Albrecht Dürer o la tensione all’infinito

Cogliere l’importanza rivoluzionaria di un artista che si è spinto a modificare radicalmente il suo presente
Enzo Vignoli

Dopo le indimenticate mostre allestite nel triennio 2016/2018, dedicate a Marc Chagall, Francisco Goya e Max Klinger, quest’anno il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo – sotto la guida dei curatori Diego Galizzi e Patrizia Foglia – approda alla figura di colui cui è universalmente riconosciuto il ruolo di ”padre fondatore del pensiero grafico”. “Albert Dürer. Il privilegio dell’inquietudine”, è il titolo dell’esposizione autunnale che si protrarrà dal 21 settembre al 19 gennaio 2020. Con Dürer l’arte incisoria assume da subito caratteristiche specifiche che la differenziano sensibilmente da quella pittorica. Quanto quest’ultima è, generalmente, espansiva, immediata, emotivamente diretta, tanto alla prima si affidano ricerche espressive spesso nascoste nell’interiorità, alla scoperta di mondi intimi e severi, di natura allegorica, religiosa, meditativa, ma anche legati alla vita di tutti i giorni. Seguendo tale falsariga, il taglio critico proposto alle Cappuccine è quello della narrazione. Attraverso dieci sezioni si dipana, infatti, il racconto della vicenda terrena di Dürer, o meglio della sua incessante ricerca della bellezza assoluta e di una perfezione in quanto tali irraggiungibili perché appannaggio di Dio, secondo il pensiero medievale.

Locandina dell'esposizione - Bagnacavallo

 

Circa 120 le opere grafiche in mostra, a partire dai primi esperimenti all’interno dell’officina di Michael Wolgemut, all’epoca il principale pittore di Norimberga. Dapprima iniziato dal padre alla pratica orafa, «Per tre anni, a partire dal 1486, Dürer lavorò come apprendista presso la bottega di Wolgemut», dove ebbe modo di impratichirsi del mezzo grafico della xilografia.

 

Grazie a tale tecnica, il “racconto” di Dürer si snoda lungo tematiche soprattutto collegate a rappresentazioni bibliche, mentre i suoi bulini – l’altra tecnica grafica prevalente nelle sue composizioni - si aprono anche alla descrizione «di storie e leggende prettamente nordiche». I tre Meisterstiche

 

(Il cavaliere, la morte e il diavolo/ San Girolamo nello studio/Melanconia), portati a compimento nel biennio 1513/14, colgono il punto di maggiore complessità nella ricerca di una sintesi in cui la dettagliata ed estatica esposizione delle bellezze della natura sia temperata e raggiunga il suo compimento attraverso l’applicazione di regole. Soprattutto la Melanconia, cat.38, sembra farci intuire l‘essenza spirituale di un artista sempre teso alla ricerca vana di quella bellezza assoluta e della perfezione.

 

L’unione fra la visione tardo medievale, gotica e nordica con quella in cui prevale la ricerca dell’ubi consistam - di un fondamento logico razionale che dia solidità all’urgenza creativa - fu raggiunta da Dürer grazie soprattutto al secondo viaggio in Italia da lui intrapreso nel 1505, che lo portò al contatto col Rinascimento e alla conoscenza della prospettiva. La Natività, cat.34, è un mirabile esempio di come l’avvenimento capitale per la cristianità, la nascita di Gesù, venga incastonata in forme geometricamente perfette e calata all’interno della concretezza della storia e della vita: apparentemente si toglie centralità alla sacralità del momento, in realtà lo si rende più vicino e solidale con l’umanità.

Le quattro streghe - Dürer (1497)

L’interesse di Dürer per le forme classiche si manifestò anche nei suoi studi «sulla proporzione dei corpi e sui canoni della bellezza». L’artista era conscio di scontrarsi con la «pudica resistenza tedesca ad accettare la nudità classica» e camuffò l’esposizione del nudo femminile deviandolo «all’interno di immagini dal contenuto moralistico» (Le quattro streghe) o sublimandolo nell’esposizione idealizzata dei corpi di Adamo ed Eva.

 

Mentre osservare le opere della nostra contemporaneità comporta spesso l’essere avvolti in nuvole inconsistenti che mutano continuamente senza lasciare alcuna memoria di sé, soffermarsi sulla solidità che ai nostri occhi sanno garantire le creazioni di un passato lontano, pertanto in larga misura ignoto, riesce a tranquillizzarci con la sua concretezza. È l’inganno e la contraddittorietà del rapporto storia/cronaca. Quello che ai nostri occhi appare il rassicurante prodotto di una chiarezza mentale, sociale ed estetica – cose tutte di cui il nostro mondo è orfano - può essere l’errore di prospettiva che c’impedisce di cogliere l’importanza rivoluzionaria di artisti che si sono spinti a modificare radicalmente il loro presente. Dürer è uno di questi: la sua personalità complessa fece di lui un artista visionario, impensabile per l’epoca, un ricercatore universale come fu Leonardo.

 

Adamo ed Eva - Dürer (1504)Il catalogo della mostra sembra voler spingere la comprensione di chi osserva verso quella consapevolezza. L’occhio disattento del visitatore contemporaneo, sempre intrappolato fra immagini che devono catturare, anche con la grandezza delle dimensioni, un’attenzione che si disperde rapidamente, nonostante la concretezza di cui sopra, rischia di “non vedere” quanto viene descritto in composizioni spesso miniaturizzate. Così siamo subito sorpresi da immagini fiabesche che nelle primissime pagine riportano la parte superiore del suo Sant’Eustachio. Castelli inaccessibili fra rocce scoscese evocano un mondo remoto con una ricchezza di particolari ed una gamma infinita di grigi che scatenano emozioni. Dal capo di un cervo spunta un crocifisso a ricordarci sia l’origine divina della natura che ci circonda, sia l’impossibilità per Dürer e l’uomo di eguagliare quella bellezza. Il Sant’Eustachio nella sua interezza (cat.20) ci svela una realtà diversa, in cui l’uomo è circondato dal mondo animale, ritratto con una precisione senza eguali. Dürer, grazie alla sua maestria incantatoria, contrappone una sorta d’inaccessibile magia alta che domina la sottostante placida vita terrena, il tutto sotto l’egida divina. Molto diversa la concezione della realtà nella rappresentazione del Rinoceronte. Dürer non aveva mai visto dal vivo quell’animale, ma se l’era dovuto immaginare ricavandolo da un disegno. Il risultato è una percezione astratta, quasi stilizzata e potrebbe anch’essa essere parte di un mondo fiabesco. Nella Coppia di contadini che danzano (cat.21) più che la “leggera satira” intravista da chi ha analizzato l’opera, chi scrive ha rinvenuto una solidarietà assolutoria, un’adesione priva di compiacimento ad una concreta scenetta popolare. Lasciamo al visitatore la gioia di scoprire i numerosi altri aspetti della personalità di Dürer, adeguatamente rappresentati in mostra.

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