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Intervista al neo-presidente uici Mario Barbuto.
Giornale uici, 04\04\2014.

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Intervista a Mario Barbuto, Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli 
Ipovedenti, di Luca Ajroldi.
Autore: Luca Ajroldi.
D.: Presidente, qual è stato il suo primo pensiero dopo l’elezione?
R.: L’enorme responsabilità di gestire un’associazione così grande e così importante.
D.: Questo le ha fatto paura?
R.: No, non mi ha fatto paura. Però è stato un pensiero che mi ha dato il senso della 
responsabilità. Diventare il Presidente di questa grande associazione che vive da 95 anni e che ha 
accumulato valori, acquisito obiettivi, conquistato traguardi che abbiamo il dovere prima di tutto 
di tutelare per poi, possibilmente, spostare l’asticella ancora un po’ più in là.
D.: Presidente quale sarà la Sua parola d’ordine?
R.: Le parole d’ordine saranno tre: efficacia, efficienza, risultati.
D.: Qual è il cammino che si è proposto di portare avanti per l’Unione Italiana Ciechi e ipovedenti 
in una situazione oggettivamente di grande crisi come quella che stiamo vivendo oggi in Italia, con 
politiche che spesso infieriscono sempre di più sulla pelle dei più deboli?
R.: L’obiettivo generale è garantire, sempre di più, il diritto di cittadinanza alle persone non 
vedenti ed alle persone ipovedenti per renderli pari tra pari, cittadini con la loro dignità come 
tutti i cittadini. Sembra l’affermazione di una banalità, che la nostra Costituzione già riconosce, 
ma ancora, oggi troppo spesso, ciò non avviene nella vita quotidiana. La nostra Unione vive e 
funziona perché può contare su 50.000 iscritti e ha sezioni in tutto il territorio nazionale; molte 
di queste sezioni però oggi sono in difficoltà per ragioni anche finanziarie e noi le vogliamo 
aiutare.
Inoltre, capisco bene che occorre allargare anche l’orizzonte delle possibili risorse economiche, 
che non possono più dipendere solamente dall’intervento pubblico ma che devono incrementarsi anche 
con azioni diverse, come il 5×1000, la raccolta fondi, la partecipazione a progetti europei. Il 
tutto ovviamente deve essere finalizzato alla creazione di una sempre maggiore opportunità di 
servizi, da quelli più classici ma fondamentali, quali l’istruzione, la possibilità di lavorare e 
di avere diritto a una vita dignitosa dopo il lavoro per le persone anziane, ma anche la 
possibilità di avere accesso a sempre nuovi strumenti tecnologici per comunicare.
D.: Non ha il timore che l’avanzare della tecnologia, in realtà emargini il non vedente invece di 
aiutarlo a crescere?
R.: No, non credo ci possa essere questo rischio, anche se è vero che molte soluzioni tecnologiche 
non sono progettate secondo i canoni dell’accessibilità. Faccio solo un esempio, la radio: il 
semplice apparecchio radiofonico, che per tanti decenni è stato uno degli amici più fedeli delle 
persone non vedenti e ipovedenti, oggi, per funzionare, ha spesso modalità di gestione totalmente 
digitali, con display a sfioramento; ed è vero, questo ne rende molto più complicato il suo 
utilizzo. Basterebbe però aggiungere una piccola sintesi vocale per guidare il non vedente o 
l’ipovedente e il problema sarebbe facilmente risolto. Questo è già stato fatto per esempio negli 
ascensori, è già stato fatto sulle scatole delle medicine con le diciture in braille, perché non si 
deve fare anche per la radio e altri elettrodomestici di uso quotidiano?
In ogni caso alla tecnologia dobbiamo molto. Pensiamo soltanto al fatto che oggi le persone non 
vedenti e ipovedenti possono leggere, regolarmente ed autonomamente, tutta la stampa quotidiana; 
mentre 20 anni fa, o forse anche solo 10, ne erano invece totalmente esclusi.
D.: Il Presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti davanti al problema dei falsi 
ciechi. Cosa intende fare?
R.: Le cose da fare sono poche ma importanti. La prima: perseguire realmente coloro che abusano 
della condizione di cecità, ricordando però che se esiste un “falso cieco” esiste anche una 
commissione pubblica che lo ha classificato come cieco; quindi per estirpare il fenomeno dei falsi 
invalidi, il concetto di falsità andrebbe esteso e non limitato solo alla sola persona che 
percepisce indebitamente l’emolumento.
Secondo, occorre formare le forze dell’ordine affinché quando debbano compiere delle indagini 
relativamente ai falsi ciechi lo possano fare con cognizione di causa. Capita talvolta di leggere 
nei verbali che “la tal persona è sicuramente un falso cieco perché sta utilizzando un iPhone”: 
certamente chi ha scritto il verbale non sa che cosa un non vedente può fare con un iPhone.
