PAESI SENZA TEMPO
“Luoghi immaginati in sogno, irreali, quasi
miraggi in un contesto d’ambiente e di civiltà che appartiene totalmente
al terzo millennio”.
Paola Rubbi
Paesi
senza tempo. Paesi che il tempo ha coperto di silenzio e di abbandono e che
oggi si possono riscoprire con un’emozione particolare, come
se si approdasse ad una terra vergine di cui si può solo immaginare la
vita che vi si svolse in epoche ormai lontane. Sparsi per la nostra Penisola
di questi borghi - piccoli o meno piccoli - ce ne sono senz’altro non
pochi, ma due, in ispecie, diversissimi fra loro, possono essere considerati
speciali luoghi immaginati in sogno, irreali, quasi miraggi in un contesto d’ambiente
e di civiltà che appartiene totalmente al terzo millennio.
Immerso nel verde compatto e variegato dei boschi appenninici di quell’Emilia
montana che è ormai Toscana, in comune di Camugnano, Chiapporato si nasconde
completamente, fuori dalla rete viaria transitabile con i mezzi moderni, al
termine di un sentiero sassoso da percorrere a piedi o a cavallo, accompagnati
dal suono del ruscello che precipita dalle pareti scoscese e costituisce l’acquedotto
del borgo. Dopo c’è il silenzio, perché in questo pugno
di case abbandonate, quasi tutte diroccate, oggi abitano solo due persone, che
comunicano con il resto del mondo mediante CB e che illuminano le loro serate
e le loro notti con lanterne a petrolio.
Qui, nel passato, ha vissuto una comunità di famiglie la cui principale
attività era quella di carbonai e ancora si possono riconoscere i luoghi,
in mezzo
ai boschi, dove questa gente trasformava, col fuoco, la legna in carbone e nell’aria
si alzavano candide volute di fumo, unico segnale di vita.
Piccoli sentieri rinserrati fra case di sasso dai tetti spioventi per fare scivolare
la neve e dalle minuscole finestre dalle spesse imposte per difendere meglio
dal vento e dal freddo le abitazioni. Arbusti e cespugli rigogliosi spuntano
da quelle stesse finestrelle ormai senza vetri, si attorcigliano a incredibili
balconcini in ferro battuto, dilagano davanti alle porte sbarrate, sui gradini
di brevi scale di legno o di sasso. Alta sull’abitato, incredibilmente
grande e si può dire imponente per la modestia e l’esiguità
dell’agglomerato abitativo, una chiesa (che ora la Curia, fra mille difficoltà
anche operative, sta restaurando) con accanto il piccolo, sereno cimitero, invaso
dai fiori selvatici.
Qui non compare alcuno dei segni del consumismo; il rumore del silenzio
fa compagnia a chi, arrivando, sente il bisogno di toccare i muri antichi,
le inferriate arrugginite, le pietre consunte degli abbeveratoi, le panchine
di sasso
appoggiate alle case, appoggiate alle case, per assicurarsi di essere sveglio,
di trovarsi in un luogo reale. Qualcuno sta tornando e avvia lavori di
recupero dell’edificio che fu dei nonni o dei bisnonni. La pace senza
tempo di Chiapporato sta per essere infranta?
È senza punto interrogativo la stessa frase, se riferita all’altro
paese di cui vi vogliamo parlare: Civita di Bagnoregio, nel
Viterbese, che fino a qualche anno fa veniva definita la città che muore
per il quasi totale abbandono in cui era caduta, ma che ora è ravvivata
da lavori di consolidamento e di restauro degli edifici, che stanno attirando
sempre più l’interesse di italiani e di stranieri, anche per la
straordinarietà dell’ambiente.
Definire questo villaggio suggestivo è dire poco. Civita, essenzialmente
medievale e quattrocentesca nelle sue strutture, sorge in un fantastico paesaggio
di tufo a forma di tronco di cono, aggredito dalle frane e raggiungibile esclusivamente
a piedi, percorrendo un lungo ponte sospeso sulle forre circostanti
l’altopiano. Al termine del ponte, si accede al silenzioso borgo attraverso
una porta medievale che immette in un’angusta via sassosa, sulla quale
si affacciano edifici anche di pregio architettonico, ma in abbandono.
Di qui sono passati, distruggendo, Goti e Longobardi; Orvieto e Monaldeschi
si sono contesi a lungo queste terre.
Adesso, a Civita, al contrario di quanto avviene a Chiapporato, si trova qualche
piccolo rustico bar, qualche bancarella di souvenirs, perché - sempre
al contrario del minuscolo borgo appenninico emiliano - Civita gode di una sua
notorietà ed è ben visibile, nel suo fascino irreale di irreale
apparizione, dai luoghi circostanti.
Anche qui c’è una chiesa importante, che fiancheggia una piazzetta
che si dice insista su quello che fu il Foro dell’epoca romana: è
la chiesa di S. Donato, risalente all’VIII-XI secolo, rimaneggiata e impreziosita
da un Crocefisso ligneo di scuola donatelliana. Piccoli giardini si affacciano
sulle mura del borgo; siepi spontanee ornano viottoli e stradine scoscese. Nelle
sere d’estate in piazza si può ballare con un violino e una fisarmonica,
sul pavimento di terra battuta. Cocomero e vino dei Castelli sui tavoloni di
assi, coperti da tovaglie di carta. Il tempo si sta riappropriando di Civita.