Forse l’accessibilità dei siti web degli enti pubblici è più vicina, ma restano difficoltà e incertezze.
Il 3 Dicembre 2012 la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva da lungo tempo attesa sull’accessibilità dei siti web degli enti pubblici. Con essa la Commissione intende venire incontro alle esigenze di un gran numero di utenti che faticano ad accedere ai siti dei servizi essenziali forniti dalle amministrazioni pubbliche attraverso la rete. In Europa le persone con disabilità costituiscono il 15% della popolazione; nell’Unione Europea sono 80 milioni. È chiaro che non tutte queste persone possono o vogliono utilizzare i servizi on-line, ma è un fatto che un numero sempre crescente di utenti con disabilità è attratto da questo nuovo modo di interagire con le amministrazioni pubbliche. Purtroppo, soltanto meno del 10% dei siti web pubblici negli Stati membri dell’Unione Europea sono accessibili, per non parlare dei siti privati dove l’esclusione è quasi totale. Ma altri utenti potenziali oltre alle persone con disabilità hanno un rapporto problematico con la gestione telematica dei servizi, per l’età avanzata, lo scarso livello di formazione informatica, l’insicurezza e il timore di frodi. Stiamo parlando di milioni di cittadini che rischiano seriamente di essere declassati, marginalizzati e discriminati di fronte ai loro concittadini più abili e sicuri.
Questa situazione non è accettabile e sia a livello europeo, sia negli stati membri devono essere prese misure concrete per far fronte a questo fenomeno.
L’accesso alla società dell’informazione, un diritto fondamentale di tutti i cittadini, la condizione senza la quale oggi essi non possono partecipare pienamente alla società in cui vivono, presuppone la padronanza delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione nella vita pubblica e sociale. Tenere il passo con la rapida evoluzione delle tecnologie e conseguentemente del contesto sociale è essenziale per essere cittadini a pieno titolo. Le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità si stanno battendo da anni per questo obbiettivo, ma finora la cosiddetta normativa morbida (comunicazioni, programmi e piani d’azione della Commissione, risoluzioni e decisioni del Consiglio Europeo e dichiarazioni ministeriali) non ha prodotto risultati concreti e appare evidente che bisogna ricorrere a strumenti giuridici più efficaci.
La piena accessibilità da parte delle persone con disabilità a tutte le tecnologie dell’informazione e della comunicazione compreso Internet su una base di parità con gli altri utenti è un diritto sancito dalla Convenzione delle nazioni unite sui Diritti delle
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Persone con Disabilità in vigore nell’Unione Europea dal 2011, ma è anche un importante fattore di crescita del mercato unico dell’UE.
Infatti, sono in continuo aumento i servizi offerti al pubblico in modalità telematica e il numero dei cittadini che ne fanno uso.
Per essere accessibile a un utente con disabilità un sito web, così come un servizio telematico, deve essere facileda gestire, navigare, comprendere, utilizzare sulla rete con ed in sicurezza, autonomia e dignità in ogni circostanza comprese le situazioni di emergenza. Attualmente una minima parte dei siti rispetta questi parametri e non si registra un incremento sensibile. Ecco perché la Commissione Europea si è impegnata a presentare entro il 2011 una proposta di direttiva che prevede l’accessibilità dei siti web degli enti pubblici nell’UE entro il 2015.
La proposta, presentata con un anno di ritardo, è ora all’esame del Parlamento e sarà quindi sottoposta al vaglio del Consiglio che avrà l’ultima parola.
Così com’è la proposta è stata accolta con poco entusiasmo dalle organizzazioni delle persone con disabilità tra cui l’Unione Europea dei Ciechi (EBU) che in un comunicato stampa molto duro ha stigmatizzato la pochezza della tanto attesa proposta.
Più diplomatica, ma non meno critica, appare la valutazione del Forum Europeo della Disabilità che la definisce un limitato, ma positivo passo avanti verso il conseguimento dello scopo previsto.
La critica più severa rivolta alla proposta riguarda il campo d’applicazione, che è unanimemente considerato troppo ristretto.
