Bologna la “Manhattan
medioevale”

di Paola Emilia Rubbi

Una selva di torri svettanti, alte, verso il cielo.


“Ogni bolognese in terra straniera si commuove al ricordo della torre”. Non lo dico io: lo ha affermato Stendhal, nel 1816, quando Asinelli e Garisenda erano ormai da tempo divenute simbolo della città, definita anche “selva turrita”, che nel 1543 appariva a Leandro Alberti come un grande vascello arenato nella pianura, cui faceva da albero maestro la torre Asinelli e quasi un secolo dopo, nel 1645, la stessa immagine venne usata dallo scrittore inglese John Evelyn, nel diario del suo viaggio in Italia.

Foto - Torre Azzoguidi

Molto più modernamente Eugenio Riccomini definisce Bologna “una Manhattan medioevale” per lo svettare fitto di questi straordinari manufatti, la cui origine, come elementi di architettura, si perde nella notte dei tempi, se è vero, come si dice, che all’epoca degli Assiri e dei Babilonesi, nella sola città di Ninive se ne contavano più di 150 e che, lungo la valle del Tigri, si sono ritrovati anche i resti di torri isolate dal contesto murario.

Foto - Veduta delle due torri

Ma se all’origine lo scopo per cui le torri venivano erette era puramente difensivo o di avvistamento, quando si giunge al Medioevo bolognese (età

della massima fioritura locale di questo originalissimo elemento architettonico) altre motivazioni si aggiungono per il loro sorgere: la necessità di sfruttare al massimo, puntando verso l’alto, lo scarso spazio disponibile entro la cerchia delle mura, e la voglia di mostrare la potenza e l’importanza della propria famiglia. La torre, insomma, come status symbol, anche se, all’occorrenza, ci se ne serviva anche a scopo difensivo. Viene dunque spontaneo chiedersi: ma quando è iniziata questa “era delle torri” a Bologna? La data precisa non si conosce (e sarebbe anche difficile stabilirla), ma si sa quando è stato redatto l’ultimo accordo scritto per la costruzione di una torre, ritrovato negli archivi della città: il 1196. Di scritture simili antecedenti ce ne sono in quantità; di successive, nessuna. È dunque a cavallo tra i secoli XII e XIII che Bologna registra la più alta concentrazione di torri della sua storia. Quante erano? Esattamente non si sa. Possiamo fare un salto di molti secoli e ascoltare il conte Giovanni Gozzadini che, nella sua “Monografia sulle torri gentilizie bolognesi”, pubblicata nel 1875, afferma che, fra i secoli XI e XIV, ne esistevano 193, e ne fornisce nomi e descrizioni. Oggi, le superstiti superano di poco la ventina: due (l’Asinelli e la Garisenda) assurte addirittura a simbolo della città; altre, anch’esse quasi intatte, pur nel trascorrere del tempo, si possono vedere rinserrate nelle suggestive stradette del centro storico (come la Uguzzoni; la Prendiparte, nota come “Coronata”; la Azzoguidi, conosciuta come “Altabella”; la Galluzzi); e altre ancora, trasformate in altane o abitazioni, inglobate in edifici posteriori. Vale la pena, però, nominarne almeno altre cinque delle quali purtroppo resta solo il ricordo: la Riccadonna, la Artenisi e la Guidozagni, in primis. Le loro strutture erano emerse a poche decine di metri dall’Asinelli e dalla Garisenda, nel corso degli sventramenti di parte del così detto “Mercato di mezzo”, quando, nel 1910, si procedette alla modernizzazione urbanistica del centro cittadino, per fare largo alle nuove arterie. Dopo lunghe e accese polemiche, i “rinnovatori”, capeggiati da tale ingegnere Ceri, ebbero la meglio e i tre medioevali manufatti vennero demoliti. Demolita fu anche, in tutt’altra epoca: era il 1390, la torre Cornacchina, descritta dal cronista bolognese Pietro di Mattiolo come “alta e bella,

Foto - Veduta di Bologna dall'alto

la quale era de suora de la piazza, rempetto lo spedale della morte”: sorgeva, cioè, di fianco all’ospedale, oggi Portico della Morte, e fu abbattuta per fare posto alla nascente chiesa di San Petronio. Molto più movimentata è, infine, la vicenda della Torre della Magione: annessa alla chiesa di S. Maria del Tempio (o della Magione, per la vicinanza con la sede, detta, appunto Magione-dei Cavalieri Templari), sorgeva, con i suoi 24 metri di altezza, vicino al vecchio civico 213 di Strada Maggiore e, isolata, impediva la vista dell’edificio sacro. Nella sua “Historia di Bologna” frate Cherubino Ghirardacci racconta che Achille Malvezzi, priore dell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani di Malta, decise di farla spostare e ne diede incarico ad Aristotile Fioravanti “ingegnero del Comune di Bologna” ed “eccellente architettore”, il quale, l’8 agosto 1455, compì l’impresa “mirabolante”: facendo scorrere il manufatto su cilindri di rovere cerchiati di ferro, lo spostò di 18,24 metri, collocandolo sul “cantone di Malgrà”, cioè più vicino alla chiesa. Non finì qui.

Foto -Le torri Garisenda e Asinelli a Bologna
Nel marzo 1825, Luigi Aldini, divenutone proprietario, fece demolire la torre e oggi a ricordarne l’esistenza c’è solo una piccola lapide fatta apporre dal Comune di Bologna, nel luogo ove fu abbattuta, all’angolo fra Strada Maggiore e vicolo Malgrado.