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Didattica speciale

Andrea Mantegna e la didattica speciale:
toccare la prospettiva rinascimentale

Loretta Secchi

L’educazione estetica orienta alla comprensione della Storia dell’arte e rende possibile l’apprendimento di aspetti importanti della realtà e della sua rappresentazione. Ciò vale tanto per un pubblico di persone normovedenti quanto per un pubblico di persone con minorazione visiva. Certo, gli strumenti didattici riservati alle persone cieche e ipovedenti sono in parte diversi da quelli rivolti alle persone vedenti ma non per questo divergenti. Lo sviluppo della tattilità è quindi un punto di partenza essenziale per accedere alla percezione della forma dotata di valore estetico e allo sviluppo di potenzialità cognitive orientate a una costante educazione al sentire per capire. Nelle attività svolte all’interno del Museo tattile “Anteros” tra i compiti di ricerca, formazione e didattica speciale, è compreso lo studio della comunicazione del contenuto delle arti visive, anche e proprio attraverso l'esame delle trasformazioni dello stile e quindi delle idee che dimorano in una cultura e che costituiscono lo spirito di un’epoca. Sia in presenza che in assenza di disabiltà visiva, le immagini artistiche possono aiutarci a conoscere il significato più profondo dei codici condivisibili, il ruolo dell'analisi e della sintesi nella vita quotidiana e nella vita interiore di ciascuno. La percezione è, infatti, all'origine del processo evolutivo della persona che, attraverso l'educazione sensoriale, perviene alla distinzione e alla comprensione di semplice e complesso, molteplice ed essenziale. Anche per questo la tattilità, vissuta sia concretamente che nella sua estensione di significato, è una risorsa preziosa per lo sviluppo della sensibilità e delle abilità individuali.

Il museo tattile Anteros da numerosi anni offre metodi di comprensione e lettura tattile dei dipinti tradotti in bassorilievo prospettico che richiedono un lavoro integrato, basato sulla conoscenza dei fondamenti tiflopedagogici che sottendono la progettazione di immagini ad uso delle persone disabili della vista, conoscenza della teoria dell’arte e sua applicazione all’estetica dei valori tattili. Lo scopo è condurre verso la corretta decifrazione, significazione e rappresentazione prospettica della spazialità vissuta e immaginata, tenendo conto dello sviluppo della percezione aptica e della costruzione mentale di mappe visive, considerati i concetti di punto di vista, di punto di fuga, fuoco, contiguità, distanza e relazione tra soggetti. Si potrebbe obiettare che la comprensione della prospettiva, in quanto arte della rappresentazione dell’illusionismo ottico, non sia comprensibile né utile alle persone cieche ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la percezione tattile della visione prospettica è offre una possibilità di cognizione di un fenomeno che ha origine in un processo intellettuale supportandolo con la percezione tattile delle aberrazioni ottiche indotte dalla visione prospettica. Inoltre la percezione tattile, per sua natura scansionale e analitica, può trarre beneficio da un’educazione estetica che preveda la conoscenza dell’immagine pittorica, da intendersi anche e proprio come traduzione tridimensionale dello spazio e dei soggetti ivi collocati. L’esame delle linee di contorno, delle superfici, della progressione spaziale e della modulazione dei volumi è quindi un possibile modo per conoscere la profondità dello spazio vissuto e rappresentato.

Dalla realtà alla rappresentazione: la costruzione dell’immagine nei disabili della vista e nei normodotati

Il tatto è un tipo di percezione che «invade e modifica i suoi obiettivi attraverso l’azione muscolare e rappresenta un coinvolgimento tutto personale che provoca numerosi inconvenienti», come spiega Rudolf Arnheim. Si può dire che la formazione della persona non vedente, in età infantile, evolutiva e adulta - tenendo sempre in considerazione la differenza di condizioni cognitive tra non vedenti congeniti - acquisiti e ipovedenti, andrebbe letta in un contesto sociale più vasto. La necessità di rieducare e quindi riabilitare il senso del tatto, dovrebbe essere vista in termini più ampi per essere estesa a una intera popolazione oggi fortemente inibita nella percezione aptica. Abbandonato il pregiudizio per il quale la tattilità non può permettere l’accesso alla visione di insieme, possiamo oggi affermare, sia pur con le dovute cautele e discriminanti, che ogni percezione (tattile e ottica) di “insiemi strutturati” deve fondarsi su un accurato esame dei procedimenti attraverso i quali prendiamo coscienza dei nostri strumenti e modi conoscitivi linguistici, visivi e verbali. La mente può organizzare una complessa “Gestalt” ma non può elaborare tutti gli elementi che la compongono in un solo atto. Arnheim spiega che la visione trae profitto dall’immagine piena e costante del campo visivo, ma questo sfondo è solo la superficie su cui opera la vera percezione.

Quindi anche la modalità percettiva ottica non può conoscere una vera e propria simultaneità. Tuttavia, rispetto alla modalità tattile, la vista presenta tempi più rapidi e variabili più intuitive nelle modalità di strutturazione globale e integrata dell’immagine. La persona vedente può percepire un soggetto stagliato su uno sfondo come un tutto integrato e tale prerogativa non è concessa con altrettanta spontaneità a un cieco. Nonostante ciò la persona non vedente può acquisire, sia pur con uno scarto temporale maggiore, la medesima relazione integrata, mediante un’appropriata ricostruzione logico-sensibile dei dati che costituiscono la relazione tra soggetto e sfondo e gradualmente ottimizzare i tempi della comprensione.

