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Ritratto del Duca Federico da Montefeltro

Autore: 

Piero di Benedetto dei Franceschi, più noto come Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro 1415/20 ca. – Borgo Sansepolcro, 1492)

Datazione: 

1465 ca.

Collocazione attuale: 

Galleria degli Uffizi - Firenze

Tecnica e dimensioni dell'opera originale: 

Olio su tavola – cm 47 x 33

Tecnica e dimensioni della traduzione plastica: 

bassorilievo prospettico in gesso alabastrino; cm 47,5 x 34 x 10,5

Soggetto iconografico: 

Un tipico aspetto della pittura rinascimentale fu il ritorno ai ritratti naturalistici come soggetto importante dell’arte europea. Durante il Medioevo essi rappresentavano, quasi esclusivamente, figure stilizzate, in atto di pregare, e solitamente inserite in contesti iconografici religiosi. L’interesse del Rinascimento per la relazione uomo/natura dette origine alla ricerca di verosimiglianza nella raffigurazione dei soggetti. I prototipi classici per questo tipo di opere vanno rintracciati nei busti marmorei dell’antica Roma e nei ritratti di profilo presenti sulle monete antiche. Nel XV secolo il ritratto diventa pratica costante degli artisti dell’età dell’Umanesimo. Le committenze, solitamente effettuate da aristocratici o da membri del clero secolare, vedono nel ritratto un idoneo strumento comunicativo e celebrativo, funzionale a sottolineare status sociale e carica politica del committente. Talvolta invece il ritratto acquista valore commemorativo o informativo, una sorta di documento rappresentativo dell’epoca. Nel Rinascimento il ritratto pittorico assume connotazioni introspettive non secondarie: alla sensibilità per i caratteri fisiognomici del soggetto effigiato si unisce l’interesse per l’indagine psicologica. Il ritratto, così inteso, è espressione dell’interiorità, rappresentazione e autorappresentazione dell’uomo nella sua contingenza esistenziale e nell’estensione di senso della vita terrena e delle sue vane glorie. Il dipinto raffigurante il Duca di Urbino Federico da Montefeltro, appartiene a un dittico di cui fa parte anche il ritratto della consorte del celebre condottiero e mecenate. Il dittico, all'origine unito da una cerniera, poteva essere aperto e chiuso come un libro, e mostrava all'esterno l'immagine di due trionfi, quello di Battista Sforza e quello del Duca Federico, e all'interno l'effigie dei coniugi ritratti di profilo uno di fronte all’altro.

Descrizione dell’opera: 

