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Deposizione di Cristo

Autore: 

Michelangelo Merisi da Caravaggio

Datazione: 

1602-1604

Collocazione attuale: 

Pinacoteca Vaticana, Musei Vaticani - Roma

Tecnica e dimensioni dell'opera originale: 

olio su tela; cm 300 x 203

Tecnica e dimensioni della traduzione plastica: 

bassorilievo prospettico in gesso alabastrino; cm 69,5 x 46,5 x 11

Soggetto iconografico: 

La Deposizione di Cristo nel sepolcro è una variante della rappresentazione della deposizione di Cristo dalla croce, e l’origine di questa tipologia si presume sia francese. La scena avviene nel tardo pomeriggio del Venerdì Santo, in un orto vicino al Calvario, nei pressi della tomba scavata nella roccia dal discepolo di Gesù, Giuseppe d’Arimatea. I personaggi raffigurati sono gli stessi che incontriamo nel Compianto, ovvero Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Maria Vergine, Maria Maddalena, l’apostolo Giovanni; talvolta anche San Pietro e Maria di Cleofa. Le fonti per questo tema sono i Vangeli canonici e apocrifi della Passione, ripresi nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Non va dimenticato che il tema della deposizione fu tanto caro alla tradizione cultuale, medievale, quanto a quella devozionale, rinascimentale e barocca. La deposizione di Cristo infatti, fin dall’età gotica, tratta in modo diretto e toccante il tema della perdita e dà spazio al dolore nel distacco dal mondo, umanizzando il soggetto sacro e il rapporto, sia individuale che corale, con la vita e la morte. Le varianti al tema si possono così sintetizzare nelle rappresentazioni: Trasporto di Cristo al Sepolcro; Meditazione sul Cristo morto nei pressi del Sepolcro; e infine Lamento sul Cristo deposto sulla pietra dell’Unzione. La cerimonia dolente e muta del seppellimento di Cristo tradizionalmente prevede la presenza dei due discepoli, Nicodemo e il nobile Giuseppe d’Arimatea. Si narra che il primo avesse recato una mistura di Mirra e Aloe per purificare e imbalsamare la salma di Gesù, il secondo invece il bianco lenzuolo con cui avvolgerla e trasportarla al sepolcro prima di seppellirla. Ed è quando nella scena compaiano anche i vasetti per gli unguenti, che la variante iconografica della Deposizione nel sepolcro prende il nome di Pietra dell’unzione. Nella Deposizione di Caravaggio, notiamo che è Nicodemo (o Giuseppe d’Arimatea per alcune interpretazioni) a reggere il corpo di Cristo, insieme all’Evangelista Giovanni. Le donne sullo sfondo sono le tre Marie di cui si parla nel Vangelo di Giovanni. A partire da destra, secondo gli interpreti, è raffigurata con volto giovane Maria di Cleofa, Maria di Magdala, Nicodemo, Maria Vergine e Giovanni Evangelista. La scena si apre a ventaglio, stagliata su uno sfondo scuro e sviluppata sulla superficie di una lastra tombale il cui spigolo in primo piano ne accentua la tridimensionalità. Le mistiche piangono il deicidio e sembrano levare un silente lamento che culmina nelle braccia alzate di Maria di Cleofa.

Descrizione dell’opera: 