Gli organi recettori del tatto comportano che la tattilità sia sempre coordinata alla complessità delle sensazioni cinestesiche interne al corpo. Per questo il riconoscimento di un oggetto ma anche la comprensione tattile della sua rappresentazione plastica risultano agevolati quando il senso interno dell’equilibrio fornisce le dimensioni spaziali della verticalità e dell’orizzontalità, del fronte e del retro, dell’alto e del basso, di destra e sinistra e quando, all’interno di queste coordinate, percezione dell’oggetto e sua rappresentazione vengono completate dalle direzioni in cui il torso, le braccia e le dita sono orientati quali strumenti aggiuntivi di comprensione. Le mani, con le varie articolazioni che possono muoversi organicamente, concertano gli stimoli tattili e la visione, che non conoscerebbe l’eguale, può assimilarsi alla tattilità solo appropriandosi di questa pluralità sensoriale.

La similitudine tra i comportamenti tattili ed ottici si basa su modalità percettive che si assomigliano perché portano a livello della coscienza l’articolato fenomeno della visione. Con percorsi progressivi e sequenziali di lettura, si passa attraverso la sincrasi, l’analisi e la sintesi, per pervenire a una visione di insieme che garantisca il riconoscimento dei soggetti esperiti. Si tratta di una funzione presente sia nella percezione ottica del vedente che nella percezione tattile del non vedente.

Il ruolo della tattilità nella Teoria dell’arte tra XIX e XX secolo

Nella teoria dell’arte, dal tardo Ottocento alla prima metà del secolo scorso, si è spesso trattato il problema del corretto approccio al manufatto, sia partendo dall’analisi dello stile e della forma, che dalla comprensione del suo contenuto. Le ragioni culturali di una certa sfortuna critica del pensiero iconologico in Italia, almeno fino agli anni Settanta (tranne rari attestati di interesse già presenti negli anni Cinquanta e Sessanta, ma del tutto isolati), impongono di ricordare come l’iconologia, già nella prima metà del secolo scorso, fosse stata definita, dallo storico dell’arte Otto Pächt, e non senza una vena polemica, “Storia dell’arte per ciechi”. Da questa premessa, dai pregiudizi, dalle certezze acquisite, dai dubbi insoluti - riguardanti la complessa materia della percezione e significazione delle forme dotate di valore estetico - si ritiene indispensabile partire per avviare una trattazione sulla funzionalità dell’educazione estetica, sia in senso esteso, sia, nello specifico, in presenza di disabilità visiva.

Sarà più semplice, di conseguenza, ripercorrere collettivamente quelle tappe che conducono ciascuno, indipendentemente da un’eventuale cecità fisiologica o psicologica a capire come si possa vedere o non vedere un’opera d’arte, ma anche a comprendere cosa significhi vedere attraverso ed oltre l’opera d’arte, entro e oltre il deficit visivo. Riflettere sulle potenzialità didattiche, cognitive ed ermeneutiche di un sistema di lettura dell’opera d’arte, significa anche rivedere il comportamento critico suggerito al soggetto che fruisce dell’opera e analizzare con lucidità il grado di travisamento o riduttiva applicazione dei metodi, troppo spesso adottati come schemi rigidi, anziché come tracce basilari, paradigmi di un modello conoscitivo, specimen estendibile ad altre esperienze e quindi tramutabile in altre abilità.

L’insegnamento della storia dell’arte parte da una complementarietà di approcci, quello della percezione della forma, della storia dello stile, della conoscenza del tema iconografico e del significato iconologico. L’osservazione del comportamento cognitivo di un gruppo di persone, soprattutto se eterogeneo, posto dinanzi all’opera d’arte, e l’osservazione delle azioni/reazioni collettive e individuali, rivelano quante stratificazioni di significati convenzionali e intuitivi, intrinseci e simbolici agiscano nel processo di conoscenza dell’opera d’arte. Ormai risulta necessario collegare tra loro le più recenti ricerche nel campo dell’educazione estetica tradizionale e speciale e questo per individuare i fondamenti metodologici del comportamento cognitivo e del sistema conoscitivo di un pubblico eterogeneo le cui condizioni culturali, intellettuali e sensoriali siano diverse e leggibili nelle loro strutture. Ma per osservare criticamente e capire come si profilino condivisioni di codici della rappresentazione e significazioni delle immagini (con annesse variabili), sia durante il processo di percezione che attraverso l’interpretazione di un’opera d’arte, è proprio l’assenza di percezione ottico-retinica, ovvero la presenza di cecità congenita, acquisita e/o ipovedenza a darsi come condizione esemplare e rivelatoria.

L’iconologia, disciplina fortemente legata all’indagine letteraria e filosofica dell’opera d’arte, per queste caratteristiche peculiari fu giudicata un esempio di analisi prevalentemente contenutistica dell’arte. La sua relazione con la forma, con le categorie della rappresentazione e con la storia degli stili fu sì considerata, ma anche giudicata non pienamente soddisfacente, da qui la sua svalutazione. Da questo malinteso e da alcuni fondamenti di teoria dell’arte e psicologia della percezione è utile ripartire per ragionare sul pericolo di scollamento tra forma e contenuto e sui danni provocati dal verbalismo presente in un’ancora recente storia della formazione estetica dei non vedenti, al fine di sottolineare l’esigenza di conciliare percezione e cognizione, integrazione sensoriale ed elaborazione intellettuale di un sistema percettivo “estesico” tenendo conto delle potenzialità dell’uso colmativo dei sensi residui.

