Oltre il mouse la mano
e oltre la mano...

di Francesco Levantini

La rivoluzione ergonomica dell’Iphone.


Sneodco uno sdtiuo dlel’Untisveri‡ di Cadmbrige, non irmptoa cmoe snoo sctrite le plaroe, tutte le letetre posnsoo esesre al pstoo sbgalaito, Ë ipmtortane sloo che la prmia e l’umltia letrtea saino al ptoso gtsiuo, il rteso non ctona. Il cerlvelo Ë comquune semrpe in gdrao di decraifre tttuo qtueso coas, pcherÈ non lgege ongi silngoa ltetrea, ma lgege la palroa nel suo insmiee... Verrebbe spontaneo aggiungere:Sneodco voi, csoa si funamo a Cadmbrige? :-) Scherzi a parte il frammento svela uno dei segreti più importanti del successo di iPhone e degli sviluppi dell’informatica di oggi: la connessione semantica. Negli anni ‘90 il computer risiedeva stabilmente sulla nostra scrivania, nelle stanze dei centri di elaborazione dati, magari anche nella tasca della nostra giacca ma erano macchine chiuse o connesse solo tra loro che portavano in sé o nella propria rete tutto quanto gli era necessario per lavorare. Google, il social network, il Web 2.0 hanno fatto un passo avanti cercando informazioni e programmi al di fuori del computer o della rete e legandoli tra loro mediante regole non di semplice logica o grammatica, ma con la forza del loro significato. Prendiamo la frase “al mare oggi piove”, semplice e corretta non dà adito a dubbi interpretativi. Ma se avessi scritto: “la mare oggi piove” perché la matita rossa della maestra avrebbe corretto “la” con “al” e non “mare” con “mera”? È la terza parola che guida l’insegnante, “piove non concorda con “la mera” mentre è perfetta con “al mare”. Sono questi i ragionamenti che hanno ispirato i laboratori della Tegic Communication quando hanno pensato al XT9, l’evoluzione del T9 con cui oggi è possibile scrivere parole e frasi sul telefonino utilizzando solo i nove tasti del tastierino numerico. Il telefonino fa lo stesso ragionamento della maestra discriminando possibilità sensate tra gruppi di lettere e la loro connessione con le parole precedenti e successive.
I motori di ricerca su Internet hanno unito le ricerche che hanno portato all’XT9 con gli studi sulla dislessia di Cambridge e applicato il ragionamento alla rete. Ecco allora che se sul blog di un sito a New York un medico scrive che il nuoto fa bene alla spina dorsale, una società di Sidney dichiara di avere piscine attrezzate per le gare di nuoto, un docente a Londra pubblica una sua lezione in cui spiega che la spina dorsale è l’infrastruttura più importante della schiena e un albergo di Roma pubblicizza la sua piscina in terrazza, un utente che cerchi luoghi di cura per il proprio mal di schiena potrebbe avere la sorpresa di vedere tra i risultati l’albergo di Roma e senza che nessuno a Roma abbia mai studiato i problemi della schiena o visto le pagine web di New York, Londra o Sidney. È il web semantico: la connessione semantica dei sistemi. Ma sin qui il nostro ragionamento è ancora fermo al wire, ai fili che collegano i computer su Internet. È davvero impensabile un iter domestico in cui un mattino alzandoci e tentando di aprire il frigorifero per la colazione lo trovassimo bloccato con l’unica consolazione di poter leggere sul display dello sportello: “Spiacente, ho ricevuto dallo specchio in bagno il messaggio che è giunto il momento di iniziare una dieta!” Era una vecchia storiella che girava in Università e che oggi la Nintendo, grazie al wireless e alla semantica tra gli oggetti, ha trasformato in un

