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Lamento sul Cristo morto

Autore: 

Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506)

Datazione: 

1475 – 1478 ca.

Collocazione attuale: 

Pinacoteca di Brera - Milano

Tecnica e dimensioni dell'opera originale: 

Tempera su tela; cm 68 x 81

Tecnica e dimensioni della traduzione plastica: 

Bassorilievo prospettico in gesso alabastrino; cm 48,5 x 57 x 10

Soggetto iconografico: 

L’iconografia del Lamento sul Cristo morto, come quella del Compianto, ha origine nella cultura medievale ma in Italia ha ampia diffusione solo in età rinascimentale. Nel Compianto, Cristo è rappresentato adagiato sulla terra nuda o su un cataletto ed è sempre circondato dai personaggi già presenti all’atto della sua Deposizione: Maria Vergine, Maria Maddalena, Maria di Cleofa, Maria Salomé, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea, Giovanni Evangelista e, talvolta, anche il gruppo di fedeli che assistono alla scena del pianto sul corpo divino. Nella Lamentazione invece Cristo giace sulla pietra dell’unzione, circondato solo da pochi intimi. In questo caso la scena si vena di sentimenti affettivi di grande profondità, proprio per la presenza di Maria Vergine, Maria Maddalena e Giovanni Evangelista, quasi a ricomporre lo schema della Crocifissione. Si potrebbe sostenere che la Lamentazione è un’immagine fedele alla presentazione di un dolore umanizzato, anche se contestuale alla visione cultuale del deicidio.

Descrizione dell’opera: 

