Un esordio pieno di talento, energia, coraggio

“Spilli” (Einaudi Edizioni), la fatica di crescere nel libro di Greta Olivo
Silvia Colombini

Pagina dopo pagina, “Spilli” (Einaudi Edizioni)racconta una storia di formazione che cresce nel cuore del lettore come cresce la protagonista Livia. La bambina manifesta un problema agli occhi che, con il passare del tempo, diventerà sempre più grave tanto da limitare la sua autonomia. Livia si troverà al liceo alle prese con le problematiche dell’età che, unite a quelle del suo problema visivo, le complicheranno la quotidianità. Con una scrittura cinematografica, ironica, capace di sdrammatizzare e commuovere, Greta Olivo racconta senza retorica una storia che rispecchia, seppure nella finzione del romanzo, anche la sua, quella di una ragazza alle prese con una miopia grave.

Crescere significa smettere di trattenere il passato e partire alla conquista dell’autonomia. Quanto è stato difficile nel tuo caso e quanto c’è di Livia in te?

In genere si tende a identificare la protagonista con la scrittrice, ma non è così semplice. Nel nostro caso c’è una corrispondenza di tante cose, il background, siamo entrambe di Roma e siamo simili esteticamente. Poi, per parlare di Livia e dell’adolescenza, un momento nel quale ci si confronta per la prima volta anche con la propria finitezza, ho dovuto sicuramente ricordarmi quello che ero da ragazzina. Non è stato difficile, perché quella parte di me che provava disagio profondo e una certa difficoltà a rapportarsi con il mondo è rimasta e non credo che mi abbandonerà mai. Ed è una parte che è presente non solo in Livia, ma anche in un altro personaggio a me molto caro, che è stato difficile da scrivere perché è più ambiguo, ed è Daniele, il suo compagno di classe, nel quale forse mi identifico di più. Io sono stata un’adolescente molto diversa da Livia, anche a livello di socialità, non so se sarei stata in grado di comportami come lei e questo è il motivo per cui ho deciso di renderla molto diversa da me, da quella che ero. Livia aveva davanti a sé la prospettiva di una vita normale e la malattia gliel’ha portata via, io ho sempre portato con me una sensazione di costante inadeguatezza, che però mi è tornata utile. Ero una ragazzina che osservava molto perché vivevo molto poco, ero poco attiva, e questo osservare mi ha aiutato quando ho cominciato a scrivere.

Greta Olivo e la copertina del suo libro "Spilli" - Einaudi EdizioniCerchiamo tutti di essere riconosciuti nello sguardo dell’altro. Cosa significa formare la propria identità quando questo sguardo resta sempre un po' all’oscuro?

C’è un capitolo in cui si racconta di quando Livia va a via del Corso bendata con la sua guida, ed è un’esperienza che io stessa ho fatto per comprendere meglio cosa significasse. Bendata, il bastone in mano, con il mio accompagnatore ho scoperto che la cosa più tremenda non era il fatto di camminare e non sapere dove andare quando lui a un certo punto mi ha detto “Sappi che ti stanno guardando tutti”. Da quel momento ho cominciato a sentire uno stress, una tensione così forti che mi hanno fatto interrompere la camminata. È questo proprio perché tutti noi esistiamo attraverso lo sguardo altrui e, soprattutto quando siamo adolescenti, l’essere visti è una cosa fondamentale. Per tutti noi, l’essere stati o non stati guardati, considerati, amati attraverso lo sguardo ci ha reso gli adulti che siamo. Ognuno di noi ha reagito a quell’assenza o presenza dello sguardo in modi diversi, ma ce lo portiamo dietro dall’adolescenza perché è il momento in cui cominciamo a renderci conto dell’altro.

Alla fine, è così importante vedere per conoscere e comprendere il mondo che ci circonda?

Questo è un mondo fatto per persone che ci vedono. La vista è il senso che ci orienta di più, ci permette di decidere dove andare, anche in maniera pratica e non solo metaforica. Le persone a cui viene sottratta questa possibilità hanno molto bisogno di farsi raccontare ed è uno dei motivi per cui non ho sentito resistenza quando sono andata al centro Sant’Alessio a dire che stavo scrivendo un romanzo su una ragazza che diventa cieca. Intorno si sente anche una gran paura nei confronti di chi non ci vede, si pensa che i ciechi vivano in un altro mondo e non abbiano bisogno della vista. E invece non è così. Io spesso uscivo dal centro con un senso di leggerezza e alla fine ho capito che era perché quando io parlavo con queste persone loro non mi vedevano. E questo mi faceva sentire leggera, perché alla fine è faticoso, soprattutto per le donne, subire continuamente lo sguardo altrui.

Poi, prendendo confidenza, ho scoperto che in realtà tutti avevano chiesto all’unica persona che ci vedeva, la segretaria, com’ero fatta. Questo perché nonostante io non possa vederti, io voglio sapere come sei fatta ed è stato importante per me da capire. Chi non vede vive in un mondo che non prescinde dalla vista ed è importante rimanerci, non si diventa altro improvvisamente.

Scrivere, immaginare, creare mondi è un’opportunità per fare ordine o per evadere?

Io credo che scrivere sia un modo per dare un senso narrativo quando la vita non ce l’ha. La letteratura è molto riduttiva in realtà rispetto alla vita, ne prende una parte, una porzione e cerca di restituirla, e a volte non è neanche all’altezza della vita. Ma è vero anche che se tu scrivi una piccola parte di mondo, quella piccola parte poi esiste per qualcuno. Scrivere rende più vero, più reale qualcosa che fa parte della vita.

 

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