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Tecnica e dimensioni dell'opera originale:
Tecnica e dimensioni della traduzione plastica:
Soggetto iconografico:
Nascita di Venere L’iconografia della Nascita di Venere ha origini che risalgono alla Teogonia di Esiodo, poeta greco vissuto tra VIII e VII secolo a.C., che descrive la dea Afrodite emersa dalla spuma del mare, presso l’isola di Cipro, avendo avuto i natali dalla forza fecondatrice del seme del padre Urano, evirato dal figlio e titano Crono. In una versione del mito del I secolo a.C., che dobbiamo al sacerdote isiaco Isidoro, l’isola natale di Venere è invece Citera: da questa isola Venere sarebbe ripartita, trasportata da una conchiglia, per approdare a Cipro dove, secondo la versione omerica del mito, le Ore la vestono e adornano per condurla nell’Olimpo. La polisemia del mito si accentua in età rinascimentale, in clima neoplatonico, quando il pittore Sandro Botticelli dà vita a uno dei capolavori assoluti del Quattrocento fiorentino, un dipinto a tempera su tela di lino di grandi dimensioni, realizzato tra il 1482 e il 1485 circa, si presume su commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, e certamente ispirato dal poeta Agnolo Poliziano. Sandro Botticelli raffigura così il mito della nascita della dea, secondo la cosiddetta Versione della Conchiglia, per la quale Venere, nata già donna, raggiunge su una conchiglia l’isola di Cipro, sospinta da Zefiro e Clori, mentre a riva la attende una delle Ore, per porgerle un mantello fiorato. La dea ignuda, incarnazione platonica dell’unificazione di bellezza e bontà e di neoplatonica Humanitas, è contestualmente allegoria della rinascita delle umane lettere e raffigurazione dell’energia in natura, secondo il principio della coincidentia oppositorum, ovvero dell’unione dei contrari. In questa Nascita di Venere si rappresenta infatti il connubio di spirito e materia, l’idea dell’anima redenta dalle acque del battesimo, il delicato equilibrio tra aspetti spirituali e razionali dell’animo, tra impulso e temperanza degli istinti. Nell’opera botticelliana, infatti, Venere acquista molteplici contenuti, che vanno oltre il mito e la tipizzazione della dea e svelano significati allegorici di natura neoplatonica, basati sul concetto di amore quale energia vivificatrice e forza motrice della natura. Si suppone inoltre che la ragione per la quale Venere, nel dipinto di Botticelli, raggiunga una costa che sembra quella toscana, sia una estensione di significato del mito in chiave allegorico-politica, e quindi allusione a una Firenze pacificata, ove grazie alla venuta della dea inizia il regno d’Amore, nella fiorente corte dei Medici. Per lo stesso principio di estensione di senso del mito, negli amanti abbracciati Zefiro e Clori, che vivificano, e nella ninfa Ora che si accinge a coprire Venere pudica, si cela il principio della perfezione divina e la doppia natura dell’amore, sensuale e ideale, fatto di trasporto e perfezione, e la duplice natura umana, fatta di corpo e anima. Nel Simposio di Platone, Venere urania è infatti la Venere celeste, immagine di nudità dell’anima, di purezza e bellezza disadorna, quindi di superamento della condizione mondana mentre Venere terrestre, o volgare, rappresenta l’amore non ancora temperato dalla conoscenza. L’Humanitas, ideale rinascita delle umane lettere celebrata dagli artisti e intellettuali del XV secolo, è un vero e proprio ritorno alla visione gnostica del mito, in accordo armonico con il Neoplatonismo di Marsilio Ficino, corrente filosofica sorta in età medicea che legge in chiave reinterpretata il pensiero platonico e lo cristianizza. A questa importante radice pagana e alla risemantizzazione del mito greco, celebri studiosi del Novecento, da Aby Warburg a Erwin Panofsky, da Edgard Wind a Ernst Gombrich, hanno dedicato saggi imprescindibili, di natura stilistica, iconografica e iconologica, ai quali ancora oggi la contemporanea storiografia fa riferimento.