La traduzione tridimensionale di questo celebre dipinto ha previsto la restituzione dell’unità di misura di profondità di campo, utile a capire l’ardito scorcio prospettico del corpo di Cristo, visto dai piedi. Per questa ragione si consiglia una lettura tattile che muova dalla sezione inferiore del bassorilievo, in cui troviamo lo spessore e il profilo della pietra dell’unzione sulla quale poggiano i piedi di Cristo, che da essa sporgono, in primo piano. A seguire, nella continuità di una lettura tattile a scansione, dal basso verso l’alto, si potrà intuitivamente recuperare la statura e l’estensione del corpo utilizzando la lettura bimanuale, con movimenti incrociati delle mani, a partire dai margini esterni del rilievo, fino a giungere sull’asse centrale della composizione, oltrepassarlo, e tornare nuovamente e specularmente ai margini esterni del rilievo. Il tempo impiegato nella lettura tattile del sudario che ricopre fino al bacino il corpo di Cristo, può essere considerato un tempo di percezione della drammaticità espressiva della pittura di Mantegna. Alla sinistra del lettore, in progressione su tre piani di posa, troviamo i volti degli astanti ritratti di profilo.
In questa Lamentazione, Cristo, deposto e segnato dalla passione, giace su una tavola di pietra in attesa di essere unto prima della sepoltura, secondo la consuetudine ebraica. Lo scorcio attraverso il quale leggiamo il suo corpo è ardito e al tempo stesso idealizzato, certamente non corrispondente alla percezione reale di un corpo disteso. Infatti, se il pittore avesse seguito tecnicamente le regole prospettiche, Cristo, così adagiato, sarebbe apparso ancor più deformato: con le spalle meno visibili, la cassa toracica più dilatata, le gambe in forte scorcio e i piedi più grandi. Andrea Mantegna, nel rispetto del decorum, preserva l’osservatore da una visione ancor più tragica della morte, adottando una prospettiva volutamente pensata. Conserva quindi intuitivi rapporti proporzionali tra le parti del corpo, per restituire tutta l’umanità e sacralità del Cristo, esaltando la dignità dell’Uomo-Dio. L’espressione degli astanti è esacerbata dal dolore. Sul lato sinistro della tavola (rispetto all’osservatore) compaiono tre figure piangenti: la Vergine Maria, San Giovanni Evangelista e, forse, Maria Maddalena. Mantegna sceglie di collocare Cristo in posizione distesa sulla pietra dell’unzione e perpendicolare all’osservatore ma le gambe, nel loro allineamento, sono lievemente inclinate a destra. Non si tratta solo di svelare l’abile esercizio della prospettiva, si vuole soprattutto attirare l'attenzione sulla pietra ove è posato il corpo: la famosa pietra dell'unzione, reliquia venerata dalla Cristianità e caduta in mano ai Turchi nel 1453, anno della conquista di Costantinopoli, città in cui era conservata. Il corpo di Cristo, parzialmente coperto dal sudario, è disteso su una pietra rossastra con leggere venature bianche. L’audacia dello scorcio rende più drammatica la scena; la visione dall'alto, digradante verso il capezzale a partire dai piedi in primo piano, dà rilievo alle ferite provocate dai chiodi, ancora aperte, dalle quali non esce più sangue. Leggendo al tatto lo sviluppo delle pieghe del sudario, scopriamo che quest’ultimo segue la forma delle gambe, lievemente divaricate, disegnando una conca tra esse mentre un risvolto sporge da sotto la gamba destra di Cristo. Il telo sacro che lo copre fino al bacino lascia scoperti piedi e busto e si estende ai lati del corpo, generando infinite pieghe dalle linee spezzate, il cui andamento, talvolta curvilineo, crea triangolazioni e rilievi che accentuano l’implacabile nudità della pietra e la volumetria di quel corpo abbandonato alla morte. Un lembo del sudario cade sul margine inferiore sinistro della composizione, oltre il piano d’appoggio, con forte realismo. Procedendo nella lettura, a seguire la visione delle anche e del bacino, inizia la percezione del busto, quindi dei muscoli addominali, poi dell’ampia cassa toracica e dello sterno che diventa punto di riferimento nella lettura tattile, dal quale muovere per percepire i pettorali e i capezzoli. Le spalle, abbassate e ridotte di volume rispetto alla dilatazione del costato, poggiano su parte del sudario sottostante il corpo denudato mentre le braccia, abbandonate ai fianchi, si flettono in prossimità del gomito svelando il forte scorcio prospettico dell’avambraccio. Delle mani si leggono perfettamente le ferite sul dorso e, rispettivamente, quattro dita. Non sono visibili i pollici, intuitivamente piegati e rivolti all’interno del cavo della mano, oltre che nascosti dal sudario. Si ha quasi l’impressione che nel rigor mortis le dita delle mani non possano aprirsi. Infatti, della mano destra percepiamo l’indice, il medio, l’anulare e, lievemente distanziato, il mignolo. Le estremità delle dita, consistenti nelle prime falangi, sembrano irrigidite e piegate contro la pietra, quasi “impigliate” nel sudario. La mano sinistra ha la stessa posizione della mano destra, solo che indice e mignolo emergono con più forza, mentre medio e anulare risultano arretrati. Del volto, in pieno scorcio prospettico, si percepiscono i lineamenti forti e la sporgenza rispetto al collo. Progressivamente è dato sentire il mento e la barba riccioluta, la bocca serrata che disegna un arco ribassato e dolente, le guance scavate, le palpebre abbassate sugli occhi infossati che accentuano la drammaticità della morte, il naso di cui si percepiscono narici e punta, mentre risulta contratto il profilo, infine la sella nasale e la minima porzione della fronte segnata dai muscoli glabellari. Oltre il profilo della fronte si intravede l’attaccatura dei capelli che ricadono ai lati del volto, ripartiti in folte ciocche ondulate e adagiate sul cuscino. La carne sotto la pelle lacerata è rappresentata con la precisione di un anatomista. E infatti, sul dorso delle mani, così come sulle piante dei piedi, si leggono le stigmate mentre sotto il pettorale destro, in prossimità del costato, si sente la ferita inferta dalla lancia impugnata dallo Pseudo Longino.
A sinistra, in primo piano, è possibile leggere il profilo destro di Giovanni Evangelista. Della bocca aperta si coglie la dentatura parzialmente visibile, secondo un realismo quattrocentesco molto diffuso in area padovana ed emiliana. Il suo giovane volto provato dal pianto ha un’espressione contratta e lo sguardo è rivolto in direzione di Cristo. Di Giovanni vediamo anche le mani giunte, in atto di preghiera, con le dita incrociate. Maria piangente ha il volto profondamente solcato da rughe a raggiera che denotano la sua età matura e la stanchezza che l’ha sopraffatta. Del viso in lieve scorcio, fasciato e incorniciato dal manto, si legge il profilo destro ma si intravede anche una minima parte del sinistro. I tratti sono molto marcati: gli occhi segnati dal pianto, la palpebra destra abbassata lascia comunque intravedere lo sguardo, affranto, volto in direzione del corpo del figlio. La bocca tesa in una smorfia di dolore inconsolabile, il solco della piega naso labiale e il naso pronunciato sono caratteri fisionomici di evidente realismo espressivo. Giovanni Evangelista, in primo piano, è quasi certamente in atteggiamento orante, mentre Maria Vergine, in secondo piano, risulta consegnata ad un silenzioso dolore. Maria con le mani regge un fazzoletto, portato all’occhio sinistro, nell’intento di asciugarsi compostamente le lacrime. Un dettaglio, di squisito verismo, fa riflettere su questa postura e sulla pittura aspra e toccante di Andrea Mantegna: l’indice della mano destra resta nascosto, coperto e quasi avvolto dal fazzoletto ma si ha l’impressione che la mano destra sostenga la sinistra, completamente coperta, in un gesto di grande valenza emotiva. Questa immagine forte, in cui il pianto copioso è al tempo stesso tanto dignitoso, rende l’opera un capolavoro, anche e proprio per intensità e veridicità. Infine, Maria di Magdala, della quale leggiamo una minima sezione del volto ovvero il mento, le labbra, parte delle guance e del naso, viene ritratta in preda al dolore. Maddalena piange ma la bocca aperta, di cui percepiamo le labbra morbide, non deturpa la sua bellezza. A destra, e quindi alla sinistra del Cristo, il vasetto che contiene gli unguenti (attributo di Maria Maddalena) e l’apertura verso una stanza buia, da cui ci separa il paramento verticale retrostante la testa aureolata del Cristo, sono segni inequivocabili dell’ormai imminente sepoltura.
Da un punto di vista stilistico il dipinto si inserisce nella produzione matura di Andrea Mantegna, artista e intellettuale di formazione padovana noto per la sua pittura quasi “lignea”, tanto intrisa di citazioni classiche quanto scarna ed essenziale, sempre caratterizzata da valenze segniche spigolose. La lamentazione sul Cristo morto rappresenta bene questo stile plastico e aspro al contempo, acuito dal realismo espressivo e da un crudo geometrismo. Da un punto di vista compositivo la prospettiva adottata da Mantegna non è esattamente centrale né naturale e non nasce come rappresentazione ad unico punto di vista, né tiene conto delle veridiche deformazioni dell’immagine presenti nell’aberrazione ottica indotta da una visione prospettica ravvicinata. A una attenta analisi si scopre che i punti di vista sono differenziati: una visione dall’alto domina il Cristo mentre una frontale interessa il gruppo dei piangenti che si trova alla sinistra dell’osservatore e quindi alla destra del Cristo, sottraendolo ad una simmetria speculare. Ma si tratta, come già accennato, di una volontaria correzione prospettica funzionale a ingentilire lo scorcio per mantenere una visione più completa del corpo sacro, nel rispetto della dignitas. I colori sono terrosi, quindi assestati sui toni ambrati e lividi dell’incarnato. La cromia varia al variare della diffusione della luce fredda, la quale invade il bianco sudario, fortemente chiaroscurato, lambisce il corpo di Cristo e fonde in un unico tono il rosso predominante della pietra marmorizzata e la tinta rosso-aranciata del cuscino che ne sostiene la testa.

