Carte... alla mano! di Paola Emilia Rubbi Quando le famiglie si riuniscono per i pranzi e le cene tradizionali anche i passatempi si rifanno alla tra tradizione. |
"Striscio", "carta da due", "cinquina!" Un gergo ormai relegato nei bar (quelli frequentati soprattutto da pensionati), nel soggiorno di alberghi che, d'estate, ospitano prevalentemente villeggianti della "terza età", in abitazioni in cui gli amici che vi si radunano ricordano tanto i personaggi dei film di Pupi Avati. C'è però una sorta di momento magico in cui quelle espressioni rivivono attorno ad un tavolo circondato da famigliari di generazioni diverse, in un'atmosfera dove aleggia un buon profumo misto di tortellini, di zampone, di arance, di mandarini. Sotto le feste, come si suole dire, quando le famiglie si riuniscono per i pranzi e le cene tradizionali, anche i passatempi si rifanno alla tradizione e vengono organizzati antichi giuochi di carte e di società, che consentono di interessare e accumunare giovani e meno giovani, e nei quali anche un modestissimo premio messo in palio si ammanta di un fascino speciale. In mezzo alla tavola, in genere, c'è un piatto di noccioline e noci; vicino ad ogni giocatore un piattino con fagioli secchi (nei casi migliori, sono fiches di legno); in bella vista i premi (il cui valore, come dicevamo, tutto sommato ha poca importanza), ed eccoci pronti per la tombola, forse il più classico (anche se non il più "longevo") fra i giuochi dei "dì di festa". Ha un'origine settecentesca (è nata nel 1734) e regale, collegata cioè alla decisione di Carlo III di Borbone, re di Napoli, di ufficializzare il gioco del lotto: durante la settimana di Natale, però, l'autorità religiosa pretese che, per non distrarre il popolo dalla preghiera, il gioco venisse sospeso. Ma il popolo non si dette per vinto e per divertirsi, in attesa della mezzanotte, si organizzò per proprio conto: impresse su palline di legno i 90 numeri propri del lotto, introdusse le palline in "panarielli" di vimini, da cui poi venivano fatti "tombolare" sul tavolo, e disegnò numeri su cartelle, simili a quelle che si usano ancora oggi. Veneziana, invece, e anche più antica, è l'origine del mercante in fiera che, a quanto pare, risale alla geniale trovata di uno straccivendolo, Geronimo Bambarara, che, nel 1522, nella zona di Rialto, si mise a vendere, per pochi spiccioli, biglietti che poi partecipavano ad una estrazione finale. Il gioco, nel tempo, ha subìto modifiche: ora, con successive aste di carte fra i giocatori e con il "banditore", si procede alla progressiva eliminazione delle varie figure, fino alla vittoria, che va all'ultima superstite. Con le carte, ad ognuna delle quali è attribuito un punteggio, si gioca anche il sette e mezzo, di indubbia origine italiana, ma di incerto periodo di nascita, reso più emozionante da una certa dose di azzardo: ad ogni giocatore viene inizialmente distribuita una carta (che il giocatore conserva coperta), ma il partecipante può richiederne altre al banco, tentando di raggiungere il punteggio appunto di "sette e mezzo". Chi lo supera viene eliminato. Poiché si dovrebbe giocare in perfetto silenzio, si dice che il tresette sia stato inventato da quattro sordomuti: nella formazione classica si gioca, appunto, in quattro, ma sono previste anche le varianti a tre (la cosiddetta "tocca"), a due giocatori ed anche a |
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sei. La comunicazione fra i compagni di squadra è ammessa solo a gesti e ad ogni gesto è attribuito un significato (ad esempio: "strisciare" vuol dire "ho altre carte dello stesso seme"; "volare" è come dire, al contrario, "non ne ho più"; "bussare" equivale a chiedere al compagno la carta più alta di quel seme. Ma se, in genere, si gioca al massimo in quattro, che gioco di famiglia è? Beh, è abbastanza vero, ma il fatto è che quasi sempre si formano più tavoli e così spesso si dà vita ad un torneo, con assembramento degli eliminati alle spalle dei superstiti per seguirne meglio le mosse. E se la presenza dei bambini è massiccia? Ecco pronto il gioco dell'oca, uno dei più famosi passatempi per l'infanzia, che prende nome dai volatili che compaiono in varie caselle: queste sono sempre 63, disposte in un percorso a spirale o circolare, sono numerate e contengono figure simboliche o allegoriche con significati propizi o nefasti. Il traguardo è sempre al centro; vario può essere il numero dei partecipanti, ognuno dei quali ha una pedina, che viene mossa a seconda dei punti sommati dai due dadi, che ogni giocatore al proprio turno deve lanciare. A proposito dei dadi va detto che la loro origine si perde nella notte dei tempi (sembra siano stati inventati da Palamede, re d'Eubea, per intrattenere i soldati greci durante l'assedio di Troia) e che a loro è sempre stato legato un concetto di rischio. Infatti, al nome latino del dado, alea, si rifà il termine "aleatorio", e a quello arabo, azar si collega la parola "azzardo": tant'è che non di rado nei secoli furono emessi dalle varie Autorità editti e bandi contro i dadi e il loro uso ludico. |
Oggi il panorama dei giochi con le carte (inventate in Cina circa duemila anni fa) è dominato dal burraco: lo giocano tutti, si gioca ovunque; più che una moda è una mania. Spopolerà anche nelle riunioni famigliari e amicali dei giorni di feste di fine anno 2010. Non resta, quindi, che rievocare passatempi e atmosfere di tempi in cui il divertimento era forse più semplice, ma anche più condiviso, mimando un "volo" con l'ultima carta di un glorioso tresette. |
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