Mappe sensibili di Marco Roccetti e Claudio E. Palazzi Intelligenza collettiva. Piccoli contributi per un significativo aiuto verso gli altri. |
Nell’album d’esordio dei Doors esiste una famosa canzone, Whiskey Bar (Alabama Song), ispirata ad un precedente lavoro di Kurt Weill e Bertold Brecht, nella quale ad un certo punto uno smarrito Jim Morrison chiede: “Mostrami la strada …. /Luna dell’Alabama/ ..”. Nella lirica struggente si nasconde un luogo comune, un topos del nostro modo di pensare e agire che prevede che solo chi ha sensi più sviluppati (vede di più, sente di più, è più lucido, …) è in grado di mostrare la strada per un qualsiasi luogo a chi invece vede meno, sente meno, ed è più oscurato, o in generale soffre di una qualsiasi condizione di inferiorità o disagio.
Insomma riassumendo, pare che nel nostro mondo le mappe delle strade le possano correttamente disegnare solo i normodotati (o addirittura coloro che hanno presunti poteri superiori, tipo la Luna).
Ora ciò che ci piace della nouvelle vague del Web e delle sue tecnologie è che queste spesso mettono in crisi i nostri luoghi comuni, ci interrogano sulle nostre presunzioni, e spesso offrono speranze e possibilità a chi fino ad ora ne aveva avute poche.
Per farla breve, in questo contributo vi mostreremo come i meccanismi per costruire mappe, pensati da Google e opportunamente modificati con un algoritmo sviluppato in collaborazione tra l’Università di Padova e quella di Bologna, chiamano in causa coloro che sono portatori di disagi (visivi, fisici, etc.) per fare costruire loro mappe così precise, quali forse nessun topografo riuscirebbe a ottenere.
Ecco come.
Prendiamola larga e partiamo dal 2009 quando a San Francisco si tenne il Web 2.0 Summit, nel corso del quale Tim O’Really e John Battelle hanno proposto una lucida analisi delle nuove direzioni del Web, sottolineando come: “il Web 2.0 risiede interamente nell’utilizzo dell’intelligenza collettiva” [1]. In sostanza, il web sta cambiando pelle, proiettandosi verso la capacità di recuperare, gestire e comprendere dati generati dagli utenti in tempo reale. Inoltre, la diffusione capillare di smart phone, telecamere e sensori stanno spingendo il progresso oltre l’era del personal computer, generando un mondo integrato con dispositivi che svolgono i loro compiti in maniera pervasiva (l’era del pervasive computing [2]). Lo stesso concetto di Web service sta mutando: le applicazioni di rete non sono più necessariamente semplici programmi che sfruttano una piattaforma web statica, ma possono anche rappresentare uno strumento in grado di aggregare una moltitudine di piccoli contributi per generare un significativo aiuto verso altri [3].
Venendo a noi e alle nostre mappe è facile iniziare a intuire come sia possibile sfruttare l’intelligenza collettiva attraverso l’utilizzo di sensori diffusi già esistenti (ad esempio, il GPS degli smart phone) per generare un innovativo servizio socialmente utile: un generatore di percorso accessibile per le persone con disabilità. In effetti, i servizi tipo Google Maps per trovare il percorso migliore tra due luoghi offrono solo la possibilità di trovare il percorso più breve a piedi, in auto, o in autobus; ma non tengono conto del fatto che i tratti stradali potrebbero includere delle barriere architettoniche o altre difficoltà. Sarebbe invece utile per un utente disagiato poter scegliere il percorso migliore da percorrere che tenesse anche conto di particolari condizioni fisiche.
In effetti, il percorso più breve non serve a un utente su sedia a rotelle se non include rampe di accesso ai marciapiedi, né serve a un utente non vedente se i semafori agli incroci non hanno dispositivi di segnalazione del verde. Piuttosto, questi utenti troverebbero più utile un percorso quasi più lungo, ma che garantisca l’accessibilità di ogni suo tratto.