Descrizione dell’opera:
Per rendere tangibile l’idea di una bellezza sublime e al tempo stesso percepibile ai sensi, la traduzione tridimensionale in bassorilievo prospettico della mitografia botticelliana offre alle persone non vedenti e ipovedenti una visione tattile e intellettuale di forme e contenuti del capolavoro. Con un complesso lavoro di traduzione dei valori pittorici in valori plastici, il bassorilievo prospettico creato è il risultato di una trasposizione plastica del dipinto, nel rispetto dei suoi valori estetici di segno, forma, geometria compositiva e spazialità. Il manufatto, realizzato in scala ridotta rispetto all’originale che misura 172 centimetri di altezza per 268 di lunghezza, ha dimensioni di 60 centimetri di altezza per 90 di lunghezza. Dopo avere fatto scorrere le mani lungo lo sviluppo perimetrale del rilievo, è possibile iniziare la lettura tattile sincronica e bimanuale del corpo di Venere, posto frontalmente al centro della composizione. Con questa esplorazione si coglierà subito la morbidezza e sinuosità del corpo della dea raffigurata in piedi sulla conchiglia. Spostandosi a sinistra del lettore, si incontrano Zefiro e Clori che, visti di tre quarti, abbracciati e in volo, sono collocati in posizione lievemente arretrata rispetto a Venere, nell’atto di insufflare un vento fecondatore che sospinge la dea alla riva dell’isola di Cipro. L’esplorazione può procedere quindi dalla parte opposta, al fine di percepire la ninfa Ora, di profilo, mentre si protende verso Venere, per porgerle il mantello. La presenza del mare sullo sfondo, l’incresparsi intensificato delle onde verso la riva, in vicinanza della conchiglia, la lettura delle baie dell’isola, la percezione del boschetto retrostante la ninfa Ora, e del cielo sovrastante l’armonica scena, infine l’apprezzamento dei fiori sospesi nell’aria, sono tutti elementi che potranno essere colti gradualmente, attraverso una lettura tattile analitica che potrà riconoscere nei dettagli senso di movimento e vita, nell’apparente stasi della scena. Per una comprensione più approfondita degli elementi che compongono la scena, si suggerisce la lettura dei seguenti versi, tratti da “Le Stanze per la Giostra” di Agnolo Poliziano. Una donzella non con uman volto, da’ Zefiri lascivi spinta a proda, gir sopra un nicchio; e par che ‘l cel ne goda. Vera la schiuma e vero il mar diresti, e vero il nicchio e ver soffiar di venti: la dea negli occhi folgorar vedresti, e l‘ciel ridergli a torno e gli elementi l’Ore premer l’arena in bianche vesti, l’aura incresparle e’crin distesi e lenti; Non una, non diversa esser lor faccia, come par ch’a sorelle ben confaccia. Giurar potresti che dell'onde uscissi la dea premendo colla destra il crino, coll'altra il dolce pome ricoprissi; e, stampata dal piè sacro e divino, d'erbe e di fior l'arena si vestissi; poi, con sembiante lieto e peregrino, dalle tre ninfe in grembo fussi accolta, e di stellato vestimento involta. Dall’ascolto dei versi del Poliziano e dalle indicazioni di esplorazione tattile della traduzione in bassorilievo del dipinto, si coglie già la relazione che interessa i soggetti presenti nella composizione botticelliana. Venere è posta al centro della scena e rappresenta il principio sacro e umano dell’amore divino e terreno, nella purezza dell’anima, e nel principio della nascita e rinascita. Alla sua destra, (quindi alla sinistra del lettore) si scorge il gruppo costituito da Zefiro e Clori, talvolta identificata come Aura. Zefiro è immagine del vento fecondatore, da cui ha origine la vita fisica e l’incarnazione dello spirito, Clori rappresenta invece il principio fisico dell’atto amoroso e per questo viene ritratta abbracciata a Zefiro, alludendo all’unione che genera vita. Venere ignuda, ritratta nell’atto pudico di coprire il seno con la mano destra e il pube con i lunghissimi capelli biondi, raccolti in una folta ciocca sostenuta dalla mano sinistra, ha il capo lievemente reclinato alla sua destra. Il volto, incorniciato da lunghi, ondulati capelli, ha i lineamenti aggraziati della nobildonna Simonetta Vespucci. La dolcezza dello sguardo, velato da una sottile malinconia, rende questo viso un modello di bellezza muliebre, delicata e intensa al tempo stesso. Le sopracciglia sono elegantemente arcuate e nel disegno delle labbra, come nell’espressione del volto, si avverte una delicata sensualità. I capelli, divisi da una scriminatura centrale, scendono sulle spalle e lungo il fianco sinistro della dea, formando a destra una folta ciocca