Prof. Silvestro Banchetti
Ho il piacere di recare a tutti i presenti il saluto del Consiglio della Federazione, che ho l’onore di presiedere.
La Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi è una struttura che, fondata il 23 febbraio 1921 ed eretta in Ente morale con R.D. del 1930, costituisce la prima organizzazione voluta dall’Unione Italiana Ciechi, quasi a testimoniare che, nella mente dei grandi padri della nostra maggiore associazione, il problema educativo avrebbe costituito per sempre il primo e prioritario impegno per le imminenti battaglie. La Federazione, infatti, avrebbe dovuto assolvere il compito di coordinare le istituzioni dei ciechi, favorendo quel grande processo che le avrebbe trasformate, con il R.D. 30 dicembre 1923 n. 2841, in enti di educazione e di istruzione, al fine di render possibile la scuola per tutti i ciechi, come sarà previsto dall’altro fondamentale R.D., il n. 3126, che è del 31 dicembre 1923 e che affiancherà l’Italia, se pur con decenni di ritardo, ai grandi Paesi europei.
Il momento innovativo e più qualificante della vita della Federazione è costituito, nel 1964, dall’avvio del centro di produzione dei sussidi didattici, che ha avuto alterne vicissitudini sotto il profilo amministrativo ed organizzativo, ma che rispondeva e risponde a un’istanza fondamentale della scuola. Questa si concreta nell’esigenza di fornire ai bambini ciechi non solo il primo sussidio didattico, che è il libro, ma anche le altre forme di materiale educativo che, contribuendo ad educare i sensi residui e a favorire quel potenziamento compensativo di cui aveva scritto Augusto Romagnoli nella prima parte di "Pagine vissute di un educatore cieco", giovano ad ampliare i pur sempre circoscritti ambiti cognitivi dei ragazzi ciechi nelle più diverse discipline.
Per quel che concerne il conseguimento della prima finalità, cioè la coordinazione della vita pedagogica e didattica degli istituti, la Federazione, a mano a mano che questi cessavano di configurarsi quali enti di educazione, andava essa pure inevitabilmente restringendo la propria attività. Anche la creazione di nuovi sussidi didattici si andava spegnendo sia per le difficoltà interne all’Ente che, per manco di ossigeno, era viepiù costretto a una vita grama e ombratile, sia per certi gravi equivoci che, nel marasma del momento storico, segnarono gli albori dell’integrazione scolastica. Da molte parti, infatti, si giunse paradossalmente a negare valore al Braille e ai sussidi didattici, nonché alla Federazione, giudicati come ulteriore causa di emarginazione.
In questo contesto s’inserisce, ancora una volta, l’intervento dell’Unione Italiana Ciechi che, come agli esordi, ribadì la funzione imprescindibile di questi momenti educativi, intervenendo per la rinascita e per il potenziamento sia della Biblioteca, sia della Federazione. Con la Legge 52 del 1994 e 284 del 1997 i due Enti sono stati posti nella condizione di assolvere le loro finalità istituzionali. In tal modo la Federazione non solo può moltiplicare i vecchi e i nuovi sussidi didattici, fornendo i Centri di Consulenza da essa stessa avviati e quelli della Biblioteca, ma può altresì assumere un ruolo più proprio nei confronti anche delle Istituzioni.
Sono significative alcune intraprese che emblematicamente individuano i tratti del nuovo Ente. V’è innanzitutto l’orientamento di fornire gratuitamente, entro certi limiti e con ben precise modalità i sussidi didattici ai ragazzi ciechi, qualificando la Federazione come ente morale, senza fini di lucro. V’è l’avvio di una Mostra Itinerante relativa al materiale tiflodidattico e tiflotecnico, intesa come dimostrazione didattica avviata per la sensibilizzazione dei ragazzi ciechi, delle loro famiglie, degli operatori e soprattutto degli insegnanti di sostegno che sono sempre meno preparati in improvvisati corsi di specializzazione abborracciati ed evanescenti. V’è infine l’affidamento ad alcune istituzioni del compito di concretare progetti educativi che, oltre a risultare di grande utilità per i minorati della vista giovano ad arricchire il prestigio sia della Federazione stessa, sia anche delle Istituzioni che, in questa nuova prospettiva, ritrovano un modo per adempiere il loro compito di educazione e di istruzione anche nei nuovi tempi in cui è tramontata la scuola speciale e ha preso avvio, se pur faticosamente e non senza qualche malinteso tiflologico, l’integrazione nella scuola ordinaria.
