lenti
la frenata di Google sui superocchiali: non teneteli addosso troppo a lungo
Art. inviato in privato da Donato Taddei, 20\02\2014, h. 13.41.

io sono convinto che dalle tecnologie connesse ai superocchiali di Google potranno derivare  utili 
applicazioni in grado di migliorarci la vita, specie
sul piano dell'autonomia personale, del riconoscimento di luoghi e immagini e di quello che si 
chiama la "computer vision" e perciò posto questo articolo
dal Corriere con un report sulla sua sperimentazione.
www.corriere.it/tecnologia/14_febbra
io_20/non-teneteli-addosso-troppo-lungo-frenata-google-super-occhiali-8e6f21b4-9a02-11e3-b054-e71649f9da68.shtml 
 
«Non teneteli addosso troppo a lungo»
La frenata di Google sui super occhiali
Le regole per usare le lenti.
Timori
dopo alcuni casi sospetti di emicrania
Dal nostro inviato Massimo Gaggi
NEW YORK — Arrivano i comandamenti di Google per l’uso dei suoi occhiali digitali: una mossa per 
cercare di evitare che i «Glass» inciampino alla prova
del mercato (quando arriverà) non perché non abbastanza innovativi sul piano tecnologico, ma per 
l’ostilità che rischia di diffondersi tra la gente. È
dall’estate scorsa che, davanti ai primi incidenti di cui sono stati protagonisti i collaudatori 
del nuovo rivoluzionario prodotto dell’azienda californiana,
Google esorta i 10 mila «esploratori» ai quali ha venduto (per 1.500 dollari) i prototipi dei 
Google Glass a essere tolleranti e cortesi con chi li guarda
con sospetto.
«Don’t be a glasshole», traducibile con «non comportarti come uno str... con gli occhiali», è da 
mesi una specie di mantra in rete e nelle esortazioni
della società di Mountain View agli sviluppatori. Ma gli incidenti continuano a ripetersi: 
collaudatori che entrano in locali pubblici con gli occhiali
digitali e vengono respinti o che rifiutano di toglierli davanti alle rimostranze di clienti e 
gestori, decisi a tutelare la loro privacy. Ecco, così,
che l’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin corre ai ripari e pubblica in Rete una sorta di 
galateo che elenca le cose da fare e quelle da evitare.
E, come al solito, i divieti colpiscono più delle esortazioni: «Non usare i “Glass” quando fai 
sport che comportano impatti fisici: non è consigliabile
indossare i nostri occhiali mentre cavalchi un toro in un rodeo, sei impegnato in un incontro di 
“cage fighting” o fai sci d’acqua». E poi, ancora, «non
indossare gli occhiali troppo a lungo: fallo per quello che ti serve e poi torna alle tue normali 
abitudini. Non pretendere di leggere “Guerra e pace”
sul piccolo schermo di questo apparecchio, usane uno di grandi dimensioni». Una prescrizione 
probabilmente suggerita anche dal fatto che alcuni sperimentatori
che hanno provato a vivere coi «Glass» perennemente sulla fronte sono arrivati alla sera con un bel 
mal di testa.
Ma, soprattutto, quella di Google è un’esortazione agli esploratori a non comportarsi in modo rude 
(anche il gigante di Mountain View usa, senza remore,
il termine «Glasshole») quando si trovano davanti gente contrariata dall’uso di questo nuovo 
oggetto tecnologico capace di fotografare e filmare tutto
quello che compare davanti agli occhi di chi lo indossa: «Non siate bruschi, spiegate cosa si può 
fare di buono con questo strumento, magari fatelo provare
per qualche attimo al vostro interlocutore. E non usatelo nei luoghi nei quali è proibito attivare 
fotocamere e telefonini. Ricordate che, se siete scortesi,
danneggiate e “Glass” e gli altri “Explorers” che li stanno testando».
Niente di strano nell’iniziativa: era evidente fin dall’inizio che l’introduzione di uno strumento 
rivoluzionario, un occhio ubiquo, nel mondo già «surriscaldato»
delle tecnologie digitali che hanno profondamente alterato i nostri comportamenti e compresso la 
privacy, avrebbe creato ulteriori tensioni. Che qui a
New York la società ha, ad esempio, cercato di smussare creando una specie di «Glass academy» nei 
suoi uffici di Chelsea: un luogo dove educare i suoi
«Explorer». Fin qui, però, più che delle buone maniere, Google si era preoccupata di evitare che 
gli sviluppatori mettessero a punto applicazioni troppo
invasive della privacy, come, ad esempio, quelle basate su tecnologie per il riconoscimento 
facciale. Sapendo di correre rischi seri, l’azienda ha evitato
di usare queste tecnologie e ha invitato gli «Explorer» a fare altrettanto. Con un successo 
relativo, visto che qualche sviluppatore già prepara applicazioni
che possono consentire a chi indossa gli occhiali di risalire, dal volto della persona che ha 
davanti, alla sua identità ricostruendo in tempo reale anche
i tratti essenziali: età, professione, se è sposata o no, se ha figli. E magari anche gusti, 
passioni sportive, interessi culturali.
A quasi due anni dall’inizio delle sperimentazioni, alcuni impieghi professionali degli occhiali 
(che potrebbero essere venduti negli Usa a partire da
fine 2014) sono stati individuati: ci sono chirurghi che hanno cominciato a usarli sperimentalmente 
in sala operatoria, la polizia di New York li sta collaudando
per capire se possono essere utili agli agenti che pattugliano le strade. E la compagnia aerea 
Virgin Atlantic, quella del miliardario-visionario Richard
Branson, ha cominciato a mettere questi occhiali a disposizioni dei suoi clienti di prima classe 
nella «lounge» dell’aeroporto londinese di Heathrow. Ma
davanti ai tanti episodi capitati nei mesi scorsi — gli occhiali messi al bando da molti locali 
pubblici, una donna sorpresa al volante coi Glass, processata
e non multata solo perché non c’era la certezza che fossero accesi mentre guidava — Google si è 
resa conto, come ha scritto anche TechCrunch, uno dei siti
di tecnologia più seguiti, che la sua sfida principale a questo punto non è tanto quella di 
migliorare la piattaforma tecnologica, quanto rendere accettabile
l’immagine degli occhiali davanti al grande pubblico. Massimo Gaggi
20 febbraio 2014
Torna all'indice