La traduzione tridimensionale del ritratto del Duca Federico da Montefeltro ha richiesto di restituire i valori prospettici visivi, tipicamente quattrocenteschi, in valori plastici tattilmente percepibili. Le linee guida ricavate in piani convessi corrispondenti a profili staccati, aggettanti rispetto al piano di posa, codificano la prospettiva e la rendono informazione cognitiva. La realizzazione della traduzione tridimensionale in scala reale, conforme all’originale, curata in ogni minimo dettaglio, si pone il compito di rispettare il più possibile le qualità estetiche del dipinto, per permetterne un adeguato apprezzamento tattile. Una volta presa confidenza con lo sviluppo perimetrale del bassorilievo, si consiglia una lettura aptica possibilmente bimanuale che faccia scorrere le dita lungo i profili del volto e della nuca del soggetto ritratto, per poi leggerne copricapo e busto. A seguire si propone una lettura dettagliata dell’espressività del profilo sinistro del Duca, con percezione fine, a indici giunti, dei tratti somatici. La lettura tattile potrebbe quindi terminare con la percezione dello sfondo, a partire dal margine inferiore del rilievo, per procedere lungo i possedimenti terrieri del nobiluomo per raggiungere la linea di orizzonte. In questa fase sarà importante soffermarsi su alcuni particolari: le imbarcazioni a vela, presenti a sinistra dell’osservatore, gli alberi a siepe e i cipressi lungo gli argini del fiume. La fase che conclude la percezione aptica della scena è la lettura a due mani del cielo sereno su cui si staglia il profilo del celebre condottiero e dietro al quale si apre l’infinita profondità celeste.
Il ritratto del Duca di Urbino, Federico da Montefeltro, realizzato dal sommo artista rinascimentale Piero della Francesca, quasi certamente prima del 1467, presenta i caratteri tipici della ritrattistica quattrocentesca italiana: la resa di ogni dettaglio fisionomico è talmente fedele alla realtà da far pensare a buon diritto che l'artista si fosse ispirato alla pittura fiamminga, notoriamente lenticolare nel decifrare e riprodurre ogni traccia del visibile. L'opera è di piccole dimensioni: al centro della composizione dominano, in primo piano, il volto e il mezzo busto del Duca di Urbino emerge con forza nel suo plasticismo e nelle geometrizzate volumetrie. Nella fascia mediana, leggermente ribassata rispetto al centro della composizione, la linea di orizzonte, segnata dai contorni delle colline, si fonde con lo spazio aereo del cielo, creando effetti sfumati e stemperando il nitore del paesaggio stesso, risolto in una distesa di colline dai pendii dolci, attraversate da un corso d'acqua, forse il fiume Marecchia. Federico da Montefeltro si staglia sullo sfondo paesaggistico appenninico umbro-marchigiano, quasi a misurare con lo sguardo i confini delle sue proprietà: il Duca mostra la parte sinistra del volto e lo sguardo, rivolto idealmente alla consorte, sembra in realtà volgersi in direzione di un punto lontanissimo, forse indeterminato. L'effetto provocato da quello sguardo fermo e impenetrabile, quasi privo di espressività, induce a considerare la scelta di Piero come meditata. L'artista non cala il personaggio in una realtà tangibile, bensì in un ambiente rarefatto, che induce all'enigma, all'inafferrabilità del soggetto. Tuttavia, l'espressione del Duca è eloquente poiché egli, nella sua compostezza imperturbata, porta sul volto tracce che divengono cifra del suo carattere e della sua interiorità. Scivolando lungo i contorni netti del copricapo cilindrico indossato dal Duca, si percepisce la prima sintesi geometrica. Piero rappresenta prospetticamente il cilindro che, alla vista e al tatto risulta ovoidale per la deformazione che deriva dalla visione in scorcio. La consuetudine di ritrarre solo il profilo sinistro del Duca si deve a una ferita riportata in un torneo, che gli procurò uno sfregio sulla parte destra del volto. Il condottiero è presentato con il cappello calato sulla fronte, di cui è leggibile un breve tratto verticale mentre la sella nasale presenta un evidente salto: il naso adunco e sporgente si raccorda con tratto deciso alla bocca, quindi all’arco di Cupido posto sul labbro superiore. Le labbra chiuse sono molto sottili e il mento risulta prominente. Dalla linea del mento si procede lungo il profilo della gola, notando nella traccia della mascella tratti volitivi che si interrompono nella resa realistica del collo brevilineo, ricavato idealmente in una forma cilindrico conica, quasi stilizzata. I capelli crespi, riccioluti, coprono parzialmente l'orecchio sinistro e sulla nuca creano consistenza e volume. Il sopracciglio è sottile, quasi diradato, mentre l'occhio sinistro, sporgente e rotondeggiante, presenta un abbassamento della palpebra: aperto a fessura conferisce al duca un’espressione assorta, riflessiva, severa e razionale. Le muscolature facciali contratte e le rughe di espressione nasolabiali, accentuate in prossimità dell'angolo esterno dell’ala nasale, e quelle di espressione intorno all'occhio sinistro, rivelano l’età matura e la severità del Duca. La resa dettagliata di alcuni nei a rilievo, sulla guancia, attesta la descrizione mimetica del personaggio, qui adottata da Piero allo scopo di restituire con puntuale esattezza la reale fisionomia del mecenate. Il collo del Duca è circondato da una camicia sormontata da un colletto rigido con pieghe ribattute: la giacca avvolge il corpo, disegnando sul petto e sulla spalla l'andamento di pesanti pieghe simmetriche, a canne d'organo. Lo sviluppo geometrico del copricapo rosso, ripreso nell'andamento curvilineo ed essenziale della veste dello stesso colore, sembra contrastare l’asperità e irregolarità dei lineamenti. Il Duca di Urbino, così proposto, è emblema del ritratto celebrativo già aperto all’indagine psicologica e introspettiva. La pittura di Piero della Francesca, sempre sospesa tra enigma e rivelazione, anche in questo celebre dipinto si contraddistingue per descrizione naturalistica e trasfigurazione idealizzata della realtà.

Cenni sull'artista: 

Piero di Benedetto dei Franceschi, più noto come Piero della Francesca, è stato uno dei massimi pittori del Rinascimento italiano di origine toscana, nel XV secolo. Le note biografiche che lo riguardano sono ancora oggi frammentarie e non sempre attendibili: dalle Vite del Vasari, ad esempio, per molto tempo si è desunta un’errata data di nascita, individuata nel 1406, solo di recente collocata orientativamente tra il 1415 e il 1420. Piero della Francesca fu artista di ampia cultura sia umanistica, sia scientifico-matematica: la sua formazione avvenne presso il paese natio, Borgo Sansepolcro, ove ebbe l’opportunità di assorbire influenze fiorentine, suggestioni senesi e umbre, anche grazie ai suoi ripetuti spostamenti tra Perugia e Firenze. Dal 1442, dopo la parentesi fiorentina, Piero torna al paese natale e presta la sua opera alla Confraternita della Misericordia, dando vita al celebre polittico che lo impegnerà per ben tre lustri, mentre nel 1451 è a Rimini, presso il Tempio Malatestiano, dove affresca il ritratto di Sigismondo Malatesta. L’anno seguente si reca ad Arezzo, e qui porta a compimento gli affreschi del coro della chiesa di San Francesco. Pochi anni dopo è a Urbino, dando vita alla Flagellazione di Cristo, la cui datazione oscilla tra il 1445 e il 1459-60. Dal 1475 la sua attività si arresta, quasi certamente, a causa di una malattia agli occhi che lo porta alla cecità totale. Agli anni Settanta appartengono la Madonna di Senigallia e la splendida Pala Brera, una sacra conversazione in presenza di angeli, santi e ritratto del committente, ovvero del Duca Federico da Montefeltro. È negli ultimi anni di vita che il grande artista e umanista porta a compimento tre libri scientifici fondamentali per la comprensione del suo pensiero: “De corporibus regolaribus”, “Trattato d’abaco” e infine il noto “De prospectiva pingendi”. Piero della Francesca muore il 12 ottobre del 1492, nel paese in cui era nato e al quale aveva dato tanto lustro attraverso la sua pittura di luce e il suo illuminato sapere.

Dipinto: 

Ritratto

Contatti

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Curatrice del museo:

dott.ssa Loretta Secchi

loretta.secchi@cavazza.it

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