La vecchia Federazione si era ridotta ad una presenza meramente formale e ad un nominalistico "flatus vocis", come io scrissi in un molto discusso articolo apparso sul Corriere dei Ciechi nel 1975. La nuova Federazione sta adoprandosi per raggiungere quella consistenza tiflologica che era negli auspici dei fondatori. Le iniziative progettuali, affidate ad alcuni istituti, sono il segno di una sua dilatazione e di un suo potenziamento.
La prima fra queste iniziative è costituita dalla creazione, presso l’Istituto Cavazza, del Cisad (Centro Informatico per la Sperimentazione degli Ausili Didattici). Io non ho la competenza tecnica per descrivere le novità di questa struttura, ma mi limiterò umilmente a sottolineare la sua valenza tiflopedagogica.
Nel termine stesso di Centro si indica l’esigenza di costituire un punto di riferimento dal quale debbono prender avvio ed a cui debbono rifluire tutte le esperienze che essi svolgono in questo ambito specifico, in quanto la modesta consistenza dei nostri mezzi e la circoscritta disponibilità di intelligenze operative tanto specificamente preparate ci debbono rendere attenti contro ogni rischio di dissipazione di sostanze e di energie.
Il termine "informatico" ci porta sul piano della tecnologia che indubbiamente costituisce una delle più radicali rivoluzioni che si siano operate in questo secolo tanto problematico, tanto travagliato, tanto irto di insanabili contraddizioni e variamente giudicato: v’è infatti chi lo ha definito "breve", come ha scritto un celebre storico inglese; v’è chi lo ha detto "sterminato" e chi, come Marcello Veneziani, "interminabile"; v’è chi come Giorgio Bocca in un recentissimo libro edito da Mondadori, lo ha definito "sbagliato". Sarebbe suggestivo e interessante analizzare la realtà del tormentato Novecento, ma non è l’occasione più appropriata quella presente. Similmente sarebbe oltremodo per me motivo di grande godimento filosofico affrontare la tematica del macchinismo, su cui pagine affascinanti hanno scritto i profeti della crisi dell’età contemporanea da Marx a Bergson, da Kafka a Wizinga, ma non posso distrarmi e distrarvi dal tema che mi è stato assegnato. Mi limiterò a ricordare, per testimoniare la drammaticità del problema, che Marshall McLuan scriveva, nel 1969, che "quando si seminano i denti del drago di una nuova tecnologia, si raccoglie la tempesta di una nuova violenza". Io non giudico la pur spinosa questione in termini tanto catastrofici. Credo infatti che non sia né lecito né possibile tornare ad una mitica età dell’oro che, peraltro, noi ciechi non abbiamo mai avuto e di cui non possiamo neppur annoverare un cantore come il Rousseau. Io giudico che abbia ragione Paolo Rossi quando afferma che i guasti creati da una certa tecnologia si superano non con impensabili regressioni storiche o ritorni alla natura, ma con l’introduzione di una nuova tecnologia più avveduta e più rispettosa dell’uomo e dell’ambiente. Essenziale è che l’educazione non smarrisca mai il suo senso greco di "paideia", che ha come centro l’uomo, il quale non si lascia asservire dalla macchina, bensì tanto è più uomo quanto più la sa asservire alle sue esigenze umane. La macchina infatti, soprattutto per chi non gode della pienezza del proprio essere come noi ciechi, deve profilarsi, secondo l’auspicio del "Ghelen", come integrazione dei sensi residui e come sostituzione di quello mancante, al fine di aiutarci ad ampliare i pur sempre angusti orizzonti delle nostre possibilità cognitive.
Io non credo che l’informatica abbia cancellato il libro, pur nel mio analfabetismo tecnologico, comprendo che essa ne consente un diverso modo di fruizione, allo stesso modo per cui la scrittura non ha cancellato la tradizione orale o il linguaggio parlato non ha distrutto quello dei gesti.
La tecnologia è sì "techne", cioè arte e abilità, ma è anche "logos", cioè ragione e tanto più gioverà all’uomo, quanto più il logos darà senso alla techne non consentendole uno sviluppo fuori della razionalità. La componente della ragione, infatti, rende possibile la vera sperimentazione che non si riduce alla positivistica "constatazione del fatto", ma di ogni esperienza sa cogliere il senso del problema, trasformandolo in elemento che giova alla crescita dell’uomo. Opporsi alla vera sperimentazione sarebbe, oltre che inane, stolto e produrrebbe solo danno all’umanità che, fra i titani del suo progresso scientifico e morale, annovera primariamente Leonardo e Galilei.
