Perché il Museo oggi

di Silvia Colombini

Coniugare il materiale all’immateriale per una dimensione globale della cultura


Nel corso degli ultimi
tre secoli si è andata progressivamente affermando nella politica culturale delle moderne società l’esigenza di dar vita a luoghi espositivi dei patrimoni artistici via via accumulati dal precedente mecenatismo dei ceti aristocratici e dalle esigenze di testimonianza o di abbellimento dei luoghi di culto.
Da subito, quindi, in questi primi “musei” si intrecciarono una molteplicità di obbiettivi, di significati, di valori, che si rifacevano alla tutela di opere d’arte o di tradizione storica messe a rischio da turbative politico-ideologiche (basta pensare agli espropri posti in atto dalla Rivoluzione dell’89); non meno che alla spinta ideologica di condividere “democraticamente” la conoscenza del “bello” fino ad allora riservata al mondo dell’aristocrazia del sangue e del denaro, come pure alla devozione della fede; od anche all’ intenzione pedagogica di formare il cittadino comune ad una fruizione estetica che ne elevasse le consapevolezze relative alla propria appartenenza ad una comunità costruitasi nel tempo secondo una determinata e specifica dimensione civica.
Modalità, quindi, che superavano la tradizione, tutta di derivazione umanistico - rinascimentale, delle “camere delle meraviglie” che, tra il ‘500 e il ‘600, avevano voluto testimoniare la volontà dell’uomo “nuovo” di riconoscere il e di riconoscersi nel creato, per riconfermarvi una propria presenza dopo i secoli della soggezione dell’individuo alla superiore volontà provvidenzialistica.
Musei, dunque, destinati, in primo luogo, a mostrare le eccellenze delle produzioni artistiche dell’umanità, allargatisi via via a raccogliere gli esempi dei risultati del progresso scientifico e tecnologico, fino a testimoniare di particolari attitudini lavorative di una comunità, oppure di ambizioni collezionistiche nei confronti della più svariata oggettistica, quella magari appartenente agli usi di una quotidianità che, in tal modo, si innalza a modello di un’epoca o di una società.
A seguire, lungo il cammino dei tempi, l’ambito museale si è arricchito di spazi destinati a costruire la memoria di un’epoca, di un evento memorabile, di un percorso storico.

Angelo Varni presidente IBC, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia-Romagna

E solitamente questo è avvenuto al momento in cui ci si stava rendendo conto che tale memoria si stava appannando e si sperava di tenerla desta museificandola.
Quasi una contraddizione in termini questa: il sogno irrealizzabile di fissare il fluire del passato, dei suoi sentimenti, delle sue speranze nell’esposizione di “cose” appartenenti alle situazioni evocate. Ma così, ad esempio, è accaduto per il Risorgimento, per la Resistenza, per gli anni Sessanta ed altro ancora ed ora sta accadendo per una tecnica, quella fotografica, che sta cercando di catalogare un’attività ormai fattasi di massa e non più affidata al coniugarsi dell’uso sapiente della macchina con la sensibilità dell’operatore.
Dilatazione, dunque, del concetto stesso di museo, al punto da rendere insignificante l’uso del termine riferito a troppi “compiti”, non sempre univoci e che lo identificano ormai con una realtà legata al passato, con mondi scomparsi che ci si sforza di far vivere, o con la ripetitività di richiami alla forza evocativa di alcuni capolavori artistici, sempre quelli, eternamente portati all’ammirazione “obbligata” delle folle.
Nel frattempo in una simile difficile fruizione si è incuneata la capacità dirompente della virtualità. Con le sue suggestioni di nessi imprevisti tra oggetti e persone, tra sguardi concreti e sensibilità impalpabili e tutto è parso traghettare verso una nuova vita.
Ma certo non appare in alcun modo sufficiente, per dare un senso attuale all’idea stessa di museo, rivitalizzarne le tradizionali e diverse funzioni potenziandole - se si può dire - con l’immissione di più o meno massicce dosi di “virtuale”, capace di modernizzarne la fruizione.

Piuttosto occorre riflettere ad un’idea che, come accadde nel corso dei secoli passati, inserisca il museo nelle esigenze concrete dell’attuale società.
E queste si esprimono soprattutto attraverso il fluire continuo di una rete comunicativa, dove conoscenze, sensazioni, progetti di vita passano ininterrottamente da individuo ad individuo in un’indistinta complessità di rapporti tutti presenti
ad un tempo su di una
sorta di unica piattaforma.
Ecco che allora occorre forse pensare a forme museali, immateriali ma anche - perché no? -
materiali, dove i diversi patrimoni di beni culturali ereditati dal passato e che nessuno di noi (neppure l’uomo “di internet”!) intende disconoscere quale componente fondativa della propria fisionomia individuale e collettiva, interagiscano tra loro con richiami e rimandi tra l’uno e l’altro, resi possibili dalle nuove tecnologie. Così libri e quadri, sculture e apparati scientifici, documenti cartacei e proiezioni di immagini e tutto il patrimonio posseduto possa presentarsi all’individuo di oggi con la predisposizione a rompere le tradizionali barriere tra le differenti forme espressive e gli svariati contenitori (biblioteche e musei, ad esempio) non più separabili all’interno di una dimensione della cultura, appunto, “globale”, che diventi elemento continuo del vivere comunitario e non solo momento specifico di un dialogo solitario tra l’individuo e l’una o l’altra delle espressioni nelle quali si è manifestata la creatività artistica, letteraria, scientifica dell’umanità.

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