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Datazione:
Collocazione attuale:
Tecnica e dimensioni dell'opera originale:
Tecnica e dimensioni della traduzione plastica:
Soggetto iconografico:
Le fonti letterarie del mito dei Giganti vanno rintracciate nella Teogonia di Esiodo, nei Fasti e nel primo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Le divinità dell’Olimpo, guidate da Zeus, intento a scagliare fulmini, hanno vinto la battaglia contro la stirpe dei Giganti che aveva tentato di raggiungere il monte sacro per sostituirsi agli dèi. In questa battaglia cosmica, solo il trono di Giove, posto nell’alto del cielo, sembra essere immerso nella quiete. Il tema dei Giganti atterrati da Giove è denso di significazioni simboliche che qui necessitano anche di un’interpretazione allegorica, in chiave politica. In Giove è riconoscibile l’Imperatore Carlo V, trionfante sui nemici e sugli eretici e nei Giganti ribelli, puniti per avere tentato l’assalto all’Olimpo, è possibile individuare i Principi italiani in rivolta ai danni dell’Impero.
Altri elementi della decorazione possono inoltre essere interpretati con significati ambivalenti: l’Olimpo, il fulmine, l’aquila sono attributi di Giove ma anche imprese dei Gonzaga, e lo stesso Giove fulminante è il simbolo del potere imperiale in cui la celebre Signoria si era identificata, mirando a maggiori fortune.
Descrizione dell’opera:
Il bassorilievo traduce tridimensionalmente la parete nord della Camera dei Giganti sulla quale è ubicata la porta d’ingresso. Si tratta della celebre rappresentazione della Caduta dei Giganti che franano, fulminati da Giove, insieme a colonne e archi di un’architettura di ispirazione classica. La scena è giudicata tra le più suggestive e visionarie dal punto di vista delle proporzioni e delle invenzioni stilistiche e sorprende grandemente e inaspettatamente l’osservatore. Come si può evincere dalla percezione del plastico apribile che riproduce l’intera architettura della camera, anche nella lettura di questo bassorilievo si comprende bene la concezione spaziale di Giulio Romano. All’interno di una stanza a pianta quadrata, le pareti sfumano verso la volta a calotta, innestata su angoli smussati che si mimetizzano con gli affreschi, rendendoli una scenografia senza soluzione di continuità. Qui siamo trascinati al centro di una spaventosa catastrofe e sembra che l’intera architettura stia crollando. Tale impressione permane inalterata nella lettura del rilievo, le cui dimensioni, molto ampie, rafforzano l’impressione di dilatazione delle forme e affastellamento degli elementi. Si consiglia una lettura bimanuale che dalla percezione perimetrale e della corona di nubi nella fascia superiore, con agli angoli la personificazione dei venti, proceda nell’individuazione del crollo delle colonne, poi nella lettura del gruppo centrale di Giganti, fino a raggiungere il cedimento della Serliana e infine altri Giganti, a sinistra e a destra dell’osservatore, schiacciati sotto il peso delle macerie.
La scena presente sulla parete nord è tra le più sovradimensionate, e ciò concorre a sottolineare il concitato titanismo che Giulio Romano conferisce all’intero ambiente. Qui le volte si squarciano, le colonne si spezzano, enormi Giganti nelle più svariate posture e con espressioni grottesche franano al suolo. Entrando, in basso a sinistra, appare su un arco abbattuto una iscrizione latina, probabilmente aggiunta nel XIX secolo, che riporta un verso di Stazio: [QUAENAM SPES] HOMINUM TUMIDAE POST PRAELIA PHLEGRAE, la cui traduzione recita: [Quale speranza] agli uomini dopo gli assalti della ribelle Flegra? È utile puntualizzare che Flegra è citata nelle fonti come la regione della Macedonia prossima all’Olimpo, luogo in cui i Giganti vennero fulminati da Giove. Tra due colonne spezzate che iniziano a crollare individuiamo, in primo piano, due Giganti di cui emergono, dalle macerie, il fianco sinistro e la gamba destra, in estrema torsione. Uno sembra seguire il crollo della colonna e l’altro aggrapparsi alla gamba del primo. In secondo piano compaiono le teste di altri tre Giganti: due hanno lo sguardo rivolto verso l’alto e di uno vediamo solo i capelli mentre sullo sfondo è rappresentata una figura in preghiera, di cui percepiamo solo la testa in scorcio prospettico e le mani giunte.