Qualsiasi sistema conoscitivo applicato all’arte, qualora intrapreso da persone normodotate e da persone con deficit o handicap, impone la lettura circolare e stratificata dell’opera. Opera intesa non tanto e solo come manufatto, piuttosto come entità portatrice di senso, rappresentazione e documento vivificato dalla costante pratica della percezione e dell’interpretazione collettiva e individuale al contempo.

Dagli anni Ottanta in poi lo studio dell’arte ha sempre più richiesto trasversalità tra discipline affini quali: estetica, teoria dell’arte, critica e storiografia artistica, metodologia della ricerca storico artistica, didattica e psicologia dell’arte, infine psicologia della percezione e semiologia. Per queste ragioni la riflessione sul delicato rapporto tra significante e significato / forma e contenuto, nel linguaggio verbale evocatore di immagini mentali (ekfrasis) e nell’immagine visiva, narratrice di brani poetici, è diventata sempre più frequente, anche in virtù del ruolo della riproduzione digitale dell’opera d’arte, sempre più diffusa e utilizzata da addetti ai lavori e neofiti.

Il rapporto tra immagine e narrazione, nella sua sinergia, che viene affrontato dagli storici dell’arte attenti all’integrazione dei sistemi linguistici, si profila tanto più reale, quanto più attagliato ai problemi del deficit visivo, concepito come lacuna sensoriale parzialmente colmabile grazie a un potenziamento delle facoltà cognitive e immaginative, e facilitato dall’uso vicariante dei sensi residui, quindi da un uso organizzato ma non ingessato della percezione e interpretazione intellettuale di un’opera d’arte.

Sia pur in un’ottica che ha risentito in parte di un approccio separativo, nella prima metà del XX secolo si è ritenuto auspicabile concepire la conoscenza dell’opera d’arte in termini interdisciplinari e ciò ha indotto alla consapevolezza che la formazione estetica sia integrazione di più esperienze sensoriali, cognitive ed emotive.

Il discorso va quindi posto in termini molto precisi, e l’interpretazione di questa presa di coscienza richiede una certa prudenza e circospezione. Come si può insegnare o più correttamente avviare all’esperienza estetica, movendo da strutture di apprendimento non rigide, senza incorrere nel temuto rischio di “proporre” schemi solo apparentemente elastici?

Esiste un modo per addentrarsi nella conoscenza dei sistemi della rappresentazione e della loro significazione dimostrando la verificabilità dei processi percettivi e conoscitivi, addirittura evidenziandone i passaggi intermedi senza ridurre la portata del pensiero creativo che sempre innesca un atto conoscitivo e quindi interpretativo? E soprattutto, è possibile ripercorrere le tappe intermedie e progressive della lettura di un fenomeno artistico per cercare una similitudine, quasi un comune denominatore, tra percezione e cognizione, tra una visione di natura ottica e una di natura tattile, al fine di rendere fattiva la formazione estetica di vedenti e non vedenti, permettendo l’individuazione di codici di rappresentazione e significazione condivisibili? Come spiega Maddalena Mazzocut Mis, in Voyeurismo tattile: «Il problema è ancora una volta quello della eterogeneità o meno di un mondo che ci deriva dal tatto e da uno che ci deriva dalla vista. Se i due mondi fossero completamente diversi, senza che l’uno comunichi con l’altro, allora l’esperimento mentale avrebbe comunque esito negativo. La possibilità di una “traduzione” lascia aperte invece strade alternative, anche se a volte difficili da perseguire e documentare». Come teorico del purovisibilismo Adolf von Hildebrand sostiene nel celebre saggio: “Il problema della della forma” che “Tutte le nostre esperienze di carattere plastico originano dal tatto: benché si tratti in realtà di un toccare contemporaneamente con la mano e con gli occhi. Toccando, noi tracciamo dei movimenti corrispondenti alla forma degli oggetti e le rappresentazioni di determinati movimenti (ossia un insieme di rappresentazioni di determinati movimenti) equivalgono a una rappresentazione plastica».

Tali criteri metodologici stanno alla base della visione ottica e tattile, della comprensione intellettuale e dell’apprezzamento estetico dell’opera d’arte nel vedente, nell’ipovedente e nel non vedente. Con la stessa logica, sia pur con comportamenti percettivi diversi, alle persone vedenti e alle persone con minorazione visiva si offre una didattica opportunamente adattata alle reali possibilità di accesso alla cultura, considerandone le implicazioni sensoriali e cognitive. Ai visitatori con minorazione visiva si propone una lettura dei rilievi assestata sui personali tempi di lettura, opportunamente scanditi e dilatati; si lavora sulla sinestesia e su appropriate personalizzazioni delle metodologie di descrizioni e ricostruzione mentale dell’opera esaminata.

Le mani possono così ripercorrere privilegiate traiettorie dell’occhio (linee di forza, schemi essenziali) ricostruendole mediante l’esperienza aptica, per tendere ai medesimi obiettivi interpretativi cui è destinata la conoscenza dell’immagine nel vedente.

Si tratta pertanto di affinare sia nel vedente che nel non vedente i procedimenti di costruzione e cognizione delle forme per pervenire alla ricostruzione organizzata (ma non meccanicistica) della composizione. La ricostruzione della composizione impone procedimenti parziali di analisi settoriale (maturata attraverso un’esplorazione per scansione) e globali, di sintesi.