arrotolata su se stessa, a sinistra piccole ciocche mosse dalla brezza. La postura della dea, nell’equilibrato bilanciamento del contrapposto, deriva dal modello classico della Venus Pudica e Anadiomene, ovvero emergente dalla spuma del mare: la figura è longilinea e sinuosa, con disposizione mossa e al tempo stesso rattenuta delle membra. Ma l’ideale estetico qui rispetta solo parzialmente i canoni di proporzione classici e si ha l’impressione che la dea, sul bordo della conchiglia e in procinto di toccare la riva, sia priva di peso specifico. Il suo corpo non è tuttavia privo di una fisicità che permea la figura. Venere ha dunque la gamba destra leggermente arretrata, dal ginocchio alla caviglia, rispetto alla gamba sinistra e questo accenno di movimento suggerisce l’idea dell’imminente approdo sull’isola. La dea dell’amore e della bellezza diviene qui simbolo di fecondità e presenza panteistica legata all’idea della rinascita, della rigenerazione e del risveglio della vita. L’atteggiamento stesso di Venere, nella posa della Venus Pudica esprime la duplice natura dell’amore, sensuale e casto, di cui i ministri della dea rappresentano, separatamente, aspetti diversi e complementari. Venere nasce, come accennato, dal soffio della passione, rappresentato dalla coppia di amanti alati, Zefiro e Clori, posti sullo sfondo, in volo. Zefiro è rappresentato di tre quarti: il busto, in lieve torsione, è percepibile nella sua bellezza virile e in parte copre il corpo di Clori, a lui abbracciata, di cui si scorge il volto orientato verso Venere, il busto ruotato verso il dio, la spalla sinistra e un seno. La gamba destra della dea è aderente al corpo di Zefiro, secondo una postura sensuale ma non lasciva, propria del decorum, ovvero di ciò che è appropriato rappresentare di un concetto. Così Botticelli esprime l’idea neoplatonica dell’amore umano e divino, dell’unione carnale e spirituale, nell’attraversamento della conoscenza fisica e metafisica, della vita naturale e ideale. Il gruppo degli amanti forma una diagonale dall’alto, in prossimità del centro della composizione, verso il basso, in direzione del margine sinistro: insieme alla ninfa Ora, in posizione speculare, essi creano una triangolazione il cui asse ideale è Venere. I loro mantelli, di color bruno quello di Clori e azzurro quello di Zefiro, gonfiati dal vento, disegnano eleganti volute. Le ali hanno consistenza solida, e il loro colore vira dal bruno al verde, con tracce di luce dorata sul piumaggio. L’incarnato di Clori è eburneo come quello di Venere e Ora, quello di Zefiro è invece ambrato. Nell’aria tersa volteggiano delle rose, simbolo di vita generata e generatrice. Spostandoci alla sinistra di Venere, troviamo la ninfa Ora, divinità preposta all’ordine della natura nell’alternanza delle stagioni, il cui volto, ritratto di profilo, ha un’espressione composta e una fisionomia aristocratica. Fronte alta, archi sopraccigliari allungati, naso sottile e regolare, labbra minute e delicate, tutto riconduce all’idea di una bellezza rinascimentale che si avvale dei modelli classici di armonia, tra idealismo e naturalismo. Il corpo di Ora è rappresentato di tre quarti, il volto di profilo: la ninfa ha lunghi capelli mossi dal vento, elegantemente ondulati e acconciati in piccole trecce. Ora solleva il braccio destro verso Venere e piega il sinistro, reggendo tra le mani i lembi del mantello rosso, fiorato, mosso dal vento, e destinato a coprirne la nudità. Nel porgere il manto a Venere, la ninfa coniuga la dimensione naturale e celeste della dea e il duplice volto carnale e casto dell’amore. La ninfa indossa una veste bianca, tempestata di fiori: le ornano il petto foglie di mirto, la cingono in vita rose con i gambi intrecciati. Ritratta in primo piano, e in punta di piedi sul manto erboso, si staglia con profili netti sullo sfondo di un bosco. Ora si trova in quella lingua di terra le cui insenature, nel porsi in progressione e prospetticamente, inducono a percepire la profondità dello spazio, fino a raggiungere la linea d’orizzonte. L’acqua marina, verdeazzurra, lambisce le coste frastagliate, con piccole onde e lievi increspature della superficie. Vita insufflata dagli Zefiri e vestizione offerta da Ora, altro non sono che metafore allusive ai principi di fisicità e spiritualità, poli al centro dei quali Venere, nella casta nudità simbolo di purezza, si pone quale emblema dell’equilibrio tra opposti, nell’essenziale complementarità, nella vita e nell’amore, di esperienza e trascendenza del mondano.
