prossimo?".
Rousseau aveva notato: "Dicendo tutto come se si scrivesse, non facciamo
altro che leggere parlando". Bene, è proprio quanto faceva Nabokov, che
si descriveva così: "Penso come un genio, scrivo come uno scrittore di
prima scelta, parlo come un bambino", e infatti rilasciava interviste
solo per iscritto (anche in tv! Costrinse Bernard Pivot a un'ora di
intervista segretamente sceneggiata in anticipo).
Ma questo è anche l'esatto contrario di quanto facciamo noi, che
scriviamo tutto come se lo dicessimo. Tramite gli emoticon e altri
espedienti grafici cerchiamo di fare passare le nostre inflessioni di
voce dalla tastiera. Cantiamo, e allora allunghiamo le vocali ("Caro
aaaaamico ti scriiivooooo"). Urliamo, e allora SCRIVIAMO A TUTTE
MAIUSCOLE aggiungendo una fila di esclamativi!!!!!! Ridiamo, e allora
ricorriamo a un "gesto" alfabetico, la sigla LOL che sta per "Laughing
Out Loud", "scoppiando a ridere". Gli emoticon si inseriscono in questa
corrente di espressività grafica. Nei fumetti si usano da sempre teschi
e fulmini per simboleggiare le imprecazioni e quando Tex fa a pugni può
comparire un angioletto che suona l'arpa in un tripudio di uccellini
attorno all'avversario knock-out. Ma anche nello scritto si sono sempre
usati espedienti del genere. Chiunque si ricordi di aver ricevuto un
proprio compito corretto dal professore ha ben presente le
inequivocabili possibilità espressive insite nelle sottolineature, nei
punti esclamativi o interrogativi raddoppiati o triplicati, nella
profondità con cui la biro ha calcato le parole, segno dell'irritazione
che prelude al votaccio.
Qualche anno prima che le bacheche elettroniche della Pennsylvania
incominciassero a grondare di strane accozzaglie di simboli (da
interpretare mettendosi storti come guardando coste di libri ritti sullo
scaffale), negli zaini degli studenti italiani comparve un'agenda: la
Smemoranda. Fra le ragioni del suo successo c'era certamente il fatto di
avere le pagine a quadretti: si era liberi di scrivere ingrandendo o
diminuendo i caratteri, le ragazze trasformavano in cuori i punti sulle
i o in facce ridenti i tondi delle o, si alternavano pennarelli a colori
diversi; tutta una micro-creatività verbovisiva, magari in parte già
sperimentata nei tazebao o sui muri, trovava il suo supporto privato,
giusto in tempo per i prossimi rintocchi del riflusso. A questo
"scrivere disegnando" corrisponde poi, e da sempre, il "disegnare
scrivendo" degli alfabeti figurati (nei capolettera dei manoscritti, per
esempio), con lettere costituite da figurine di piante, animali, persone
nelle più ingegnose posizioni (anche erotiche). Né va trascurata l'arte
di compiere opere usando la macchina da scrivere, che ha probabilmente
il suo supremo interprete italiano in Massimo Kaufmann: bellissimo il
suo ritratto dattilografico di James Joyce.
L'emoticon semplice, invece, è ancora in equilibrio tra scrittura e
figura: tende al geroglifico e alla scrittura pittografica ma ritorna
subito al codice verbale: il suo compito è fare la parte della voce nel
dare forza emotiva all'invarianza dei caratteri grafici. Compare in
quelle zone di confine in cui si scrive come si parlerebbe, in cui
occorre dare da vedere all'interlocutore il sorriso che, de visu, lo
rassicurerebbe sulla benevolenza dei nostri scherzetti verbali. Un
espediente umano, l'emoticon, alla fine dei conti.
(23 dicembre 2012)
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