di Silvia Colombini
Giorgio Comaschi e la capacità di vedere oltre con ironia e fantasia.
“Lunedì mattina,
colazione al Bar Baldi angolo via Arienti con via Castiglione. Lì,
tra cappuccini e brioches, ho imparato a conoscere e ad apprezzare l’ironia
dei frequentatori dell’Istituto Cavazza che commentavano con me i risultati
calcistici.”
Giornalista sportivo, autore di programmi televisivi, testi teatrali e libri,
profondo conoscitore di Bologna, Giorgio Comaschi racconta la sua esperienza
con il mondo dei non vedenti. Umorista capace di illuminare con una battuta
il lato oscuro delle cose, Comaschi ha scoperto che spesso sono proprio i
cosiddetti disabili ad essere più capaci a sdrammatizzare con intelligenza
e sensibilità i fatti della vita.
“Per anni ho condotto un programma radiofonico su Rai 2, si chiamava:
Quelli che la radio. Insieme a me lavorava Enzo Petreni: grande talento, imitatore
formidabile e cieco. Aveva una voce meravigliosa, capace di mille sfumature
che unita ad un’intelligenza acuta lo faceva arrivare dritto al cuore
degli ascoltatori. La radio è il mezzo che più di tutti permette
di coltivare fantasia e immaginazione.
Due doti che io considero importantissime e di cui purtroppo in questi tempi
sentiamo spesso la mancanza.”
È un sabato mattina in un bar di via Murri e Bologna si sveglia per
andare incontro ad un fine settimana primaverile fatto di shopping, giri sotto
al portico del Pavaglione, aperitivi e due passi ai Giardini Margherita. Una
Bologna forse un po’ ferma a certi riti irrinunciabili, cordiale ma
con lo sguardo che non oltrepassa le sue mura fatte d’abitudini, buon
vivere e provincialismo. Una Bologna dove fantasia e immaginazione fanno fatica
a farsi sentire. Comaschi si guarda intorno e sospira.
“Non credo che Bologna sia una città aperta come dicono, anzi,
la trovo chiusa, diffidente, qua ci giriamo dall’altra parte se vediamo
un’automobile targata Ferrara, figuriamoci quando incontriamo qualcosa
o qualcuno che rappresenta il diverso. A Bologna ognuno vive nel proprio cortile.
Credo che iniziative in grado di coltivare nuove prospettive andrebbero maggiormente
coltivate.
Le Cene al Buio dell’Istituto Cavazza per esempio. Purtroppo non vi
ho mai partecipato ma credo che siano un modo intelligente e creativo di condividere
un’esperienza tra chi vede e chi no.
Basta aprirsi ad un modo diverso di affrontare una cosa normale come mangiare.
Inoltre trovo che siano ricche di suggestioni teatrali e spero che l’Istituto
le organizzi di nuovo. Questa volta non voglio perderle.”
Comaschi ha ragione. A volte, così presi dalla gabbia di ogni giorno,
non ci permettiamo di volare fuori dagli schemi che abbiamo intorno e di vedere
oltre le nostre abitudini.
“Trovo molto interessante il nome della vostra rivista. Vedere oltre
è una filosofia che dovremmo applicare tutti. Basta alzare lo sguardo
per acquistare la capacità di capire come e dove stiamo andando e riflettere
per fare andare le cose nella giusta direzione. È una questione di
sensibilità che un non vedente è costretto a sviluppare, ma
che ognuno di noi dovrebbe imparare a coltivare. Ecco, una persona che io
conosco capace di vedere oltre è il mio amico Dino Zoff. Una volta
mi ha detto che lui prima di tutto è un portiere. Uno che deve essere
sempre pronto a prevedere, ad evitare l’imponderabile, e che ha imparato
ad applicare il suo ruolo di portiere anche alla vita di ogni giorno. Parare
e prevedere, vedendo oltre le apparenze con la forza dell’immaginazione
che, in fondo, sia per chi vede sia per chi non vede, è il dono che
nessuno ci potrà mai togliere.”
La colazione è finita, Bologna è sempre Bologna, ma adesso possiamo
immaginarcela migliore, capace un giorno anch’essa di guardare più
in là della via Emilia. Adesso, mentre salutiamo Comaschi che ci ha
regalato un momento di fantasia, ci permettiamo il lusso di vedere oltre questo
sabato pigro, di immaginare e di sperare che le parole e la cultura siano
ancora capaci di cambiare il mondo.