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Accessibilità digitale : una battaglia di civiltà, di Luciano Paschetta
Giornale uici 11\09\2013.

Autore: Luciano Paschetta
Il nostro paese, come è noto , è all’avanguardia in Europa e nel mondo
relativamente al processo di inclusione delle persone con disabilità.
Il diritto di inclusione è ormai un principio acquisito da tutti :
nessuna organizzazione politica o sindacale del nostro paese, da diversi
anni, non lo ha più messo in discussione. Tutto bene quindi:
l’integrazione dei disabili e l’attenzione ai loro problemi è ormai
un dato di fatto! Purtroppo non è così, anche se, sul piano del
diritto, la normativa garantisce l’inclusione e questa sembra essere
entrata a far parte dei diritti condivisi dalla stragrande maggioranza
dei cittadini, abbiamo piuttosto l’impressione che non si tratti di aver
maturato, a livello di massa, una “cultura dell’integrazione”, ma
piuttosto di essere di fronte ad un paese, non ostile, ma sempre più
indifferente al problema. Di questo atteggiamento troviamo evidenza
nella “disattenzione” con la quale in molte scuole e P.A. viene
affrontato il processo di “dematerializzazione”, nonostante sin dal 2004
la legge 4 (legge Stanca, abbia fissato gli standard di accessibilità
dei prodotti informatici e siano state pubblicate le relative linee guida.
In estrema sintesi, l’accessibilità” oggi dipende da due ordini di
problemi: . Una prima “inaccessibilità” riguarda l’impossibilità di
leggere un documento o un data base o una pagina su internet, dovuta al
“formato” in cui è stato redatto il documento o il data base, ossia al
programma che si è utilizzato per scriverlo. Oggi si tende a servirsi di
programmi “grafici” anche per elaborare testi, ma poiché gli screen
reader ed i display braille possono leggere solo “formati testo”, questi
documenti restano “invisibili” e ciò, non per motivi o per necessità
particolari, ma, mancando una “cultura dell’accessibilità” diffusa,
unicamente per ignoranza del problema. Un tipico esempio è dato dai
documenti redatti in pdf: spesso questi vengono salvati nel formato
pdf-immagine , risultando così del tutto inaccessibili, mentre il
programma prevede anche il salvataggio in formato pdf-testo accessibile,
del tutto sicuro e immodificabile dal destinatario allo stesso modo di
quello immagine (è appena il caso di ricordare che in formato
inaccessibile sono pubblicati la maggior parte dei testi scolastici
digitali).
Vi è poi una seconda tipologia di problemi nell’utilizzo di un CD o di
un DVD (impedendone l’accesso ai documenti che vi sono contenuti) o di
un programma di gestione o di poter navigare in internet a chi non vede
rendendogli di fatto impossibile l’uso del PC.
Come sappiamo un CD o un programma gestionale si utilizzano attraverso i
comandi che l’operatore invia al PC; inizialmente questi comandi
venivano dati da tastiera senza creare problemi ai disabili visivi.
Ora con l’evoluzione dei prodotti informatici questi sono raffigurati
sullo schermo con icone che ne rendano intuitivo l’utilizzo e sono
attivabili “cliccando” su un link o un pulsante, con il mouse o, oggi
più semplicemente, toccandoli direttamente sullo schermo. I link e i
pulsanti, però, se non “etichettati” restano invisibili alle tecnologie
assistive (screen reader o display braille), necessarie ai ciechi ed
agli ipovedenti gravi, impedendo loro di operare: navigare in internet,
accedere ad un programma, ad un sito o aprire un CD/DVD o un documento.
A questo punto si potrebbe obiettare: “Non si può certo pensare di
fermare l’evoluzione dei prodotti digitali per consentirne l’accesso ad
alcune decine di migliaia di disabili visivi”. Al di là dello scarso
senso di civiltà che avrebbe una simile affermazione e del fatto che
nella società globalizzata, i fenomeni vanno anch’essi affrontati a
livello globale, (ed allora il numero dei disabili visivi gravi
interessati al problema diventerà di circa 40 milioni), una simile
affermazione dimostra unicamente la mancanza di conoscenze ed una scarsa
“cultura dell’inclusione”. Non si tratta infatti di “fermare”
l’evoluzione dei sistemi informatici, ma unicamente nel progettare un
prodotto digitale (un sito, un programma gestionale o un sistema
operativo), o nel redigere un documento di tener presente che esso deve
poter essere utilizzato da tutti, anche da chi ha problemi visivi.
Questa attenzione non fa lievitare i costi, né rende meno belle e
attraenti le “home page”, né rende meno intuitivo l’utilizzo del
prodotto, non si tratta infatti di progettare “per i ciechi”, ma per
“tutti”. Un piccolo esempio: se al pulsante con il simbolo della
“manina”, si affianca la scritta “apri” o a quello con l’icona del
“lucchetto”,. la parola “chiudi”, il gioco è fatto.