La sperimentazione che svolge il Cisad concerne gli ausili didattici, giacché questo centro, rinnovando lo spirito della più positiva tradizione tiflologica che va da Pierre Villey ad Augusto Romagnoli e ad Enrico Ceppi, è consapevole che, per il recupero del bambino cieco, occorre che all’educazione come "liberazione dai condizionamenti", secondo l’etimo latino dal verbo "educere", si accompagni sempre la rieducazione, intesa come azione razionale sui sensi residui, chiamati allo svolgimento di funzioni ad essi non proprie.
In questa prospettiva il Cisad si prefigge di fornire una risposta alle crescenti esigenze che avvertono le famiglie dei bambini ciechi ed ipovedenti, gli insegnanti di sostegno e quanti, per ragioni diverse, sono chiamati a svolgere un compito di recupero dei minorati della vista. Non v’è dubbio che le sue proposte costituiscano una rivoluzione, ma è certo che anche questo termine dev’essere inteso in senso positivo, giacché il Cisad presenta strumenti che integrano e potenziano le possibilità residue dei ciechi, contribuendo ad avvicinarne il punto di partenza a quello degli altri. "Ogni rivoluzione", ha scritto Charles Teguy, "o è morale, o non è rivoluzione". In questo senso la Federazione giudica positivamente il nuovo Centro e lo considera un’occasione pedagogica educativa e didattica dalle immense potenzialità, inserendo le risultanze della sua sperimentazione tra i capitoli più entusiasmanti della tiflologia.
È fuor di dubbio che i possenti strumenti offerti oggi dalla tecnologia, come son capaci di elevare a vette sempre più alte le capacità cognitive dei ciechi, così, proprio perché potenti, ove siano usati senza accortezza potrebbero favorire l’ulteriore isolamento del bambino cieco o creare aspettative miracolistiche nei ragazzi minorati della vista, nelle loro famiglie e nell’opinione pubblica. Ancora una volta è l’educazione che, in quanto "formazione integrale della persona umana" che è da intendere come sacro principio posto oltre i termini di ogni esorbitante funzionalismo, deve rafforzare i poteri di resistenza e di reazione, insegnando al fanciullo cieco ad avvalersi di ogni strumento come "ausilio" e, quindi, tale da non assumere alcuna dimensione teleologica. Con questo spirito la Federazione ha istituito il Cisad che costituisce un ulteriore traguardo dell’emancipazione dei ciechi.
E quando i ciechi della nuova generazione potranno apprendere la letteratura italiana sui CD-rom che, attraverso il Cisad e altre strutture, sono in via di allestimento, saranno, pur nella dolorosa condizione sensoriale che tutti ci accomuna, molto più fortunati e affrancati di quel che fummo i ciechi della mia generazione che, per la stessa esigenza scolastica e culturale, dovemmo faticosamente maneggiare gli scoraggianti ventiquattro volumi della pur indimenticabile antologia di Attilio Momigliano o le decine di tomi della letteratura di Mario Sansone o di Natalino Sapegno, come noi, a nostra volta, eravamo stati più fortunati e più affrancati di Augusto Romagnoli che, alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento, aveva dovuto trascrivere con il punteruolo pagine e pagine sotto la paziente dettatura di quel Giovanni Corsari che, con tanto commosse parole, ricorda in una bella nota della sua opera.
Per questo spirito di fiducia nelle razionali conquiste della scienza e della tecnica, la Federazione, istituendo il Cisad, ha operato un investimento. E anche qui io vorrei che il termine non venisse inteso soltanto nella sua corrente valenza finanziaria ed economica, ma anche in quella tiflologica e morale. Per questa convinzione pedagogica io grandemente apprezzo l’iniziativa del Cisad di avviare corsi accelerati per l’apprendimento dell’uso e per la sempre più disinvolta padronanza dei meravigliosi strumenti tecnologici. Con simile intrapresa, infatti, entriamo in un nuovo capitolo della tiflologia che, in tal modo, continua a crescere sul robusto tronco nato oltre due secoli or sono e che cresce non certo come mitico fiore del deserto, ma con l’apporto di tutte le scienze, fra cui essenziale è l’estesiologia.