prodotto commerciale: il WII. Ma tutto ciò è già storia dell’informatica. Il vero salto di qualità lo vediamo invece grazie ad Android, e ad Apple che ne ha ingegnerizzato le intuizioni nelle nuove versioni dei propri device mobile. Quando pensiamo all’iPhone ciò che balza immediatamente all’occhio è lo schermo multi-touch con cui, non un solo dito, ma l’intera mano guida la comunicazione tra uomo e macchina. Ed è solo la prima scoperta. Subito dopo ci accorgiamo che quella mano è l’interfaccia con cui trasmettiamo il nostro stile al terminale che si configura sulle nostre abitudini in una sorta di XT9 non sulle parole o sulle frasi, ma sulle nostre preferenze per il display e su quelle della nostra sfera di amici e colleghi. È ancora tramite la mano che il telefono, attraverso i sistemi di identificazione biometrica incorporati nel device, ci certifica e ci connette all’ambiente. Diviene la chiave per aprire l’automobile, l’ufficio, la porta del nostro appartamento, per entrare in banca e effettuare pagamenti. Più sicuro della carta di identità garantiscono nelle alte sfere dell’azienda di Cupertino. Ma l’iPhone va oltre. È un vero e proprio social network personale. Connette rubriche e agende della nostra comunità. Basta cambiare la SIM nel nostro cellulare per aggiornare automaticamente la rubrica di tutti i nostri amici senza i noiosissimi SMS di notifica. Fissare un meeting o organizzare una cena con un tocco e senza infinite telefonate per risolvere i problemi dei vincoli degli altri appuntamenti delle persone. Anche i tempi per il rendez-vous sono calcolati automaticamente senza il contatto diretto tra gli utenti. È lo scambio di informazioni tra i sistemi di localizzazione presenti sui terminali che dal semantic web ci porta al semantic object e fa il tutto compresa la guida delle persone verso il luogo di incontro. È solo un semplice gioco di fantasia pensare a questo punto a ristoranti particolarmente “IN” che aprano una porta wireless, magari indicata dall’adesivo iPhone sulla vetrina, e che informi il cuoco sulla posizione dei commensali e sul conseguente “buttare la pasta”. La rivoluzione dell’iPhone inizia dalla mano quindi e si potenzia nel wireless a basso costo. Ma non finisce qui. Al Massachusetts Institute of Technology già vedono nel multi-touch il collo di bottiglia dell’evoluzione informatica e grazie soprattutto ai finanziamenti di Apple e Google stanno orientando le proprie ricerche per abbattere anche i più resistenti tabù della biotecnologia informatica. Ancora una volta l’intuizione di base è molto semplice. Quando compio un movimento, alzo il braccio o distendo una gamba, il mio cervello configura neuroni e sinapsi mediante segnali elettrochimici che possono essere registrati da un comune elettroencefalogramma.

La cosa sorprendente è che il segnale elettrochimico del movimento attraversa i neuroni anche quando l’arto che vorrei muovere non c’è più. Sensori elettroencefalici sottocutanei potrebbero allora governare arti artificiali? Forse sì. I problemi oggi non stanno nel flusso delle informazioni ma nei costi della micro robotica necessaria alla costruzione delle protesi. Molto meno costoso e complesso si sta rivelando invece il collegare via wireless gli elettrodi di un’impianto cerebrale al computer e strappare un pezzetto di fantascienza dai libri di William Gibson o Neal Stephenson per consegnarlo alla biotecnologia. Ma stiamo guardando solo un verso della comunicazione: quella tra uomo e macchina. L’altro verso, macchina-uomo, apre, grazie sempre alla biotecnologia, scenari meravigliosi e inquietanti che al MIT stanno già disegnando. Oltre la mano, l’interfaccia farmacologica.
Che esistano sostanze stupefacenti in grado di produrre stati allucinatori è purtroppo cronaca dei nostri giorni. Sono droghe che agiscono in aree del cervello con stimoli chimici casuali e spesso con effetti disastrosi. Ma sono davvero impensabili farmaci che droghino il sistema nervoso con sostanze chimiche la cui distribuzione è controllata da un impianto guidato dal software del calcolatore? L’allucinazione controllabile del desk top del computer? Per Oliver Sacks, lo psicologo cognitivo a cui dobbiamo la scoperta della propriocezione, è una strada percorribile e al MIT ne intravedono già l’ingegnerizzazione mediante veri e propri “agenti biologici”. È la micro robotica chimica. Per ora allo stato embrionale, purtroppo o per fortuna, ma i finanziamenti piovono a iosa e chissà? Se oggi la Apple con iPhone ci permette di intravedere la possibilità di evitare al nostro eroe metropolitano lo smacco della porta del frigo bloccata consentendogli di aprirla tranquillamente per trovarci esclusivamente cibi dietetici, domani? Forse si alzerà col solo stimolo del voler bere un caffè amaro grazie al collegamento dei suoi neuroni con lo specchio in bagno. Chiudo con la riflessione di un mio importante maestro, il professor Marco Somalvico, il padre della robotica e con cui ho avuto la fortuna di lavorare.
- Professore, - gli ho confessato un giorno - non credo troverò mai il coraggio di usare agenti biologici. -
- Oggi no, - mi ha risposto -.
- Ma cosa succederà quando agguerriti manager di grande esperienza inizieranno a perdere trattative commerciali per opera di giovani dirigenti che fanno uso di farmaci informatici? E quando perfetti sconosciuti inizieranno a dare due o tre giri di pista ai grandi della formula 1 sui circuiti del campionato del mondo solo usando interfacce biologiche invece del volante?

Foto - Touchscreen gigante