Cenni sull'artista: 

Andrea Mantegna nacque nel 1431 a Isola di Carturo, borgo vicino Padova, dal falegname Biagio. Dalle “Vite” di Giorgio Vasari sappiamo che il pittore fu “d’umilissima stirpe” e che da giovane Andrea fece il pastore. All’età di dieci anni diventò apprendista presso la bottega del pittore Francesco Squarcione, che poi adottò il pittore padovano. Nella bottega del maestro, il giovane Mantegna imparò la costruzione prospettica, la composizione di personaggi ed oggetti, l’anatomia umana e tanto altro. Mantegna non si fermò solo all’esercizio pittorico, ma ebbe anche un’educazione classica che poté ricevere grazie al fertile clima umanistico padovano. Il gusto classico che maturò in questi anni fu fondamentale per sviluppare un linguaggio artistico originale che gli permise di diventare un maestro. Il periodo vissuto presso la corte dei Gonzaga, a Mantova, fu fertile e felice per il pittore che qui si trasferì con l’intera famiglia dopo che il marchese gli concesse un terreno sul quale edificare una casa e uno stipendio fisso, cosa di non poco conto per gli artisti. In questi anni l’artista realizzò anche La morte della vergine, e affrescò la Camera degli Sposi, a Palazzo Ducale, capolavoro che terminò nel 1474. Nel 1484 Federico I Gonzaga concesse ad Andrea Mantegna il titolo di cavaliere, e sempre sotto il governo di Federico I Gonzaga il pittore lavorò al celebre Compianto su Cristo morto, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera e il San Sebastiano che è possibile ammirare al Museo del Louvre. Mantegna fu un pittore molto richiesto e ammirato e a confermarlo furono sia la stima da parte di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, a cui Mantegna mandò un dipinto, sia l’invito nel 1487 da parte del papa Innocenzo VIII, che scrisse a Francesco Gonzaga per pregarlo di mandargli l’oramai richiestissimo Mantegna: il papa intendeva affidare al pittore la decorazione della cappella del nuovo edificio del Belvedere in Vaticano. Mantegna soggiornò nella “città eterna” per soli due anni, dal 1489 al 1490. L’artista inoltre attese alla decorazione dello Studiolo di Isabella d’Este che, tuttavia, non concluse per la sopraggiunta morte, il 13 settembre del 1506.

Dipinto: 

Lamento sul Cristo morto

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loretta.secchi@cavazza.it

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