Hildebrand definisce come due estremi dell’attività visiva tatto e vista e li giudica antitetici, sostenendo come essi siano due specie di pura attività visiva, sottolineandone tuttavia (e qui troviamo il punto di contatto centrale per il nostro discorso) inscindibilità e compresenza in ogni esperienza percettiva dell’immagine. L’attività visiva si compone di una visione ottico-sintetica e di una visione tattile-analitica. I due momenti coesistono nell’esperienza visiva e alternandosi determinano l’atto del vedere compiutamente. Il vedere l’insieme significa quindi ricostruire l’architettura della composizione, la sua struttura interna, nascosta, talvolta portante. Lo studioso definisce, inoltre, tattile la visione che ripercorre la rappresentazione del plasticismo delle forme mediante linee che testimoniano, anche se codificati, i movimenti consueti e “ideali” (perché preferibili) dell’occhio (pupilla) per conoscere l’insieme della composizione.

Sulla “tattilità dell’occhio” e sulla funzione informativa del tatto, Alois Riegl ha lasciato un contributo essenziale: nelle sue analisi sulle forme della visione e sul Kunstwollen (volontà artistica) troviamo costanti riferimenti alla visione da lontano e da vicino, oppure alla visione intermedia che permette di bilanciare il bidimensionalismo visivo con la ricostruzione intellettuale del volume attraverso l’evocazione della percezione tattile e la comprensione della plasticità dei corpi. In Grammatica storica delle arti figurative Riegl afferma che: «La vista non può penetrare le cose: vede sempre e solamente quella superficie delle cose che è rivolta verso chi guarda. Cioè l’occhio non vede una forma tridimensionale, ma una superficie bidimensionale: vede solo l’altezza e la larghezza, non la profondità. Abbiamo bisogno di un altro senso per convincerci dell’esistenza della profondità, cioè il tatto. La vista rivela solo l’esistenza di una cosa; ma solamente il tatto può accertarsi della sua forma».

Con questi presupposti diventa utile sottolineare come una corretta educazione all’immagine per non vedenti e ipovedenti presenti i requisiti della costruzione mentale e graduale delle tecniche di percezione dello spazio, del tempo testimoniato dallo spostamento dei corpi all’interno di una composizione, della natura spazio-temporale della scena, spesso suggerita dalla progressione imposta dalla narrazione nel descrivere e far rivivere le dinamiche di relazione e interazione tra soggetti.

Tra tempo interno al quadro (se presente un tempo della narrazione entro la rappresentazione che è anche descrizione di una scena) e tempo della lettura, sia ottica che tattile, esiste il comune denominatore della sequenzialità e della stratificazione organizzata di concetti e informazioni ricevute dalla percezione tattile della forma e dalla descrizione verbale dei suoi contenuti. La guida alla lettura della composizione pittorica traslata in rilievo plastico impone molta attenzione alla corrispondenza tra percezione e cognizione, tra informazione ricevuta ed elaborazione personale dei dati.

C’è da chiedersi se l’esame della forma, dello stile, dei suoi rispettivi contenuti espressivi e culturali, possa decifrare i meccanismi della cognizione ed elaborazione intellettuale dell’immagine, intesa come sistema di rappresentazione comprensibile e restituibile. Perché ciò avvenga è forse necessario superare un pregiudizio, quello che vorrebbe scisse la lettura della forma dalla esplorazione del contenuto come lo stesso Omar Calabrese, nell’introduzione al saggio di Tarcisio Lancioni, Il senso e la forma: dichiara «Se ci limitiamo alla sola storia dell’arte, ad esempio, dobbiamo ammettere che la vulgata storico-artistica ci ha sempre insegnato a contrapporre radicalmente il formalismo e le sue basi purovisibiliste all’iconologia>>. In tal senso, varrebbe la pena rileggere i saggi giovanili di Erwin Panofsky per scoprire che nel periodo della sua carriera più incline allo studio dello stile, egli ricerca una conciliazione dei due approcci, proprio in virtù delle recenti concezioni iconologiche avviate da Aby Warburg, nella sua visione allargata dell’iconografia, e ciò allo scopo di riabilitare l’esperienza estetica per considerarla risultato di fattori fisiologici e psicologici. Sulle variabili determinate, per pregressi e relativi progressi, dalla complessa natura della percezione e significazione di un’opera d’arte, vanno innestati poi i concetti di sistematicità e ripetitività delle reazioni cognitive e intellettuali, per “visualizzare” modalità dell’esperienza estetica e condivisibilità di codici, indipendentemente dalla presenza di deficit visivo. Un pregiudizio ha frenato per un certo periodo l’applicazione, nella didattica, della lettura iconologica, concepita solitamente come abile e accademico esercizio di cogitazione, talvolta analisi letteraria dell’opera d’arte, comunque analisi estranea all’esame della forma per la privilegiata ricerca analogica e anagogica di senso: monito questo, ma anche dimostrazione della sottovalutazione delle estese potenzialità del metodo tripartito panofskiano. Si temeva che la funzione documentativa della contestualizzazione storico-culturale e spirituale potesse ridurre l’esercizio della conoscenza della pura forma visibile, unica certezza della facoltà del vedere e apprezzare l’opera d’arte.

In sostanza: all’iconologia si attribuiva l’errore di poter descrivere e ri-creare un’opera d’arte incorrendo nel puro discorso, i cui termini avrebbero potuto ammettere l’assenza stessa dell’opera d’arte, pervenendo alla sostituzione dell’oggetto reale con un’immagine mentale, comunque altra rispetto l’opera. Da qui la celebre affermazione “accusatoria” a cui si è accennato: iconologia come disciplina per ciechi.

