Il Diplodocus abita qui. Ma con lo scorrere dei secoli e dei millenni deve aver perso appeal, se è vero – come è vero – che non sono tantissimi coloro che vengono a vedere questo modello di Diplodocus Carnegiei, tipico dinosauro erbivoro, uno dei più grandi rettili del Giurassico superiore. La sua “residenza” è in una sala del museo di geologia e paleontologia dell’Università di Bologna, intitolato a Giovanni Capellini. Del resto, tutto il complesso dei musei dell’Alma Mater è scrigno di tesori e di meraviglie spesso ignoti agli stessi bolognesi. Se, infatti, è facile pensare (e sapere) che un Ateneo – specie il più antico del mondo – sia dotato di un museo di zoologia, uno di astronomia, di anatomia umana, di antropologia, più inattesa, forse, è la scoperta che l’Università di Bologna conserva le testimonianze degli eventi che le diedero origine, del loro sviluppo secolare, dei protagonisti, nel Museo storico e nella Quadreria; che propone un itinerario di grande suggestione sulle rotte del mondo, nel Museo delle navi e nella collezione delle antiche carte geografiche; che ci fa scoprire civiltà lontane, nel Museo di etnografia indiana e orientale; che nel più antico Museo anatomico del mondo conserva, dal ‘700, preparati anatomici in cera che, nel loro altissimo valore scientifico, nulla hanno di macabro: i quadri plastici in cera di Ercole Lelli e le riproduzioni di organi e parti anatomiche eseguite in cera – sempre nel ‘700 – dai coniugi Anna Morandi (alla quale fu anche affidata la cattedra di anatomia) e Giovanni Manzolini. Eccezionale, sorprendente, ancor oggi modernissimo è il Museo ostetrico costituito partendo dal materiale didattico che il medico bolognese Giovanni Galli fece plasmare a sue spese in cera
e argilla e che Papa Lambertini acquistò (il 14 novembre 1757) per l’Istituto delle Scienze dell’Ateneo. I “ritratti dei progenitori” nel museo di antropologia; gli esemplari di piante del “giardino dei semplici” nell’Orto botanico; gli albori della vita nel museo di geologia e paleontologia “Capellini”; le meraviglie nascoste nel cuore della terra, nel museo di mineralogia; il museo di anatomia comparata e quello di anatomia degli animali domestici; gli strumenti astronomici secenteschi e settecenteschi della Specola, nel museo di astronomia, dove si viaggia fra i misteri del cielo; le raccolte – nei due musei a loro intitolati – di materiali delle collezioni di due grandi naturalisti: Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730). Tutto questo è un universo di testimonianze e di conoscenza il cui epicentro è Palazzo Poggi, divenuto sede dell’Alma Mater con la riforma della pubblica istruzione del 1803. Un patrimonio, vanto e ricchezza dell’Università di Bologna, che trova la sua origine, il suo embrione, nel 1711 allorché il Senato bolognese comprò Palazzo Poggi, in Via Zamboni, per ospitare l’Istituto delle Scienze e delle Arti, appena creato, che rappresentò per tutto il XVIII secolo un modello culturale per tutta l’Europa. Dalla sia pur brevissima e sintetica esposizione dei musei dell’Ateneo bolognese emergono sostanzialmente due aspetti: l’insospettata ricchezza di un patrimonio d’arte, cultura e scienza che si propone naturalmente come specchio e parametro di civiltà, e la cui conoscenza e scienza si vanno riscoprendo come elementi dinamici del processo di maturazione integrale del singolo e della comunità e come test per l’interpretazione del cittadino stesso e del suo ambiente. In secondo luogo emerge l’altissima tradizione bolognese degli studi umanistici e scientifici la quale, esprimendosi spesso attraverso geniali intuizioni di personaggi davvero precursori della moderna museografia – come l’Aldrovandi, il Marsili, il Cospi, Benedetto XIV –, ha condotto nell’arco di quasi cinque secoli al concretarsi di un discorso che è contemporaneamente di conservazione e di utilizzazione didattica di materiali d’eccezione. Una realtà, questa che richiede un costante e inesauribile sforzo di rinnovamento delle strutture museografiche e delle relative strumentazioni didattiche.