Oltre il villaggio globale: l'agorà personale

di Francesco Levantini

Benvenuti nell'acquario.


"Ho visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare.
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione.
E ho visto i raggi gamma balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire."
È forse il più famoso monologo della fantascienza pronunciato in punto di morte dall'androide Roy Batty nel film Blade Runner. Il film è del 1982 e il romanzo di Philip Dick da cui è stato tratto, "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?", è del 1968.
Sono passati quasi cinquantanni, e settanta dai robot di Asimov, ma le cose sono andate in modo diverso. Robot e Androidi sono rimasti nelle pagine della letteratura mentre intorno a noi si è sviluppata la "realtà aumentata".
Immagine - Schermata iPhone Apple
Nata negli anni '40 del secolo scorso dalla testa di Vannevar Bush e trasformata in tecnologia dai laboratori del Wireless RERC ha determinato, grazie soprattutto a Nintendo e Apple, un presente in cui il robot invece di sviluppare gambe e braccia si è distribuito intorno a noi con sensori e attuatori e riponendo il cuore e il cervello nel telefono che teniamo in tasca. Eccoci quindi salire in macchina per lasciarci guidare dalla voce del navigatore satellitare.
Entrare in casa o in ufficio e vedere accendersi le luci al nostro passaggio.
Salire in ascensore e, senza premere pulsanti, trovarci al piano in cui lavora il collega con cui abbiamo un appuntamento in agenda. Scuotere il lettore MP3 per ottenere l'esecuzione dei brani in sequenza casuale o fare il gesto di lanciarlo ad un amico per trasferire sul suo telefono una foto o un filmato. Appoggiare il palmare sulla stampante per vedere stamparsi il messaggio che stavamo leggendo. Un'ergonomia completamente nuova in cui spariscono tastiera e video. Siamo noi, con l'iPhone in tasca, il frecciolino del mouse che invece di spostarsi tra le icone del desktop del computer si sposta tra le icone fisiche di casa nostra, della città o presenti ovunque ci troviamo. La realtà aumentata è tutto ciò, gli invisibili fili del Wireless che ci connettono agli oggetti della nostra quotidianità e che reagiscono in sintonia con le nostre esigenze. La tecnologia è intorno a noi e la contattiamo telefonandole. Usiamo l'iPhone per parlare con colleghi, amici e famigliari ma anche per informare la nostra autovettura sul fatto che vogliamo andare a casa e in risposta ci sentiamo dire che sulla strada sarebbe bene fermarci dal fioraio visto che è il compleanno di nostra moglie. "Vuoi che gli faccia anche gli auguri su Facebook?" è

Foto - Foto di una scena tratta dal film: “Blade Runner”

l'ultima novità che ho sentito dire da Siri, l'assistente vocale di iPhone, proprio in occasione di un genetliaco. Quanto manca a servizi, negozi, magazzini, uffici pubblici o privati completamente virtuali con cui interagiremo solo dal telefono? È fantascienza un 113 capace di evadere migliaia di telefonate al secondo tramite Siri di Apple o Watson di IBM? Insomma, il nostro portatile con il suo desktop, le sue icone pilotate dal mouse sono preistoria. Siamo noi il puntatore del mouse che si muove, non nelle finestre del sistema operativo chiuso nel computer, ma negli ambienti reali dei sistemi domotici e urbotici intorno a noi. Al MIT (Massachusetts Institute of Technology), al Wireless RERC e nei laboratori di IBM e Apple non si sono però fermati alla voce e al gesto per interagire con la realtà aumentata. La doppia telecamera di un iPhone può facilmente inquadrare quello che si trova davanti a noi e contemporaneamente i nostri occhi. È quindi facile capire dall'angolazione delle pupille cosa stiamo guardando. Spostare quindi lo sguardo verso un interruttore, la televisione o lo stereo di casa per vederli accendere. Facile! È anche facile pensare a protesi e ausili per il mondo della disabilità e, soprattutto, ausili e protesi in social network: le icone fisiche che ci circondano e con cui interagire sono anche le altre persone. Non sono un esperto di accessibilità o di problemi di disabilità ma credo di poter essere ottimista verso un sistema domotico dove le icone fisiche più importanti sono io, i miei amici e familiari e gli oggetti potenziati della mia quotidianità. Sono un non vedente e oggi, su Facebook (forse il più famoso dei social network), non ho eccessivi problemi. Interagisco con amici che sanno che sono cieco e mi commentano naturalmente le foto o i filmati che pubblicano. Analogamente nella domus informatica a cui Steve Jobs ha pensato il Wireless dell'iPhone contatta persone che mi conoscono e collega oggetti che sono stato io a distribuire intorno a me. Posso inciampare in un gradino in una zona della città che non conosco ma difficilmente andrò a sbattere in un tavolo che sono stato io ha posizionare in salotto. Su google ho bisogno dello screen reader per leggere i risultati di una ricerca e devo sperare che

le pagine web che il motore di ricerca ha selezionato seguano le regole dell'accessibilità. Se invece alla domanda: "Dove sono i guanti da sci?" mi sento rispondere: "nel terzo cassetto dell'anta centrale dell'armadio" Non ho bisogno dello screen reader per trovare il cassetto, infilarci la mano e discriminare tra i guanti e la sciarpa proprio li a fianco.
Sto semplificando troppo? Probabilmente sì e probabilmente non è tutto oro quello che luccica. Sapere ed essere in contatto con cose e persone significa sapere dove sono ma significa che cose e persone sanno dove siamo noi.
Immagine - Copertina del libro “Tower of glass” di Robert Silverberg
Benvenuti nell'acquario!"
Sul cosa ciò significhi sospendo il giudizio ma mi si consenta di chiudere con una riflessione per la quale ricedo la parola alla fantascienza. Ho iniziato con la citazione da un famosissimo film e mi piace chiudere con la citazione da un libro molto meno famoso ma che forse amo di più:
"Un miliardo d'anni fa non c'era nessun tipo di uomo. C'era solo un pesce. [...] Viveva nell'oceano che era per lui una prigione, l'aria, su in alto, era il tetto.
Quel tetto non si passa [...]. E c'era quel certo pesce: lo passò e morì.
E quell'altro pesce: anche lui lo passò, e morì.
Ma quell'altro pesce ancora, quando lo passò [...] non morì. E gli altri pesci cominciarono a parlare di quel mondo nuovo, diverso. E strisciarono su [..]. E impararono a respirare l'aria. [..] E diventarono lucertole, e dinosauri e tutto il resto [...]. Dai, torniamocene nell'oceano, riprendiamo a fare i pesci perché è più comodo. Non dire fesserie. Non possiamo più tornare a fare i pesci: adesso siamo uomini. E indietro non si torna mai." "Tower of Glass", Robert Silverberg, Agberg Ltd 1970.

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