Pur considerando tale giudizio un paradosso, fino a qualche tempo fa c’era da paventare il pregiudizio sulla conoscenza intellettuale, spirituale e storica dell’opera d’arte, soprattutto in clima culturale post-purovisibilista. E non ultimo, il rischioso verbalismo in cui è facile incorrere nell’educazione estetica delle persone non vedenti ha certamente imposto una valutazione severa della qualità di metodi e sussidi didattici con i quali operare soprattutto in presenza di deficit visivo.

Dalla definizione di linguaggio plastico però, possiamo ancora evincere alcune delucidazioni sulla lettura, per livelli progressivi e correlati, di un’opera d’arte, come ci spiegano Greimas e Courtés: «Il linguaggio plastico è caratterizzato dalla sua natura seconda e, in quanto semiotico, dalla relazione semi-simbolica che contraggono la sua forma dell’espressione e la sua forma del contenuto». Lancioni riporta nel suo saggio una citazione di Calabrese: «L’intera costruzione dei tre livelli gerarchici dell’iconologia panofskiana porta a questo possibile risultato: prima esiste un livello dei motivi, i quali si complicano in un livello di significato primario, il quale precede un livello di significato simbolico o connotato».

Come si può intuire, la riflessione coinvolge inevitalmente il complesso meccanismo della visione inteso come educazione al vedere per portare a livello della coscienza valori di forma e contenuto di un’opera d’arte. Dalla percezione, alla cognizione, alla interpretazione, non esiste atto conoscitivo che non implichi interrelazione tra queste fasi di apprendimento complementari. Il sistema del vedere è processo cognitivo e semantico che muove dal sentire. Nell’esperienza del vedere fisiologia e fenomenologia della visione riportano al ruolo preminente e congiunto dell’attività sensoriale e cerebrale e alla pratica costante di una reciproca interazione.

Adozione e conversione dei fondamenti della teoria dell’arte nell’attività didattica speciale delle arti

Nell’esposizione delle metodologie percettive e interpretative adottate nella didattica per non vedenti e ipovedenti all’interno del Museo Tattile “Anteros”, emerge il confronto tra l’esperienza percettiva generata dalla visione retinica e l’esperienza percettiva determinata dalla visione tattile.

Ciò non deve indurre a trovare semplicistiche equivalenze tra percezione ottica e tattile ma a cogliere punti di condivisione tra le due modalità.

Per una pedagogia delle arti finalizzata alla conoscenza della Storia dell’arte, è importante che le persone non vedenti conoscano i concetti di forma semplice e complessa, isolata o correlata, a tutto tondo o a rilievo (rilievo stiacciato, rilievo prospettico). Concetti topografici e topologici sono requisiti essenziali per intraprendere la conoscenza dell’immagine artistica contestuale al riconoscimento degli stili storici e delle categorie della rappresentazione.

La conoscenza della prospettiva ad unico punto di vista è essenziale per comprendere la pittura rinascimentale occidentale e i concetti di cono visivo, visione parziale, frontale, di profilo, in scorcio.

Le endiadi: forma chiusa, forma aperta, spazio paratattico, spazio sintattico, naturalismo / stilizzazione, realismo / idealismo entrano così a far parte di un manuale tattile che è anche dizionario di scelte estetiche e formali. Gli stili storici, modi della rappresentazione influenzati dalle esigenze e dal gusto di una precisa epoca, facilitano la periodizzazione e sistematizzazione di una Storia dell’arte intesa come Storia della cultura e delle idee e i ciclici ritorni delle categorie della rappresentazione aiutano a capire persistenza e relatività dei modelli estetici. Tra percezione e significazione della forma esiste un legame inscindibile ed è per questo che risulta necessario creare codici condivisibili di percezione, visione mentale e ricostruzione concreta dell’immagine. Si potrebbe parlare di un sistema integrato dove alla percezione della pura forma segue la significazione espressiva e culturale dell’opera d’arte. L’esperienza estetica che deriva da un’esplorazione tattile progressiva e organizzata di un bassorilievo prospettico, conduce all’apprendimento percettivo, cognitivo e intellettuale dell’opera tradotta. Nel procedere per sincrasi, analisi e sintesi, si perviene a una ricostruzione dell’immagine per “stratificazione”.

Come avviene la lettura tattile di un bassorilievo prospettico con l’applicazione didattica del metodo tripartito panofskiano

La lettura tattile è progressiva e organizzata: dapprima guidata, successivamente autonoma. Prima di invitare alla lettura tattile è opportuno conoscere l’entità della disabilità della persona non vedente che guidiamo. Percezione, cognizione e significazione dell’immagine, queste in sintesi le tre fasi che corrispondono ai tre livelli di interpretazione del metodo tripartito, durante la lettura dell’immagine artistica. Esse coincidono con tre livelli di lettura, correlati e inscindibili, che vengono sempre rispettati ma praticati in proporzioni diverse. Dopo aver letto le strutture geometriche nascoste e gli schemi interni della composizione (analisi preiconografica), riconosciuto i contenuti convenzionali dell’immagine (analisi iconografica), ed esplorato il senso dell’opera d’arte (analisi iconologica) il lettore giunge all’esperienza estetica, anche in relazione al suo pregresso culturale e alle sue potenzialità percettive.