La Commissione infatti lo definisce facendo riferimento a dodici tipi di siti web tratti da uno studio comparativo sull’eGovernement del 2001. Si tratta di siti di servizi di settori importanti, quali la sicurezza sociale, l’occupazione, l’educazione, la salute etc., ma molti altri che sono essenziali per l’effettiva inclusione dei cittadini nella società non sono presi in considerazione. In realtà, non si è tenuto conto della rapida evoluzione della tecnologia e delle modalità di prestazione dei servizi sui siti web pubblici negli ultimi dodici anni. Gli Stati membri stanno sviluppando le loro strategie per la digitalizzazione del settore pubblico creando una inutile frammentazione del mercato che danneggia sia gli operatori, sia i cittadini che dipendono dall’accessibilità del web e rischiano seriamente di essere parzialmente o totalmente esclusi dall’utilizzazione dei servizi e delle informazioni
offerti dai siti che non rientrano tra quelli previsti dalla proposta. Servizi chiave non contemplati sono, ad esempio, la cura dell’infanzia, l’istruzione primaria e secondaria, la partecipazione alle elezioni generali e locali, i trasporti, i servizi in rete quali la fornitura dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas, i servizi culturali, i servizi postali e tutte le transazioni finanziarie connesse. L’ampliamento del campo d’azione della direttiva è ineludibile e un fattore propulsivo potrebbe consistere nell’effettuazione dell’aggiudicazione degli appalti pubblici secondo la legislazione dell’UE, nel qual caso i committenti avrebbero l’obbligo di redigere le specifiche tecniche nel rispetto delle future norme europee sull’accessibilità dei siti web.
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Sarebbe comunque preferibile che la direttiva facesse riferimento più ai criteri di accessibilità da rispettare da parte di tutti i siti web degli enti pubblici e dei siti che forniscono servizi al pubblico, senza redigere liste che risulterebbero ben presto obsolete.
Un ruolo fondamentale per l’effettiva attuazione della direttiva proposta è affidato alla standardizzazione.
Le linee-guida per l’accessibilità dei contenuti web (WCAG 2.0) del W3C sono ormai riconosciute come una norma armonizzata conforme alla legislazione dell’EU. Rispettando le specifiche tecniche di tale norma armonizzata, un bene, un servizio o un sito saranno considerati di fatto conformi alla legislazione europea, così da semplificare l’accertamento della conformità dei siti con i criteri di accessibilità.
Circa i costi per rendere accessibile un sito pubblico, va rilevato che, trattandosi di un diritto del cittadino, il prestatore del servizio dovrà comunque garantire l’accessibilità, il che comporta dei costi relativi alle misure che l’amministrazione dovrà adottare. Il costo per la progettazione del sito accessibile e per la formazione del personale sarà compensato dalla maggiore funzionalità del sito. Inoltre, un’armonizzazione del mercato unico produrrebbe una significativa economia di scala e una riduzione dei costi di produzione e di gestione. Infine, le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità chiedono che sia previsto un efficace meccanismo di implementazione e di monitoraggio, mediante l’istituzione in tutti gli stati membri di un organismo apposito in grado di fornire supporto e consulenza agli enti e di assistere i cittadini in caso di rimostranze da parte degli stessi.
Le organizzazioni rappresentative dovrebbero essere coinvolte in tutti i processi decisionali e di monitoraggio e dovrebbero essere fissati un tempo limite per l’attuazione di tutte le misure necessarie e regolari scadenze per i rapporti da inviare alla Commissione.
Da quanto ho cercato di illustrare il più chiaramente e concisamente possibile, emerge che la Commissione Europea non è stata in grado di rispondere alle aspettative del movimento della disabilità predisponendo e presentando un testo coraggioso e ambizioso, così come gli utenti con disabilità avevano il diritto di attendersi. Ora il gioco passa nelle mani del Parlamento e si fa inevitabilmente più duro, poiché si tratta di colmare le carenze del testo corrente e garantire che la direttiva proposta sia uno strumento utile ed efficace e non soltanto una mera testimonianza di buone intenzioni frustrate.
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