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Compianto su Cristo morto

Autore: 

Giotto di Bondone (Vespignano,1267 ca. – Firenze, 1337)

Datazione: 

1304–1306 ca.

Collocazione attuale: 

Cappella degli Scrovegni - Padova

Tecnica e dimensioni dell'opera originale: 

Tempera ad affresco; cm 200 x 185

Tecnica e dimensioni della traduzione plastica: 

Bassorilievo prospettico in gesso alabastrino; cm 49,5 x 50,5 x 8

Soggetto iconografico: 

Il motivo iconografico del Compianto su Cristo morto ha origine nella cultura bizantina del IX secolo d.C. ed è una rappresentazione di natura cultuale. Tale iconografia si avvale dei principi di ieraticità e sacralità che in questo secolo riguardano le immagini cristologiche e mariane.

Nel Compianto compare sempre l’immagine di Cristo che, adagiato sulla terra nuda o su un cataletto, è rappresentato circondato dai personaggi già presenti all’atto della Deposizione: Maria Vergine, Maria Maddalena, Maria di Cleofa, Maria Salomè, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea, Giovanni Evangelista e talvolta il gruppo di fedeli che assistono alla scena del pianto sul corpo di Cristo. Secondo le fonti documentarie Giuseppe d’Arimatea ebbe il compito di estrarre i chiodi dalle mani di Cristo, e per questa ragione, iconograficamente, viene rappresentato alla sua testa, mentre Nicodemo, che estrasse i chiodi dai piedi di Cristo, tradizionalmente viene ritratto ai suoi piedi, a destra nella composizione. Cristo è sempre rappresentato con il capo a sinistra e il corpo disteso, ricomposto, rivolto a destra. Questa tipologia iconografica, diffusa e osservata lungo tutto il Medioevo e Rinascimento, riceve qui una rinnovata trattazione. Al cospetto del figlio di Dio troviamo le mistiche Marie: Maria Vergine, Maria di Cleofa, Maria Salomé e Maria Maddalena, infine Giovanni Evangelista. La tradizionale iconografia, così composta, nei secoli ha subito variazioni che non hanno comunque mutato la sostanza del contenuto teologico della scena, espresso dai personaggi e dalla tipizzazione delle reazioni dettate dai diversi stati d’animo degli astanti.

Descrizione dell’opera: 