  1. Percezione tattile delle forme e delle strutture (anche ottica in caso di uso del residuo visivo) = Lettura preiconografica
  2. Cognizione delle forme e riconoscimento della loro identità = Analisi iconografica
  3. Significazione della rappresentazione e sua estensione di senso = Interpretazione iconologica

Nonostante l’esigenza di dare una struttura codificata alla lettura, presso il Museo Tattile “Anteros” le persone con disabilità visive apprendono gli schemi formali e contenutistici dell’immagine esplorando riproduzioni plastiche delle opere d’arte pittoriche con tecniche di lettura tattile che, una volta acquisite, possono essere autonomamente rivisitate. Vediamone di seguito alcune tra le più utili e collaudate:

  • Costruzione visiva e gestuale di linee di forza necessarie all’individuazione di relazioni tra soggetti presenti nella composizione
  • Per l’apprezzamento delle qualità spaziali, topografiche e topologiche, per la comprensione di coordinate spaziali (alto / basso, orizzontale / verticale) di localizzazione e lateralizzazione (destra / sinistra), infine per la conoscenza dei contorni della forma, delle qualità volumetriche ed espressive di aggettanze, piani di posa prospettici, scorci, qualora la rappresentazione richieda la cognizione di aberrazioni ottiche e deformazioni prospettiche, le azioni potranno essere:
    1. alternanza di movimenti a “pinza” e a “pennello” con uso dell’indice e pollice congiunti, con rotazione e allineamento dei polpastrelli per afferrare e ridisegnare i contorni delle forme; aderendo ai sottosquadri allo scopo di significarne il progressivo digradare dei piani. Gerarchizzazione e organizzazione progressiva delle fasi di lettura degli elementi compositivi mediante apertura delle dita e contenimento delle forme nei palmi delle mani.
    2. uso della bimanualità (movimento coordinato delle mani), talvolta simmetrico, talvolta speculare, in relazione allo schema presente nella rappresentazione iconica
    3. sfioramento della superficie per percepire variazioni di texture e modulazioni plastiche.

Queste modalità specifiche per la lettura dell’immagine bidimensionale tradotta in tre dimensioni attingono alle tecniche di esplorazione tattile utilizzate nella lettura dei sussidi tiflodidattici (disegni a rilievo, plastici in termofhorm, mappe tattili) e anche dall’esperienza pregressa di lettura della realtà a della scultura a tutto tondo. Ma va detto che le tecniche adottate su immagini semi-tridimensionali facilitano notevolmente la comprensione delle forme immerse in uno spazio che ne evidenzi schemi, strutture interne, relazioni e caratteri spazio-temporali. Gli esercizi che anticipano le letture di rappresentazioni pittoriche, tradotte in bassorilievo, richiedono azioni preliminari di natura cinestesica e propriocettiva e predispongono tanto all’esplorazione degli oggetti reali, quanto alla conoscenza della loro rappresentazione. Lo scopo è facilitare il passaggio dalla conoscenza della realtà alla sua rappresentazione schematica e tecnica, affinché, garantiti i prerequisiti essenziali, sia possibile accedere all’esperienza estetica.

L’uso della descrizione verbale, simultaneo alla guida tattile, serve a rafforzare la comprensione dell’opera e ha, talvolta, funzioni colmative. Il linguaggio deve essere essenziale ed esauriente, informativo, e la parola, qualora necessario, può risultare “equivalente estetico” della forma. Le modalità illustrative devono essere distillate con cura. La guida non deve essere invasiva, deve invece capire i tempi e le esigenze del lettore ed evitare espressioni metaforiche intraducibili in esperienze percettive e cognitive accessibili.

Attraverso la modellazione plastica dell’immagine artistica, dapprima letta al tatto, è possibile verificare il grado di apprendimento della forma nel comportamento dell’allievo e distinguere tra un’autentica, cosciente ricostruzione della composizione ed eventuali meccanicismi mnemonici e manuali che di per sé non garantiscono la reale comprensione di realtà e simbolizzazione.

Per facilitare il processo cognitivo e interpretativo dell’immagine, ci si avvale anche di esperienze propriocettive (presa di coscienza dello schema corporeo e della struttura del proprio corpo, contrazioni e distensioni muscolari, mobilità); delle tecniche cinestesiche (acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti) e dell’esperienza aptica generale (risposta della superficie corporea a diversi tipi di sollecitazioni tattili). Il traguardo è pervenire, attraverso la percezione tattile, alla distinzione tra realtà e rappresentazione. Cognizione e interpretazione delle immagini rafforzano l’autonomia del disabile della vista e la sua capacità di organizzare e conservare i dati acquisiti.

Teoria dell’arte, formalismo, storia degli stili, contenutismo, semiotica e psicologia della percezione confluiscono (in forma opportunamente selezionata e integrata) nell’applicazione didattica del metodo tripartito panofskiano adeguato alle esigenze percettive e cognitive dei disabili della vista. Percezione della forma, lettura preiconografica, analisi iconografica e interpretazione iconologica, sono passaggi che, integrati e contestualizzati, risultano funzionali tanto alle esigenze cognitive delle persone non vedenti congenite, tardive e ipovedenti, quanto alle esigenze cognitive delle persone normovedenti, per una ragione precisa: il valore educativo della progressione organizzata (non ingessata e non lineare) sempre presente nelle fasi dell’apprendimento. Esiste quindi un potenziale umano che si esprime nelle pratiche dell’abilitazione e della riabilitazione, rendendo percorribili, convertibili e vivificabili, paradigmi conoscitivi apparentemente noti, inesauribili nelle loro funzioni.