La Deposizione nel sepolcro, considerata uno dei massimi capolavori di Caravaggio, è un dipinto su tela. Fu commissionato da Girolamo Vittrice per la cappella di famiglia in S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) a Roma. Nel 1797 il dipinto fu incluso nel gruppo di opere trasferite a Parigi in esecuzione del Trattato di Tolentino ed entrò a far parte della Pinacoteca di Pio VII, dopo la sua restituzione avvenuta nel 1816. Caravaggio in questo dipinto non raffigura esattamente il seppellimento di Cristo, né la tradizionale Deposizione dalla Croce, poiché il redentore qui non è rappresentato nel momento in cui viene tolto dalla Croce o calato nella tomba, bensì quando, alla presenza delle mistiche, viene adagiato da Nicodemo (per altri Giuseppe d’Arimatea) e dall’apostolo ed evangelista Giovanni, sulla Pietra dell'unzione, la pietra tombale con cui verrà chiuso il sepolcro. Cristo è dipinto nella dignità della morte, con il volto rivolto all’indietro, il corpo restituito con dettaglio anatomico e percorso da un’ideale linea spezzata, dove il braccio destro e le gambe, omaggio alla Pietà vaticana di Michelangelo Buonarroti, viste in lieve scorcio prospettico, comunicano il principio fisico del peso specifico. Intorno a lui si dispongono da sinistra a destra, “a ventaglio”: Giovanni, Maria Vergine, Maria Maddalena, Nicodemo e Maria di Cleofa che alza le braccia e gli occhi al cielo, in un gesto di altissima tensione drammatica. Caravaggio, giunto a Roma verso il 1592-‘93, fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione artistica relativa al modo di trattare i soggetti, all'uso del colore e della luce, e resta la personalità più importante della corrente "realistica" della pittura seicentesca. Nell’opera emergono sapienti effetti chiaroscurali che conferiscono al dipinto, dai toni caldi, un’imponente plasticità delle forme. Osservando la scena nel rispetto dei piani di posa che progressivamente scandiscono la profondità prospettica dell’immagine, si può notare però come Cristo e Nicodemo occupino rispettivamente il piano più esposto e visibile all’osservatore, malgrado resti comunque lo spigolo della lastra sepolcrale ad essere, a tutti gli effetti, il punto più prominente della scena. Seguono Giovanni Evangelista e Maria Maddalena, parzialmente occultati dal corpo di Cristo, e Nicodemo. In posizione arretrata compare Maria Vergine e infine, nell’ultimo piano di posa, Maria di Cleofa. L’inquadratura sembra presupporre un osservatore che guardi dal basso verso l’alto, coincidendo il punto di vista con la base della grande pietra sulla quale poggiano i piedi di Nicodemo e Giovanni Evangelista, impegnati a calare il corpo di Cristo nella tomba. La Lastra sepolcrale, di cui si scorge in primo piano il profilo ad angolo, funge da simbolo ed è "pietra" sulla quale sorgerà l’edificio della Chiesa, simbolicamente toccata dall’estremità del braccio del Redentore. Il corpo di Cristo è motivo fondamentale del quadro, occupando per intero la sua larghezza e sviluppandosi secondo una linea ben studiata che dall’orizzontale della testa e del tronco fa partire la verticale del braccio e il triangolo disegnato delle gambe piegate e sostenute da Nicodemo. Il dipinto, nella metà superiore, si sviluppa secondo una diagonale che dal centro va verso l’estremo superiore destro. Seguendo una lettura tattile progressiva, lungo questa diagonale ideale, e nel rispetto di un duplice arco, si dispongono le teste dei personaggi che compaiono nella scena, a culminare nella figura di Maria di Cleofa, dalle braccia alzate e colta in posa di eloquente teatralità. Tangente all’inizio della curva si ha la prima triangolazione di teste, a partire dal volto di Cristo. Muovendo quindi da sinistra a destra e dal basso in alto, cogliamo Cristo, poi Giovanni Evangelista in posizione sopraelevata e chino su Cristo, con indosso una veste verde sormontata da un lungo manto rosso che si sviluppa, a tratti, in pieghe arrotolate, fino a poggiare sulla lastra. A seguire vediamo Nicodemo, spostato a destra della composizione e ritratto di profilo, che indossa una veste semplice, dai colori terrosi. Nicodemo ha il volto rivolto verso lo spettatore, quasi a volerlo introdurre nella scena e assume una posizione lievemente ribassata rispetto a quella di Giovanni. Segue una seconda curvatura, o triangolazione, composta da Maria Vergine, Maria Maddalena, Maria di Cleofa. A partire dal vertice di sinistra, troviamo Maria Vergine il cui velo bianco, sormontato dal mantello blu scuro, illumina il volto dolente e composto. Le sue braccia sono aperte e tese, essendo lei Madre e immagine dell’Ecclesia, a creare un simbolico abbraccio universale volto ad accogliere gli astanti e metaforicamente l’umanità. La mano destra è sopraelevata e posta parallelamente al capo di Cristo, la sinistra, appena intravista sotto il braccio di Maria di Cleofa, si pone al di sopra dei piedi del figlio. In questo modo le due Marie, con le braccia in verticale la prima, e in orizzontale la seconda, creano una barriera, quasi a contrastare con il loro corpo l'avanzare dell'oscurità che incombe alle spalle del gruppo. Una barriera creata più dal desiderio di amorosa protezione che