Per realizzare questo generatore di percorsi accessibili non si può ricorrere a personale per la verifica puntuale di ogni singola strada di ogni città; ne risulterebbe un lavoro immane, in pratica, non realizzabile e forse nemmeno utile, anche perché degli improvvisi lavori stradali potrebbero rendere non validi i dati raccolti, facendo diventare (temporaneamente) inaccessibile un tratto stradale registrato come accessibile.
È invece necessario un approccio distribuito che sia in grado di catturare l’intelligenza collettiva grazie alla presenza capillare di smart phone e il paradigma del pervasive computing. L’obiettivo è di generare automaticamente la mole di dati necessaria a mettere in piedi un servizio web per la generazione di percorsi accessibili.
Più in dettaglio, ogni giorno la gente (con o senza disabilità) ripete alcuni percorsi, ad esempio, quello da casa al posto di lavoro, o verso il bar/negozio preferito. Quest’osservazione dimostra come sia possibile condividere in maniera molto semplice l’esperienza e le informazioni su alcuni percorsi. In sostanza, se una persona con problemi di mobilità utilizza frequentemente un determinato percorso, probabilmente quella persona giudica quel percorso come accessibile, viceversa a lungo andare ne avrebbe scelto un altro. Pertanto, catturando le informazioni su questo percorso frequentemente utilizzato, si potrebbe suggerire ad altre persone con disabilità simili di usarlo. |
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Ancora meglio, si potrebbe raccogliere in un database tutti i tratti frequentemente percorsi da persone con specifiche disabilità. Tali informazioni potrebbero essere invisibilmente generate tramite smart phone dotati di GPS e collegamento a Internet e, una volta raccolte, potrebbero essere sfruttate e combinate da un servizio Web per calcolare nuovi percorsi accessibili a utenti che ne fanno richiesta via web. A titolo di esempio, in Fig. 1, presentiamo uno scenario plausibile (un quartiere di una città), dove A, B e C sono tre percorsi regolari più volte utilizzati da tre diversi utenti affetti da disabilità: Andrea, Beatrice e Carlo, rispettivamente. Andrea percorre ogni giorno il tratto A (giallo in figura) per raggiungere il suo posto di lavoro; Beatrice, ogni due giorni, si muove lungo il tratto B (rosso) per acquistare il suo giornale preferito; infine Carlo, almeno due volte alla settimana, utilizza il tratto C (blu) per raggiungere il suo fisioterapista. Tutti questi sono percorsi accessibili, che Andrea, Beatrice e Carlo hanno individuato grazie all’esperienza pratica e che ora sono i loro preferiti per raggiungere le rispettive destinazioni. Immaginiamo ora che Andrea, Beatrice e Carlo dispongano di uno smart phone dotato di una speciale applicazione in grado di rilevare percorsi frequentemente utilizzati (e quindi, anche A, B e C) e di trasmetterne le relative informazioni a un server remoto. Queste informazioni potranno poi essere rese disponibili a tutti attraverso un servizio web. Infatti, supponiamo che a questo punto Davide, una quarta persona con problemi di mobilità analoghi, sia appena arrivato in città e non conosca nulla circa l’accessibilità delle strade di questo quartiere. Davide vuole spostarsi dal punto INIZIO in Figura 1 fino al punto |
per quell’utente (testo, video, audio, immagini), trasformandone il contenuto in base al contesto in modo da garantirne la massima usufruibilità; trasmettere periodicamente all’ufficio comunale (o statale) competente una mail con in allegato le principali denunce di non-accessibilità presentate dagli utenti; aggiornare automaticamente le informazioni su accessibilità e ostacoli anche su altri media (e.g., gruppi facebook, newsletter, siti Web, carosello della televisione digitale), trasformando i contenuti in base al formato richiesto dal media. Ovviamente, come indicavamo all’inizio di questo articolo, non si tratta solo di buone intenzioni e visioni futuristiche. In effetti, abbiamo già implementato, tramite una collaborazione tra le Università di Padova e quella di Bologna, una versione prototipale di questo servizio sfruttando degli smart phone di ultima