Il terzo aspetto che io ritengo fondamentale riguarda la necessità di sviluppare una campagna di 
informazione che permetta davvero di far conoscere ai cittadini che cosa una persona cieca o 
ipovedente sia in grado di fare e come lo possa fare. Un cieco è quella persona che vive in mezzo a 
tutti noi, che si muove da solo, che sa camminare per strada, sa riconoscere il portone di casa sua 
e ci sa entrare, sa aprire la porta di casa, sa piantare un ombrellone sulla sabbia. Questi che 
faccio, sono tutti esempi riportati nei verbali delle forze dell’ordine e nei media a dimostrazione 
del fatto che una persona fosse un “falso cieco”. Ecco, se gli esempi del falso cieco sono questi, 
siamo fuori strada, perché queste cose i ciechi le fanno, qualcuno fa anche qualche cosa di più 
“pazzo”. Per esempio io stesso, quando ero un pochino più giovane, andavo in bicicletta, in strade 
non troppo trafficate, con un amico che mi teneva la mano sulla spalla. Cerchiamo quindi di capire 
bene che cosa vogliamo comunicare: chi sono i ciechi e che cosa possono fare; non siamo neppure dei 
fenomeni, anche se a volte ci presentano come tali solo perché, appunto, siamo in grado di 
utilizzare un iPhone!
D.: Beh alcuni campioni sportivi, secondo me, sono veramente dei fenomeni.
R.: Ma perché appunto sono dei campioni sportivi, non perché sono ciechi! Come è un fenomeno il mio 
amico Andrea Bocelli, che è un fenomeno della canzone e della lirica, però la cosa non dipende 
dalla sua disabilità.
D.: Lo è a prescindere!
R.: Certo, è un fenomeno a prescindere, come lo era Pavarotti, come lo è Carreras, come lo sono 
altri, con le loro normalità, le loro mediocrità, le loro eccellenze e le loro capacità.
Siamo un pochino stanchi – e in questo sto pensando anche alla politica – di quello che si sente 
dire, per esempio, quando si parla di taglio della spesa pubblica. Va bene, facciamo le valutazioni 
che si devono fare e tagliamo la spesa pubblica. Però per favore basta con questa storia delle 
spese improduttive per le persone con disabilità; le persone con disabilità sono persone con la 
loro dignità. Molte di queste spese, cosiddette improduttive, in realtà servono per garantire loro 
un’adeguata formazione; questo consentirà poi di trovare un lavoro, e lavorando diventeranno 
produttivi e pagheranno le tasse come tutti gli altri; dall’altro lato queste spese garantiscono 
l’accesso alle forniture tecnologiche consentendo loro di muoversi in modo autonomo, studiare, 
svolgere lavori un po’ più complessi di quelli che oggi fanno. Significa anche, per coloro che si 
trovano già nella terza età e in una condizione di difficoltà effettiva, avere quell’atteggiamento 
di riconoscenza e attenzione verso le persone più in difficoltà della nostra società. E questo non 
riguarda solo i ciechi, ma tutte quelle persone che, per ragioni fisiche o legate a malattie, 
all’età o anche per ragioni infortunistiche o semplicemente perché non hanno dei redditi elevati, 
si trovano in condizioni di disagio economico.
Li vogliamo buttare nella spazzatura tutti quanti? Continuiamo a chiamarle spese improduttive? Io 
non credo sia questo l’approccio corretto.
Se vogliamo parlare degli sprechi, è facile fare demagogia, dalle macchine di rappresentanza, i 
mille onorevoli, e così via… ma io credo davvero sia demagogia, e alla fine si tratterebbe comunque 
di piccoli risparmi, diciamoci la verità, anche se a volte stride un po’ vedere quello che si fa 
utilizzando i fondi del gruppo politico regionale, dall’acquisto della casa in campagna, fino ad 
arrivare alla biancheria e ai prodotti di bellezza…
D.: O alle feste romane….
R.: Certo, le feste e le cene. Anche se purtroppo questo non basta a salvare la spesa pubblica.
D.: Però ne salva la moralità…
R.: Certo, sicuramente darebbe più dignità e credibilità a chi deve proporre di tagliare le spese 
per gli altri, perché è sicuramente più accettabile tagliare la spesa pubblica se chi lo propone ha 
già cominciato a tagliare le sue, di spese pubbliche.
Facciamo attenzione però. Per quanto riguarda l’accertamento dell’invalidità, l’Inps dal 2009 al 
2012 ha compiuto 800.000 accertamenti sulle persone che già riscuotevano la pensione, spendendo 
oltre 30 milioni di euro. Da queste indagini, in prima istanza, è emerso che circa il 25% di queste 
persone non ne avevano diritto ed è stata revocata loro la pensione, con enormi e ovvie sofferenze. 
Poi queste persone hanno fatto ricorso e l’Inps ha dovuto sostenere altri costi, anche per pagare 
gli avvocati, e le altre spese legali.
Di questi ricorsi ne ha persi il 97%. Alla fine, delle 800.000 persone sulle quali sono state 
svolte le indagini, solo il 3% è risultato essere un falso invalido, stiamo parlando di quattro o 
cinquemila persone su 800.000, ripetiamolo…
Se vogliamo risparmiare e si vogliono veramente razionalizzare le spese, lo dobbiamo fare tagliando 
davvero gli sprechi, la demagogia non serve a nulla.
D: Presidente, grazie e buon lavoro.
Luca Ajroldi
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