Quanto espresso fin qui introduce alla presentazione della scheda tecnica funzionale alla percezione sensoriale, alla cognizione a alla comprensione estetica della prospettiva contemplata nel celebre dipinto di Andrea Mantegna, Lamento sul Cristo morto, e richiede una presentazione delle modalità attraverso le quali è necessario “insegnare” a comprendere la visione prospettica e la natura codificata e simbolica di tale visione. Per la realizzazione di questo rilievo è stata avviata una progettazione funzionale a decifrare e ricostruire tridimensionalmente la prospettiva semantica più che “naturalistica” adottata da Andrea Mantegna. Per questo l’unità di misura di profondità di campo è stata codificata mediante l’uso del bassorilievo prospettico, con uso di sottosquadro. E al tempo stesso la molteplicità dei piani di posa e la progressione degli stessi ha richiesto un rapporto di continuità sulla superficie del corpo di Cristo che tenesse conto della deformazione prospettica e dell’uso di tecniche di resa pittorica in stiacciato per evitare una volumetria eccessiva e fuorviante. Alcuni valori prospettici visivi sono stati opportunamente modificati in prossimità del volto del Cristo e della sporgenza di mento e barba. Tali variazioni si sono imposte per una maggiore funzionalità di percezione aptica dei valori prospettici.

ItemCliccando si apre immagine ingrandita PerpectivaCliccando si apre immagine ingrandita è una parola latina che significa vedere attraverso. Per il Rinascimento vedere attraverso vuol dire vedere lo spazio tridimensionale come attraverso una finestra e quindi rappresentare l’intuizione prospettica mediante costruzione geometrica e matematica della profondità. La prospettivaCliccando si apre immagine ingrandita è però una formaCliccando si apre immagine ingrandita simbolicaCliccando si apre immagine ingrandita, nel momento stesso in cui le modalità di rappresentazione prospettica possono essere tante quante sono le modalità stilistiche di percezione e strutturazione visiva dello spazio prospettico. Come spiega Panofsky, in un suo celebre saggio intitolato la Prospettiva come forma simbolica, le forme storiche di concrezione spaziale quali forme di attività spirituale possono essere paragonate alla visione “meramente ottica”, considerata in sé neutrale, per indicare in tal senso le molteplici interpretazioni del “dato” che un diverso orientamento della volontà artistica (Kunstwollen) e concezione del mondo (Weltanshauung) hanno generato.

Già l’orientamento organizzato delle strutture base: forme percorse da linee di forza verticali, orizzontali, diagonali, serpentinate, linee spezzate o continue, implica una percezione del profilo e del contorno privilegiato di una forma in sé estesa (forma chiusa/aperta, stilizzata/naturalistica ecc.). Nel bassorilievo prospettico, inteso come rilievo tecnico che mutua dalla tradizione rinascimentale la tecnica del sottosquadro (adatta a evidenziare i contorni), l’unità di misura di profondità presente nella traduzione e interpretazione tridimensionale dell’opera è un codice guida della progressione dei piani di posa e quindi della ricostruzione mentale della nozione di spazio prospettico. Ma per un non vedente congenito l’acquisizione del concetto di prospettiva impone una riflessione sul concetto di deformazione o alterazione della forma nella percezione ottica. Avvicinare un non vedente alla pittura iconica significa non solo avvicinarlo all’arte visiva che, se figurativa e/o mimetica, copia la realtà e la trasfigura, ma anche introdurlo al principio di aberrazione ottica e spiegargli che ciò che la visione retinica percepisce è un’illusione ottica che la mente decodifica al fine di intuire la reale fisionomia dell’oggetto osservato e la nozione convenzionale che giustifica l’illusionismo e/o l’aberrazione ottica.

In tal senso un organo tanto analitico e realistico qual è il tatto, abituato a percepire prevalentemente forme a tutto tondo senza esame del punto di vista, è chiamato a costruire movimenti e memorie aptiche di andamenti e profili tangibili della composizione che sono finalizzati alla costruzione di un grafico e alla sovrapposizione, per innesto, di informazioni più dettagliate che interesseranno le singole qualità formali estetiche e morfologiche dei soggetti ospitati nella composizione per come sono viste da un punto di vista unico o da più punti di vista selezionati (analisi prospettiva come forma simbolica, come artificio, come prospettiva naturale).

I procedimenti di lettura per il non vedente congenito corrispondono ad una vera e propria costruzione, dapprima di geometrie informative, e successivamente di qualità formali dotate di valore estetico; questo in ogni percezione tattile di opere d’arte plastiche e non solo sul bassorilievo. Tuttavia la lettura d’insieme che il rilievo (traduzione plastica della composizione bidimensionale che già in sé è illusionisticamente tridimensionale) offre all’osservatore non vedente, permette di cogliere l’insieme correlato più che la separazione tra parti e sezioni.

Ogni lettura tattile è per definizione settoriale: procede mediante scansioni per induzione di nozioni e successivamente per deduzione intuitiva. Spesso il non vedente congenito, la cui sensorialità educata ha condotto al rafforzamento dell’intuizione cognitiva, procede per settori e per colmatura delle lacune cognitive, partendo dalla conoscenza parziale, talvolta frammentaria della rappresentazione. La costruzione mentale della disposizione dei soggetti calati nello spazio con le loro singole espressività e posture, impone alla persona con menomazione visiva di assumere concettualmente specifici punti di vista come avviene per l’osservatore vedente rispetto al soggetto indagato. Nel caso dell’osservazione di un corpo umano la possibilità di far assumere al fruitore non vedente posizioni analoghe al soggetto pittorico o scultoreo è aiuto assolutamente apprezzabile ma non risolve necessariamente il problema della contestualizzazione del soggetto immerso in uno spazio osservato da un ideale spettatore esterno. La finestra prospettica, con adozione di un punto di vista centrico e artificiale, mira a rappresentare, sia pur con forte astrazione, l’effetto visivo dell’osservatore che, immobile, sceglie il punto di vista frontale da cui dominare lo spazio circostante. L’importanza di far assumere alla persona non vedente una posizione che imiti quella connotante il soggetto ospitato nell’opera d’arte è certa: induce al riconoscimento per confronto e alla schematizzazione e sintesi di una struttura formale con la quale ci si può identificare. Questo riconoscimento tuttavia non risolve i complessi processi della rappresentazione mentale della posizione del corpo rispetto agli altri elementi della composizione che interagiscono tra loro, ma aiuta a maturare il processo astrattivo della conoscenza di una summa di elementi inizialmente isolati e successivamente accostati per stratificazione e correlazione.