generazione (in particolare, utilizzanti il sistema operativo Google Android) e realizzando un server Web per l’interrogazione da parte di utenti che vogliono conoscere un percorso accessibile tra due luoghi. Il risultato di una di queste interrogazioni è visibile in Figura 2, che mostra all’utente i punti iniziale e finale del percorso restituito (in rosso), il tragitto (in viola) e i tratti accessibili (in fucsia) così come ricavati dal database. Il percorso generato dall’esempio di Figura 2 non garantisce la totale accessibilità del percorso, ma solo quella dei tratti color fucsia. Per la parte restante, non è stato possibile determinare percorsi accessibili nei paraggi a causa di un database contenente ancora poche informazioni. |
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FINE; per farlo può collegarsi all’apposita pagina web associata alla nostra applicazione. Questa pagina web recupererà le informazioni che identificano i tratti A, B e C dal suo database e calcolerà un percorso accessibile per Davide che lo porti da INIZIO a FINE. Per mettere in pratica questo esempio, assumiamo dunque di dotare le persone che soffrono di disabilità di uno smart phone che esegua una nostra applicazione. Lo scopo di questa applicazione è quello di sfruttare il GPS per raccogliere informazioni sui percorsi utilizzati da tale utente in maniera frequente (ad esempio, almeno due volte la settimana per un mese); in questo caso, è lecito supporre che l’utente conosca l’area sufficientemente bene dall’aver individuato in quel percorso frequente un percorso anche accessibile. La nostra applicazione su smart phone, periodicamente e in forma anonima, trasmette tutti questi percorsi frequenti a un server/database remoto attraverso la connessione wireless disponibile (Wi-Fi, 3G, ecc.). In questa maniera, il server/database remoto si popolerà di utili informazioni in maniera autonoma, senza bisogno di intervento diretto da parte di utenti od operatori. È ovviamente possibile immaginare che l’applicazione preveda anche la possibilità per un utente qualsiasi, non necessariamente con disabilità, di partecipare attivamente documentando eventuali ostacoli (es. foto, video, testo, o audio) e inviando volontariamente l’informazione al server remoto per segnalare negativamente un certo tratto di strada. Il compito del server/database remoto sarà poi quello di: raccogliere tutte queste informazioni sui percorsi frequenti e sugli ostacoli; su richiesta di utenti, calcolare dei percorsi preferenziali per chi è affetto da specifiche disabilità (quindi un percorso breve sì, ma anche accessibile); rendere fruibile all’utente che ne faccia richiesta il percorso accessibile calcolato, nella forma più opportuna | Come è noto, infatti, l’efficacia di una applicazione partecipativa come quella da noi progettata è tanto maggiore quanti più sono gli utenti che ne usufruiscono mettendo a disposizione il loro piccolo contributo di informazioni. Col passare del tempo e l’aumentare degli utenti, il servizio fornito è destinato a migliorarsi e in maniera autonoma; il database si riempirà di tratti considerati come accessibili e dunque i percorsi suggeriti diverranno costituiti da tratti accessibili in misura percentualmente maggiore rispetto ai tratti su cui non si hanno informazioni. Dunque in conclusione, occhi perduti, bocche inascoltate, orecchie lontane e corpi dimenticati, aiutateci a costruire le nostre mappe sensibili, senza di voi saranno senz’altro meno sensibili! Bibliografia Marco Roccetti è professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università degli Studi di Bologna, dove insegna Architettura di Internet e Sistemi e Applicazioni Multimediali. I suoi interessi di ricerca si incentrano su Internet e le sue applicazioni. Claudio E. Palazzi è ricercatore universitario presso il Dipartimento di Matematica Pura e Applicata dell’Università degli Studi di Padova. Insegna Sistemi Operativi e Reti Wireless nel Corso di Laurea in Informatica. I suoi interessi di ricerca includono le reti di computer, i sistemi Web 2.0 e le applicazioni per utenti mobili. |
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