dall'effettiva efficacia del gesto. Poiché di lì a poco l'ombra del sepolcro che si intravede sotto la grande pietra, avvolgerà quel corpo umano e divino, trasfigurato dalla luce. Maria Maddalena ha una veste tardo rinascimentale, con camiciola e corpetto. La spalla sinistra risulta parzialmente scoperta e cinta dal mantello bruno. Ha lunghi capelli raccolti in morbide trecce e nel volto chinato, è ritratta mentre piange la morte di Cristo e asciuga le lacrime con un fazzoletto stretto nel pugno della mano destra. Il suo pianto ricorda l'episodio raccontato da Luca della peccatrice perdonata. Una donna anonima che bagna di lacrime i piedi di Gesù li asciuga con i capelli e li cosparge di olio profumato. Mentre Gesù, davanti agli scandalizzati ospiti, elogia il suo amore e la perdona. Nella tradizione l'anonima peccatrice e Maddalena sono state spesso associate, mentre oggi l'esegesi è propensa a non identificarle. Maria di Cleofa si pone come figura in ultimo piano di posa, vestita similmente a Maria di Magdala ma priva di quella, sia pur calibrata, componente sensuale conferita alla Maddalena. Il volto alzato e rivolto, insieme alle braccia, al cielo, è un atto di dolore e invocazione. Ma torniamo a sinistra della composizione, dove riconosciamo l'apostolo Giovanni, presente alla crocifissione e qui ritratto mentre sostiene, insieme a Nicodemo, il corpo di Cristo. Se seguiamo il resoconto del vangelo di Giovanni (Gv 19,38-42), il personaggio di destra, per foggia degli abiti e umiltà, potrebbe essere proprio Nicodemo: "Essi [Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo] presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende...". Nicodemo, chinato, ha un viso dai tratti popolani e segnato dall’età: sembra inoltre guardare in basso, in direzione del luogo in cui verrà deposto il corpo di Cristo ormai privo di vita. Nicodemo ha una corporatura robusta, gambe solide e vigorose, scoperte; i suoi piedi sono forti e ben visibili e poggiano stabili sulla superficie della lastra tombale. Stringe a sé le gambe del "messaggero di liete notizie", ormai inerti. Furono infatti quelle gambe a portarlo di notte alla frequentazione nascosta di Cristo e a lui, ora, spetta il compito di accompagnare il suo Signore nella notte della tomba, ad incontrare Gesù che gli parlò della necessità, per entrare nel regno di Dio, di nascere dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3,1-21). In questa prima scena roccia, lastra tombale, e telo-sudario costituiscono elementi imprescindibili ai fini di una interpretazione teologica e lirico-poetica. La solida roccia è la lapide del sepolcro. Per un perfetto gioco di luce l'angolo sembra sporgere dal quadro. Oltre alla "pungente" inesorabilità della morte, qui ampiamente documentata, gli storici dell’arte vi hanno letto il riferimento alla "Roccia che, scartata dai costruttori, è divenuta testata d'angolo". E anche alla Kefa, Pietra, su cui è fondata solidamente la Chiesa, voluta da Gesù come suo corpo per essere presente in tutti i secoli e luoghi del mondo. Nicodemo di Caravaggio assomiglia a Simon Pietro, la Kefa su cui Gesù ha fondato la Chiesa. Il candido telo che nel curvarsi asseconda e quasi ridisegna il corpo di Cristo, circondandolo ed enfatizzandone l’anatomia, è la Sindone: veste nuziale del morto. Egli scende negli inferi, lo Sheol, come lo sconfitto e l'abbandonato, ma trionfa in nuova vita. È colui che, senza peccato, risorgerà prima che il suo corpo veda la decomposizione. Vi è poi il dito della mano destra di Cristo, a toccare la lastra sepolcrale, in posizione simile a quella benedicente, sia pur mimetizzata dal realismo di Caravaggio, per l’oggettivo abbandono di una gestualità cosciente. Il braccio di Cristo pende verso il basso, attirato dalla forza di gravità. La natura lo domina e il suo corpo pur nella nobiltà della morte ha un evidente peso specifico. Ma ecco che le dita della mano destra quasi si "impigliano" al bordo della pietra. L'indice e il medio fanno da perno, fermando momentaneamente la mano e arcuando leggermente il braccio che viene spostano in avanti dalla pietas dei discepoli. Essendo il punto di incontro tra Dio e l'uomo Cristo nel toccare la pietra tombale rimanda al principio di identificazione con essa: "Io sono la Roccia sulla quale poggia la mia Chiesa di discepoli". E al tempo stesso, oltre il messaggio teologico, il gesto è eloquente espressione di quel che significa, nella visione escatologica, il viaggio dell'Incarnazione. Anche l’apparente marginale presenza - in basso e in primo piano a sinistra e sullo sfondo in alto, sempre a sinistra - di due piante che alludono alla putrefazione, rigenerazione e resurrezione, unitamente alla comparsa dei massi che sostengono la lastra sepolcrale, riporta alla complementarità tra vita e morte, luce e ombra, superficie e profondità, fisica e metafisica. Entrare nel mondo, diventare materia, partecipare alla morte. Dio in Cristo ha toccato la caducità del cosmo e della condizione umana. Senza questo contatto la vanità della nostra apparizione sarebbe intatta ed è proprio la percezione fisica dell’essere forma, sostanza e materia che orienta ciascuno alla comprensione della funzione conoscitiva dei sensi.