Il pensiero visivo che trova forma nell’immagine artificiale prodotta dall’arte, corrisponde da un lato alla rappresentazione di referenti reali e familiari riconoscibili, dall’altro alla figurazione mentale di accostamenti di soggetti e contenuti elaborati dalla mente con l’immaginazione e mentalmente ri-generati. Nel caso in cui nell’immagine artistica predomini la dimensione fantastica e nel caso in cui in una figurazione siano presenti soggetti di immediata riconoscibilità, o di contenuto convenzionale e codificato, ci troviamo dinanzi ad immagini che per il fatto stesso di essere veicolo di informazioni e interpretazioni della realtà si costituiscono come trasfigurazioni, con agganci più o meno evidenti ai codici di significazione comuni. Da qui la conseguente vastità di forme e modi dell’espressione e della rappresentazione artistica fondati sulle tipologie formali e stilistiche, segniche, volumetriche, cromatiche, tematiche, iconografico-iconologiche (spiegare globalità metodo tripartito panofskiano). In che senso l’arte possa essere capita dall’uomo senza necessità di mediazione e quindi di guida alla lettura lo può spiegare solo un rapporto naturale e quasi istintivo con essa a confronto con un’integrazione di spontanea recezione e istintiva ricerca di significazione. L’esperienza estetica già in sé muove dalle diversificate modalità con le quali l’uomo conoscendo sensorialmente interpreta i dati recepiti sia sul piano razionale sia sul piano emotivo.

Tra l’intelligenza logica espressa nella cognizione razionale della forma e l’intelligenza sensibile espressa attraverso la conoscenza emozionale del significato della forma vi è una intersezione e una funzionale complementarietà.

L’atto interpretativo che interessa la gran parte dell’attività sensoriale e mentale dell’uomo si ripropone emblematicamente dinanzi all’opera d’arte e riflette l’atteggiamento comportamentale dell’individuo in rapporto alla cultura, all’esistente, alla ricerca, al senso.

Nell’immagine artistica le qualità strutturali, estetiche e stilistiche della composizione generano diverse reazioni del fruitore e questo già su un piano teorico che accomuna il comportamento conoscitivo del vedente a quello del non vedente. Le modalità di percezione sensoriale di matrice sinestesica, ottica, tattile e uditiva, costituiscono un passaggio essenziale per cogliere potenzialità e reali possibilità percettivo-interpretative che offrano l’integrazione tra educazione all’immagine artistica per vedenti e per non vedenti, e ciò muovendo dalle necessarie differenziazioni o complementarietà dei supporti didattici (sussidi) e delle possibili condivisioni di metodo. Si tratta pertanto di cogliere la somiglianza tra i processi della percezione ottica che portano alla visione progressiva e organizzata della composizione (considerando gli aspetti analitici oltre che sintetici e sincretici della vista) e i processi della percezione tattile che, muovendo dalla scansione, tempo della lettura tattile, sequenzialità e scomposizione di parti, per stratificazioni di immagini portano a un’apprezzabile sintesi di conoscenza globale dell’opera d’arte.

La descrizione di un’opera d’arte pittorica a supporto della percezione tattile del bassorilievo prospettico che ne è una traduzione plastica, deve possedere alcuni requisiti funzionali alla comprensione del soggetto tematico, delle strutture compositive e delle geometie nascoste, dei concetti topologici e topografici e deve presentare i valori estetici in una sintesi calibrata in cui l’uso colmativo della parola ha anche una funzione evocativa e narrativa, di ricerca di equivalente estetico, essendo ulteriore traduzione della forma visiva e di ciò che nella sua impalpabilità e invisibilità non potrebbe essere reso al tatto. L’uso integrato di tattilità e descrizione verbale deve essere calibrato nel rispetto di una giusta proporzione tra le azioni che conducono alla comprensione del soggetto. Per questo non è corretto sovrastare con la parola la percezione tattile e nemmeno delegare al riconoscimento tattile la comprensione profonda di valori estetici che sono la risultante di una estensione di senso dell’immagine artistica. Serve quindi recuperare sia la memoria tattile che la memoria visiva, laddove possibile, esperienza della realtà e conoscenza della sua rappresentazione poetica. Vediamo ora un possibile esempio di descrizione, dedicata alle persone con minorazione visiva, del celebre dipinto di Andrea Mantegna intitolato Compianto sul Cristo morto, tenendo presente la necessità di comunicarne: contestualizzazione storico-artistica, soggetto iconografico, morfologia della traduzione in rilievo, tecniche di esplorazione tattile, descrizione della scena, infine valori stilistici e cromatici, il tutto allo scopo di offrire, nei limiti del possibile, una cognizione strutturale e un’intuizione estetica dell’opera esaminata.

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