Al di sopra si staglia un arco, che racchiude uno squarcio di cielo nuvoloso, le cui sezioni sono sul punto di cedere mentre l’intera scena è sovrastata da una minacciosa coltre di nuvoloni grigi da cui spuntano, ai due estremi, i volti e i busti dei Venti intenti a soffiare. A sinistra della composizione sono presenti i corpi affastellati di sei giganti: in primo piano, riverso al suolo, uno giace prono con la testa rovesciata all’indietro e le braccia abbandonate, due rivolgono sguardi irati verso l’alto, mentre soccombono al crollo della colonna, due, di cui intravediamo solo i volti, guardano dalla parte opposta verso il basso e infine l’ultimo, più in alto di tutti, è oppresso dall’architettura, schiacciato contro i massi, e si contorce come uno dei Prigioni michelangioleschi. A destra nella composizione e in lontananza, sullo sfondo di un colonnato e di una trabeazione in caduta, scorgiamo un gruppo di tre figure aggrovigliate, tra le quali, al centro, sembra possibile scorgere la nuca di una donna dai capelli biondi, raccolti in una coda.
È questo lo spazio più suggestivo e inatteso del palazzo e l’unico dove non compaiono decorazioni plastiche. La camera dei Giganti è l’ambiente più visionario e celebre del Palazzo, al quale sono stati dedicati studi iconologici di grande interesse e dove Giulio Romano creò uno dei capolavori assoluti del Manierismo europeo. Nella progettazione e realizzazione delle scene, dove risulta ampio e riconoscibile l’intervento della bottega, l’artista rivela la sua creatività reinterpretativa, se pensiamo che certi spunti derivano dalle Stanze vaticane di Raffaello unitamente a una visione titanica dell’umanità che ha origini in Michelangelo Buonarroti. La struttura architettonica viene qui completamente assorbita e trasfigurata dalla decorazione pittorica. Lo sguardo continua a muoversi senza posa da un punto all’altro della stanza, non trovando stasi poiché le fughe prospettiche sono infinite. I colori sono vivaci: dominano i toni pastello e i contrasti cromatici, con abbondanza di toni acidi. In origine il pavimento della camera era costituito da un acciottolato di pietre di fiume che aumentava la suggestione dell’ambiente e il fuoco che ardeva nel camino, oggi assente, illuminava queste pareti animandole. Il pavimento attuale, ideato da Paolo Pozzo, risalente al tardo Settecento, presenta decorazioni concentriche che interpretano e quasi riflettono il dinamismo di questi straordinari affreschi.
Cenni sull'artista:
Giulio Pippi, conosciuto come Giulio Romano, nasce a Roma nel 1449 ed è conosciuto per essere stato tra i più importanti architetti e pittori del Rinascimento e manierismo italiano. La ricostruzione della sua biografia si basa sulle Vite vasariane. Giulio Romano fin da giovane entra nella bottega di Raffaello Sanzio e diviene tra i suoi maggiori collaboratori, eseguendo alcuni affreschi nella villa Farnesina e nelle logge vaticane. Alla morte di Raffaello avvenuta nel 1520, Giulio Romano eredita la sua bottega, realizzando alcuni lavori effettuati nella sala di Costantino con Gian Francesco Penni.
Nel 1524 si trasferisce a Mantova, come artista di corte presso il Duca Federico II Gonzaga che, per onorare la sua presenza e stimata opera, gli dona un pregiato cavallo di razza Gonzaga. Tra il 1525-35 realizza, dunque, Palazzo Te, eseguendo anche, insieme ai suoi allievi, gli affreschi e stucchi delle stanze; progetta inoltre il Padiglione della Rustica e si occupa di decorare l’appartamento di Troia a Palazzo Ducale. Nel 1526, nominato superiore delle vie urbane, ristruttura il Duomo di Mantova.
Muore nel 1546 e viene sepolto nella chiesa di San Barnaba, ma la sua tomba nel 1737 viene dispersa.