Cenni sull'artista: 

Michelangelo Merisi, detto “Caravaggio”, nacque a Milano nel 1571 e si spense a Porto Ercole nel 1610. È considerato uno dei più importanti pittori della storia dell’arte italiana. La forte carica drammatica ed emotiva e la teatralità delle sue opere sono stati di ispirazione per molti artisti del barocco europeo. Nonostante venga ricordato con il nome di “Caravaggio” (piccolo paese in provincia di Bergamo). L’artista, fin dalla più tenera età dovette fare i conti con la morte: la peste infatti uccise suo padre, il nonno e lo zio quando aveva solo sei anni. La sua carriera artistica cominciò a tredici anni, quando andò a bottega dal pittore manierista Simone Peterzano, a Milano. Per molti anni non si ebbero più notizie sulla vita del giovane Caravaggio, fino al 1594, anno in cui l’artista si trasferì a Roma. Secondo alcuni, l’artista lasciò Milano perché sospettato di omicidio. A Roma Caravaggio amava frequentare le osterie dei quartieri malfamati che ritrasse nei suoi dipinti, ritraendo un’umanità reietta e poverissima. Nella sua pittura si respira il vero dell’umano ma il celebrato suo realismo è principalmente un saper cogliere l’essenza della vita e la tragedia della morte. Il suo classicismo non è mai freddo, accademico, piuttosto maturato mediante una profonda conoscenza dell’anatomia. Luce e chiaroscuro sono nella sua pittura cifra simbolica. L’artista non raggiunse mai Roma, ma morì a Porto Ercole nel 1610, a 38 anni, senza sapere che il pontefice qualche settimana prima aveva inviato a Napoli un messo con il condono papale per assolvere l’artista dai suoi crimini.

Dipinto: 

Deposizione di Cristo

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Curatrice del museo:

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loretta.secchi@cavazza.it

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