IL
CIBO DEL BUIO
“Entrare
in una stanza, conoscere l’Angelo cioè la persona che silenziosamente
ti guida, mangiare, colloquiare e tutto nel buio più totale.’’
“Una cena al buio’’ è una delle tante iniziative
culturali promosse dall’Istituto Cavazza realizzata con l’aiuto
di un gruppo di artisti.
Irene Schiff
Cosa si prova a non poter vedere anche se solo per tre ore?
Senza respiro il buio accende la propria paura incolore.
Posso immaginare quello che provi, ti capisco. Non è vero niente, non
si può immaginare quello che prova una persona non vedente, non si
può capire come vive giorno dopo giorno ma anche ora dopo ora. Strana
sensazione. Il buio che tocca l’anima e poi il contatto con ciò
che non vedi: una forte emozione. Un’esperienza dolce, incredibile e
un mondo che non si può spiegare, quello del buio totale. Grazie.
D’altra parte quando capita ad un vedente di non essere in grado di
vedere? Forse quando va via la corrente elettrica in casa? Ma anche in questo
caso il vedente si trova in un’ambiente che conosce; bene, se è
nella propria casa, un po' meno, se in quel luogo non vi era mai stato. Comunque
fino a qualche attimo prima l’aveva visto quindi ne conosceva le dimensioni,
la disposizione degli oggetti, aveva già impresso la piantina nella
propria mente. Diverso è entrare in un’ambiente mai visto, cioè
mai conosciuto, cioè mai vissuto anche interiormente. Un’esperienza
straordinaria da intendersi nel doppio significato, quello propriamente
etimologico, extra-ordinarius, cioè fuori dal solito e quello
più emotivo, cioè bellissima. Questo è quello che hanno
provato gli invitati alle Cene al buio organizzate all’Istituto Cavazza.
L’esperienza è stata unica nel suo genere per molti dei commensali.
Entrare in una stanza, conoscere l’Angelo cioè la persona che
silenziosamente ti guida, mangiare, colloquiare e tutto nel buio più
totale. Ed ecco che insorgono le
prime difficoltà tecniche: dov’è il piatto? Infilare un
cucchiaio in bocca, esperienza banale e quotidiana eppure così nuova
e difficile. Conoscere l’altro, conoscere l’Angelo. Gli tocco
il viso o le tocco il viso perché non so neanche se è un uomo
o una donna ma poi ci si accorge che poco importa perché l’Angelo
è il Virgilio di Dante che ti accompagna nel viaggio della Divina Commedia
della realtà quotidiana. Ne valeva la pena; il mio angelo era incredibile.
Ed anche al buio l'angelo era un demonio. Perché conoscere
l’altro è prima di tutto il capire che occorre conoscere se stessi;
e il buio ti aiuta a farlo.
Abituati ad un mondo dove l’immagine è tutto, dove il farsi notare
è così importante e poi di colpo il trovarsi ad immergersi in
una nebulosa dove non so neanche chi è seduto al tavolo vicino. Allora
capisco che esistono altri modi per comunicare. Nel buio, come alla luce,
puoi capire che l’essenziale è invisibile agli occhi, un’esperienza
illuminante. Quando si arriva a comprendere ciò, si è compreso
che non esiste solo la vista, ma anche che i sensi non sono solo cinque. Possiamo
non accorgerci di ciò che è ben visibile intorno a noi così
come il nostro cervello può vedere senza che noi ce ne rendiamo conto.
Bastano poche frazioni di secondi perché un’immagine entri nel
nostro cervello senza che noi ce ne possiamo accorgere, eppure questa immagine
può condizionare il nostro pensiero e di conseguenza le nostre azioni.
Si tratta del fenomeno della percezione sub-limare. Comunque vogliamo metterci
in contatto con gli altri e con noi stessi, vi riusciamo bene solo quando
lo facciamo con il cuore.
Una serata sinceramente sentita. Anche i sorrisi non visti danno tantissimo;
li ho sentiti.
Cosa si può dire quindi di un’esperienza così
particolare?
I commensali hanno lasciato dei brevi scritti come ricordo, commento e ringraziamento,
al termine di questa serata; le stesse frasi che sono state riportate in stampato
maiuscolo in questo testo. Volevamo prendere spunto da queste osservazioni
per svolgere un approfondimento sul tema, valutando anche se potessero esistere
differenze fra come era stata vissuta l’esperienza da persone più
o meno giovani, da uomini e da donne e ancora calcolando altre variabili.
Purtroppo il materiale non è risultato sufficiente per un approfondimento
più completo. Si è, comunque, potuto osservare un vissuto di
meraviglia per le sensazioni mai provate e che andavano oltre ogni ipotizzabile
immaginazione. Altro dato importante è stato lo sconvolgimento dei
propri punti di riferimento: i normodotati sono abituati a vedersi nello spazio
e a vivere inconsciamente questo spazio. I concetti di alto-basso, sopra-sotto,
qui e là sono così diventati parte integrante del modo di pensare.
Solitamente la visione di un vedente va dal generale al particolare (prima
vedo una sedia interamente poi
mi accorgo che ha dei fregi o i braccioli inclinati), il non vedente toccando
la sedia va dal particolare al generale, prima cioè si accorge dei
fregi e dei braccioli poi arriva alla rappresentazione totale della sedia.
Anche il quotidiano parlare con qualcuno cambia se lo facciamo alla luce o
al buio. Tutto questo ha contribuito a creare una forte emotività.
Certo il sapere che si trattava di un invito a cena, che dopo tre ore tutto
sarebbe tornato normale, che la vista avrebbe ripreso il sopravvento sugli
altri canali percettivi è stato un elemento altamente tranquillizzante
come lo è stato, appositamente per sdrammatizzare e per dare un'atmosfera
di serenità alla serata, il comportamento del Presidente (Il Presidente
ha disturbato dall’inizio alla fine, però con il suo modo di
fare, dire, picchiettare, ha creato un ambiente divertente, affrontando le
ansie dei commensali).
Guardando
nel buio o nella luce, posso percepire due realtà diverse, il vaso
e due volti