Nel Compianto su Cristo morto, scena tratta dal ciclo di affreschi ubicato nella Cappella degli Scrovegni di Padova, Giotto dipinge con grande incisività e forza espressiva un paesaggio occupato dalle tradizionali figure presenti nell’iconografia del Compianto. Il realismo prospettico con il quale i soggetti sono immersi nello spazio rivela già il nuovo impianto spaziale proposto nella pittura di Giotto. Non più lo spazio bidimensionale dell’arte bizantina e alto medievale, bensì quello tridimensionale e naturalistico della tradizione classica, dove la profondità spaziale è rappresentata secondo i principi della prospettiva naturale e non artificiale. La rappresentazione dello spazio a più punti di vista, che simulano la visione ottica mobile, è uno spazio empirico, ovvero esperienziale, non geometrico, non matematico.
La composizione pittorica è divisa da una diagonale percepibile tattilmente nella riproduzione tridimensionale, come crinale che divide lo spazio della scena del Compianto dallo spazio paesaggistico. Sovrasta l’insieme il cielo azzurro, nel quale troviamo sospesi gli angeli, partecipi nel loro volo tormentato e nel pianto al dolore degli astanti. A partire dalla lettura dei piani di posa, in primo piano si colgono due figure femminili il cui volto non è leggibile poiché entrambe sono rappresentate di spalle, coperte da un lungo manto verde azzurro. La prima, posta a sinistra dell’osservatore, è ritratta accovacciata, curvata nella schiena, con la testa china, in atto di dolore. È rappresentata in lieve scorcio e volge idealmente lo sguardo abbassato a destra, in direzione del volto di Cristo, da lei poco distante.
La seconda figura centrale assume, analogamente alla prima, la medesima postura, con la differenza che la direzione cui volge lo sguardo è frontale, anche se lo scorcio rivela una posizione del corpo di tre quarti, rivolto a sinistra della composizione. Della prima figura si legge in scorcio la gamba destra, della seconda la sinistra. Tutte e due le donne siedono a terra e partecipano compostamente alla scena. In secondo piano si compie l’atto di dolore più intimo ed espressivo delle Marie sul corpo di Cristo. Cristo non è adagiato sulla terra nuda, il suo corpo è leggermente sollevato e giace parzialmente sulle ginocchia di Maria Vergine (posta a sinistra del dipinto rispetto l’osservatore) che abbraccia spalle e busto del figlio, avvicinando il proprio volto al suo. La scena è resa con drammaticità misurata e con realismo stringente. Cristo, parzialmente occultato in prossimità del bacino e delle gambe dal corpo della figura femminile centrale, collocata in primo piano, cui abbiamo fatto riferimento precedentemente, ha un incarnato livido e sembra rigido, quasi colto dal rigor mortis. Il figlio di Dio occupa la scena, a partire dalla testa a sinistra, fino a tre quarti della larghezza del dipinto ad affresco. Il volto di Cristo è tipicamente gotico, mentre l’anatomia del suo corpo rivela già un avvicinamento di Giotto all’arte classica, quindi alla tradizione latino romana. La figura di Maria Maddalena, ai piedi di Cristo, è inconfondibile, la femminilità che la connota nasce da piccoli accorgimenti, dettagli che riguardano la capigliatura, folta e non completamente raccolta, né nascosta da alcun velo. Maria Maddalena è vista di profilo, il suo corpo, in prossimità del busto, è visto di tre quarti e risulta coperto da una veste dal colore chiaro. La posizione assunta, iconograficamente, è di grande innovatività; Maddalena infatti viene rappresentata seduta, con le gambe allungate e leggermente flesse, coperte da un manto rosso e poste a contatto parziale con la terra, quindi, idealmente, con il corpo di Cristo. I personaggi aureolati sono solo quelli investiti dalla sacralità e dalla santità, tutti gli altri sono uomini e donne comuni, che assistono mestamente, sia pur turbati, al compianto. Maria Maddalena sorregge delicatamente i piedi di Cristo e piange il deicidio. La bocca schiusa, i lineamenti regolari, l’allungamento dell’occhio a forma di mandorla, sono tutti tratti che enfatizzano la sua bellezza ed emotività. In terzo piano si collocano Maria di Cleofa e Maria Salomè: entrambe le figure esprimono apertamente il loro dolore, sono ritratte l’una in piedi, collocata a sinistra rispetto l’osservatore e in posizione retrostante il volto di Cristo, con manto azzurro viola e braccio destro sollevato in atto di dolore, l’altra al centro, in posizione china sul corpo di Cristo, colta nell’atto di sollevarne dolcemente le braccia sostenendo i polsi, quasi a voler perpetuare un ultimo, possibile contatto con il Messia. Il corpo di Maria Salomè è straordinariamente espressivo, il viso rivolto a quello di Gesù, drammatico nella sua espressività, trattiene con la realtà del dolore un rapporto di somiglianza e identità. Maria Salomè ha il capo parzialmente coperto dal manto. In quarto piano appare l’immagine toccante di Giovanni Evangelista; la postura assunta è di grande suggestione. Braccia spiegate e tese dietro al busto, viso teso in direzione del volto di Cristo. Giovanni è ritratto nella sua giovane età come Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè. Giovanni si apre a un’espressione di dolore eloquente, è ritratto di profilo e l’espressione del viso ricalca la tipologia degli altri volti sofferenti. Giotto sottolinea la partecipazione emotiva dei personaggi, esaltandone l’espressività senza portarsi a una lettura esacerbata dell’espressività. Appena retrostanti a Giovanni evangelista troviamo, nell’ordine, dal centro verso il margine destro della scena, le figure di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Entrambi raffigurati in posizione composta, in piedi. Giuseppe d’Arimatea è caratterizzato da una folta barba e dalla nuca stempiata, Nicodemo da una barba più contenuta. A sinistra rispetto alla composizione, dove i piani di posa si susseguono progressivamente, troviamo un’altra donna piangente, la sua posizione è eretta e il capo reclinato a destra è sorretto dalle mani giunte, secondo una tipologia posturale diffusa nell’iconografia del Compianto. Alle spalle della donna una piccola folla di fedeli, appena visibile, chiude la scena e allude a un ipotetico corteo.
In alto, sospesi in un cielo terso, proprio sopra i dolenti, troviamo dieci angeli, disposti in modo quasi equidistante, ma non forzatamente regolare nella simmetria e posizione speculare. Si tratta di angioletti piccoli, ma dalle espressioni tutt’altro che inconsapevoli. I volti degli angeli sono turbati, come quelli dei personaggi descritti, il pianto porta nei loro tratti minuti la concitazione, la disperazione. Il loro volo si fa agitato e muovendo da sinistra in alto, si scorgono allineati verticalmente tre angeli, ritratti rispettivamente: il primo e il secondo con braccia aperte, il terzo con le mani sul volto, poco più a destra altri due angeli allineati, il primo in alto con mani sul volto, il secondo in basso con gli occhi coperti dal manto, a impedire la vista del deicidio. Lungo due linee virtuali e oblique, collocate quasi parallelamente, si leggono tre angeli, due dei quali a braccia aperte, mentre il terzo a mani giunte e due angeli che chiudono la teoria, collocati verso il margine sinistro, in prossimità dell’albero posto sulla sommità della rupe. Partendo dall’alto, l’angelo più vicino ai rami dell’albero si presenta con le mani giunte, quello più prossimo al gruppo dei piangenti alza le braccia e apre le mani con espressivo atto di dolore. I volti di queste creature alate sono decisamente umani, pur nella grazia espressa dai loro corpi, nei visi addolorati e nei gesti concitati, si legge la loro appartenenza alla passione umana. Un cielo blu intenso diventa sfondo tridimensionale, si tratta di uno spazio aperto che fa pensare alla profondità e a una natura che assiste immota alla dinamica delle azioni, delle espressioni e degli stati d’animo.

Cenni sull'artista: 

Giotto di Bondone nasce da una famiglia benestante e viene affidato giovanissimo alla bottega del pittore Cenni di Pepi, detto Cimabue. La tradizione storiografica di tutti i tempi riconosce Giotto come uno degli artisti più influenti del Trecento, la cui grandezza era già nota ai suoi contemporanei e la cui scuola generò una vera e propria corrente stilistica destinata a influenzare fortemente XIV e XV secolo. La sua attività artistica si sviluppò a Firenze, Assisi, Padova, Rimini, Roma, Napoli e Bologna e il suo linguaggio innovativo condusse all’umanizzazione delle iconografie sacre poiché, come asserisce Cennino Cennini, nel capitolo introduttivo a Il libro dell’Arte, egli “(…) Rimutò l’arte del dipignere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avesse mai più nessuno (…)”. È universalmente riconosciuto che l’apparizione di Giotto sulla scena dell’arte mutò la concezione, i modi, le finalità del “fare pittorico” esercitando una profonda influenza nella cultura del proprio tempo e la vastissima esperienza di questo straordinario artista può considerarsi fondamento dell’arte occidentale.

Dipinto: 

Compianto su Cristo morto

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loretta.secchi@cavazza.it

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