Cenni sull'artista:
Sandro Botticelli nasce nel 1445, ultimo di quattro figli maschi, a Firenze, in via Nuova, oggi via della Porcellana, da padre conciatore di pelli. Sandro è cagionevole di salute fin dalla tenera età, e ciò è una delle cause, secondo alcuni studiosi, del suo carattere introverso, in parte leggibile anche nel tono malinconico e assorto delle sue opere. La prima formazione avviene presso la bottega del fratello orafo Antonio, ma il vero apprendistato si colloca tra il 1464 e il 1467 nella bottega di Filippo Lippi, artista da cui Sandro eredita lo stile aggraziato e grafico. Nello sviluppo del suo linguaggio pittorico risultano determinanti le influenze di Antonio Pollaiuolo e Andrea del Verrocchio, ed è nella bottega di quest’ultimo che Sandro Botticelli entra, dopo la partenza per Spoleto di Filippo Lippi, acquisendo del Verrocchio lo stile compositivo a piani scalari, e sviluppando una mediazione tra la rappresentazione di uno spazio prospettico teorico e quella di uno spazio reale. Dal 1469 Botticelli lavora autonomamente, scegliendo di esaltare la grazia, l’eleganza intellettuale e la precisa rappresentazione dei sentimenti e per questo le sue opere più celebri si caratterizzano per linearismo e intenso lirismo, naturalismo e artificio. L’influenza neoplatonica lo lega al concetto di imitazione dell’antico anche per interiorizzare un modello etico. Al 1480 risale la sua partecipazione agli affreschi della Cappella Sistina e nel 1482 si fissa il rientro definitivo dell’artista a Firenze. È del 1483 la committenza medicea relativa alla realizzazione di quattro pannelli da cassone con le storie di Nastagio degli Onesti, novella tratta dal Decameron di Boccaccio. Con la serie mitologica inizia la stagione più significativa e ammirata della produzione artistica di Botticelli, ma ancora oggi non si hanno certezze sul fatto che le due opere più importanti, la Primavera e la Nascita di Venere, ornassero insieme la villa medicea di Castello dove, nel 1550, le vide Giorgio Vasari. Quindi, mentre per la Primavera si ha certezza della committenza attribuibile a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, per la Nascita di Venere si presume la stessa committenza, ma senza documenti certi che attestino chiaramente l’originaria destinazione del capolavoro. Lo stile a sfondo filosofico, che interessa tutte le opere degli anni Ottanta del Maestro, si estende anche a quelle di carattere religioso. A partire dal 1492 Botticelli rivela i sintomi di una prima crisi interiore che sfocia in un esasperato misticismo nell’ultima fase della sua carriera, in concomitanza con la comparsa sulla scena religiosa e politica del predicatore ferrarese Girolamo Savonarola e la morte di Lorenzo il Magnifico. Botticelli da questo momento infonde particolare pathos in tutte le composizioni sacre, rinnegando i precedenti soggetti mitologici e dedicandosi esclusivamente a temi religiosi. Il pittore muore nel 1510, all’età di sessantacinque anni, dopo un lungo periodo di isolamento e povertà. Seppellito nella chiesa di Ognissanti a Firenze, ebbe come unico e vero erede morale Filippino Lippi, che si ispirò al suo stile condividendone sensibilità e inquietudini.