Nel giugno 1915, quando la contessa Lina Bianconcini Cavazza inizia a delineare la nuova istituzione benefica a favore dei militari che combattono al fronte della Prima guerra mondiale, non esita a chiamare quasi immediatamente una sua “preziosa” collaboratrice, Brigida, conosciuta come Gida, Rossi nominata ispettrice generale dell’Ufficio per Notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare.
Il rapporto tra la contessa Cavazza e Gida Rossi risaliva al periodo del disastroso terremoto di Messina del dicembre 1908, quando Bologna contribuì al progetto di allestimento e funzionamento di un laboratorio con annessa lavanderia per le donne, in modo da favorire la crescita e l’emancipazione femminile che superasse la carità pubblica. Per completare l’opera e aggiungere “un bene morale” all’iniziativa economica, “la Gida” organizza anche un Ricreatorio festivo su modello di quello di Bologna, che dirige nel 1903, dove lei stessa si occupava delle lezioni di rammendo, nonché della direzione del ballo.
“Per far ritornare la vita sulla morte”, “È l’inizio di una nuova vita”, così scrive Gida Rossi nel suo libro di memorie, con un grosso carico di responsabilità. Da Bologna sono inviate tre maestre per l’insegnamento del cucito e del ricamo insieme alle macchine e i mezzi necessari per finanziare l’impresa, a cui si aggiunge una quarta maestra per il compito del lavoro a maglia. Come dice lei stessa, “il mio regno laggiù fu la lavanderia” da attivare e mettere in condizione di recuperare un arretrato di 20 mila coperte di soldati, ferme da mesi e che dovevano essere trattate. “Tutto era da mettere in moto”, le vasche e la macchina per il lavaggio a vapore, così come il deposito e le condutture dell’acqua, il carretto con la “lisciva”, il sapone, le spazzole, le ceste, i fili per il bucato e i ferri per stirare.
Il lavoro è organizzato in tre reparti: “lavatura, accomodatura, stiratura” che occupano le donne operaie, due stiratrici, il fuochista, e tutti i generi di rammendo e aggiustamento dei tessuti. L’8 agosto 1909, la lavanderia apre regolarmente e per Gida Rossi il pennacchio di fumo delle caldaie, la prima grande distesa di panni ad asciugare al sole “vale forse più del diploma di Magistero”. Scrive alla contessa, “che da lontano” l’aveva seguita con il suo consiglio e che esprime una valutazione positiva dell’andamento complessivo dell’azienda: “Se ci vedesse in questo momento, ci direbbe brave. La lavanderia va”, e conclude con la considerazione che a breve sarà in grado di coprire le spese di gestione.Gida Rossi lascia il villaggio il 5 settembre; tornata a Bologna, prosegue la sua attività a favore delle donne e dell’infanzia con il progetto di costituzione della Casa del Sole nella Villa Armandi Avogli, detta Villa delle Rose, in località Meloncello, dove nel 1922 trovano cura e conforto i figli dei mutilati, specialmente i tubercolotici, “i bimbi di guerra”, assistiti dal Comitato femminile bolognese pro mutilati e invalidi di guerra di cui per un certo periodo è anche presidente.
Gida Rossi muore il 12 dicembre 1938; la ricorda una lapide in marmo con una scultura a rilievo in bronzo raffigurante il Cristo realizzata dall’artista Leonardo Bistolfi. Una scuola materna nel quartiere Borgo Panigale è intitolata a suo nome.
Letture
Gida Rossi, Da ieri e oggi, (Le memorie d’una vecchia zitella), Bologna, L. Cappelli Editore, 1934.
Paola Furlan, Ufficio per notizie alle famiglie dei militari, in “Vedere Oltre”, aprile 2019.
Mirella D’Ascenzo, Gida Rossi, in Memoria scolastica.it.
Maria Giovanna Bertani, Gida Rossi, 1862-1938, in Storia e memoria, sito web del Comune di Bologna.