Viceversa se il prodotto è progettato senza tener conto delle regole di
accessibilità, occorrerà poi spendere soldi e a volte non pochi) per
permetterne la fruizione ai disabili visivi. Questo è quello che succede
tutti i giorni nelle nostre scuole, nei servizi e nella pubblica
amministrazione: i libri di testo, oggi (anche quelli stampati su carta)
sono redatti su file, questo però quasi mai è accessibile, e quindi
perché il disabile visivo possa servirsene, occorrerà prima di tutto,
o scansionarlo dal cartaceo con un OCR, o trasformare il file immagine
in formato testo, con due conseguenze negative: nuovi costi e un ritardo
nella disponibilità del libro. Tutte le Banche hanno ormai l’home
banking, ma poche sono quelle che lo hanno progettato secondo i canoni
dell’accessibilità e ancor meno sono gli sportelli bancomat accessibili.
Regioni, province e comuni hanno siti sovente non o scarsamente
accessibili e i documenti (delibere, regolamenti, direttive, bandi e
ordinanze) spesso sono in formato immagine, stessa cosa si verifica sui
siti di molti ministeri dove leggi e documenti sono in pdf inaccessibile.
Questa generale “sine cura” verso il problema si verificava mentre nel
marzo 2009 il Parlamento italiano ratificava la Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità approvata a New
York il 13 dicembre 2006 (successivamente fatta propria anche dall’UE
nel dicembre 2010), che individuava, nell’articolo 9 nel principio
dell’accessibilità digitale uno degli elementi principali per garantire
pari opportunità, e mentre il nostro Governo, dimostrando particolare
attenzione al problema, nel DECRETO 169 (“Decreto crescita 2.0
“convertito in legge il 12.12. 2013) ribadiva all’articolo 9 l’obbligo
di applicazione della normativa sull’accessibilità ne puntualizzava
alcuni ulteriori aspetti. Inoltre, con la recente Circolare 61/2013,
l’Agenzia per l’Italia Digitale, sulla base delle modifiche previste nel
succitato D.L. 179, dettava ulteriori indicazioni operative in tema di
accessibilità, ribadendo in maniera puntuale l’importanza dei principi
enunciati dalla legge Stanca e definendo le sanzioni per chi non vi
ottempera.
La conoscenza delle tematiche sull’accessibilità informatica, per il
ruolo che rivestono le nuove tecnologie nel nostro vivere e lavorare
quotidiano, è un aspetto importante di quella che chiamiamo “cultura
dell’inclusione”, che dovrebbe avere nella scuola lo strumento naturale
di diffusione e nella pubblica amministrazione un esempio di attenzione.
Viceversa nelle PA permane questa colpevole “non conoscenza” che si
evidenzia nella verificata inaccessibilità dei siti di molte scuole
Enti locali. Ciò trova conferma anche nella non curanza dimostrata da
troppi pubblici dirigenti che, nell’acquistare i programmi per la
gestione dei registri scolastici e controllo delle assenze o quelli
per i servizi di certificazione o di quelli gestionali, non si sono
preoccupati di verificare se questi fossero conformi alle prescrizioni
che derivano dalla normativa e dalle linee guida sull’accessibilità
informatica e fossero accessibili a tutti, non solo trasgredendo alla
norma, ma innalzando, in tal modo, nuove barriere e ostacoli
all’inclusione dei disabili visivi nella società.
Questo è un ulteriore esempio di come per concretizzare l’inclusione
sociale e scolastica non siano sufficienti le norme: anche
l’accessibilità digitale passa attraverso l’impegno attivo di ciascuno
a prenderne consapevolezza ed a collaborare nello sviluppare una
cultura basata sul rispetto e l’attenzione all’altro, alle diversità e
sulla conoscenza dei suoi bisogni. Su questi principi, che oltre ad
essere indicatori di “civiltà”, e che, lungi dall’essere “moralistici”
sono quelli su cui si basano le moderne ricerche di mercato, devono
fondarsi lo sviluppo e la diffusione della “cultura dell’inclusione”,
di cui quella sull’accessibilità è oggi un aspetto essenziale, capace di
offrire a ciascuno pari opportunità. Un bell’esempio positivo in questa
“battaglia di civiltà” ci viene dall’attenzione al tema dimostrata
dalla Apple, che prima nel creare il suo i-phone e il suo i-pad e
subito dopo adeguando i suoi PC, produce oggi strumenti completamente
accessibili a tutti rendendoli immediatamente utilizzabili anche da
coloro che abbiano una grave disabilità visiva. Il successo di mercato
avuto da questi prodotti sta costringendo gli altri costruttori ad
adeguarsi il più velocemente possibile al nuovo standard, dotando anche
i loro apparecchi di sistemi operativi direttamente accessibili,
superando, per poterli usare, la necessità, finora imposta a coloro che
avevano difficoltà visive, di dover acquistare degli specifici software
aggiuntivi per poter accedere alle nuove teconologie, dando il via ad
“una nuova stagione” dell’accessibilità digitale.
Questa battaglia di civiltà vede l’U.I.C.I. impegnata quotidianamente
nella diffusione dei principi dell’accessibilità e nel fornire
consulenza a chiunque ne necessiti per rendere fruibili ai disabili
visivi tutti i prodotti informatici.
giornale.uici.it/accessibilita-digitale-una-battaglia-di-civilta-di-luciano-paschetta/
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