Un Natale da... mangiare

di Paola Emilia Rubbi

Tra intimismo e consumismo il pranzo di Natale continua ad essere celebrato
con gioia e speranza in tutto il mondo.


“Il lungo pranzo di Natale” continua. Quando Thornton Wilder lo scrisse, nel 1931, affidando al suo testo teatrale un carico di simbologia sul significato del tempo e della vita (contenuto e rappresentato nella ritualità e ripetitività delle tradizioni), forse pensava che quei riti e quelle tradizioni, incentrate sulla festività del Natale, potessero non cambiare mai, o almeno non scomparire del tutto.
In realtà, anche se il “pranzo di Natale” si rinnova ogni anno, le sue modalità, il suo “apparato” si sono ovunque molto modificati nel tempo, quando non sono addirittura spariti. Incontrarsi di culture e usanze, consumismo, vacillare dei valori, oggi gli hanno conferito più un ruolo di business, che quello di momento intimistico, di raccoglimento sia pure festoso.
Resta comunque il fatto che il periodo delle festività natalizie e di fine anno continua ad essere celebrato con gioia e speranza praticamente in tutto il mondo e, pur nella diversità dei simboli, dei riti e delle specialità gastronomiche che i vari popoli riservano a questi particolari giorni dell’anno, restano, comuni a tutti, il piacere di celebrare con pranzi e cene speciali e la gioia di scambiarsi doni augurali. Ci sono anche dei “segni” che caratterizzano le solennità di fine anno: il pane, il fuoco (pensiamo ai “ceppi”, presenti in molte regioni non solo italiane; alle “ndocce” di Agnone, nel Molise…); la luce (che le copiose candele ornamentali accese un po’ dappertutto nel periodo ben rappresentano); il pane, che si può associare alle ricette che in molte culture le popolazioni si tramandano per i pasti di quei giorni.
Nel Medioevo, in Europa, si preparava un pane a forma tonda, per ricordare il sole, con al centro una croce che richiamava, insieme, la Cristianità e le quattro stagioni dell’anno, scadenze fondamentali per la civiltà contadina; in Inghilterra, si faceva una torta speciale intrisa di spezie per ricordare i doni dei Re Magi; in Provenza, ancora oggi, i panettieri a Natale offrono pane allo zafferano o all’anice e proprio qui a Bologna, panspeziale, certosino e il più modesto “panone” vengono preparati e consumati in queste festività. In un ipotetico viaggio nella gastronomia natalizia (cena della Vigilia e pranzo di Natale) vanno ricordati: minestra di ceci, maccheroni con le noci, stoccafisso, anguille e sedano, per la Vigilia, nelle Marche; in Calabria, a Diamante, i chinoli, dolci

del cenone del 24 dicembre, fatti di pasta sfoglia imbevuta di vino bianco e ripieni di noci, castagne, cacao e qualche goccia di caffè, il tutto poi fritto e rivestito di miele e nel cenone, per tradizione devono figurare 13 pietanze diverse; a Cosenza e nella Sila spaghetti conditi con pane grattugiato e acciughe, prima fritti nell’olio (la cosiddetta pasta e mullica) e fra i dolci: turdilli, scalille e pittulille. Nel Basso Ferrarese la sera della Vigilia menù a base di pesce, soprattutto anguille e tavola apparecchiata – nella notte – con la tovaglia più bella su cui vengono lasciati pane fragrante, un bicchiere d’acqua e uno di vino rosso per il primo pasto del neonato Gesù; mentre nel camino veniva messo un grande ceppo che potesse restare acceso tutta la notte affinché il Bambinello si potesse subito scaldare.
L’usanza di lasciare sulla tavola apparecchiata acqua, pane e un po’ di burro per nutrire Gesù Bambino è stata comune anche ad altre zone, fra cui quelle del Reggiano. Nel Teramano, per il pranzo di Natale si preparano cardone in brodo, cappone in brodo, maccheroni alla chitarra, caggionetti (dolci fritti, a base di castagne, miele e rum) pepatelli e pizza dolce.
All’estero troviamo: in Grecia, la torta chiamata Vassilopitta; in Irlanda, l’Apple sauce, con l’oca di S. Michele o l’anatra o il tacchino; nelle Antille, prosciutto glassato alla creola; negli USA, tacchino ripieno; in Germania, Stollen (pane di Natale) e piccoli dolci a base di cannella, pane speziato, zucchero caramellato.
Sulle tavole di Bologna “la grassa” per molte generazioni ha imperato una triade di portate: tortellini, cappone, certosino, al quale si affiancava un altro dolce di origine contadina: la pinza, pasta di ciambella arrotolata intorno a un ripieno di savour (mele cotogne e altra frutta, ridotta a due terzi con la bollitura) ornata in superficie da minuscole palline di zucchero colorate, dette bilen.
Pian piano, da tradizioni culinarie più o meno vicine a noi, sono arrivati: lo zampone con le lenticchie (che “portano soldi”); l’anglosassone pudding, budino dolcissimo e speziato in cui viene nascosta una moneta, che porterà fortuna al commensale cui toccherà la porzione che la contiene; il milanese panettone. Ora, a tavola imbandita e con ricette per tutti i gusti, non ci resta che recitare il “sermone” e scambiarci gli auguri: buon Natale e buon Anno!

Foto - Addobbi natalizi

Foto - Biscotti natalizi con faccia di Babbo Natale