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Collocazione attuale:
Tecnica e dimensioni dell'opera originale:
Tecnica e dimensioni della traduzione plastica:
Soggetto iconografico:
San Giorgio, appartenente alla tipologia dei Santi leggendari e secondo la tradizione vissuto il Libia tra III e IV secolo d.C., viene solitamente raffigurato nell’atto di combattere il Drago, per la Cristianità emblema del male assimilabile al Paganesimo. La scena contempla anche la presenza di una fanciulla che potrebbe impersonare la Cappadocia, luogo natio di San Giorgio conquistato dalla Cristianità, ma più frequentemente viene interpretata come rappresentazione della Chiesa. Da questa lettura deriva la consueta collocazione del Santo in riva al mare, fuori dalle mura della città, ormai trasformata dal mostro in luogo spettrale.
Il drago, spesso concepito come il demonio che insidia la Chiesa, non muore mai, poiché il male è eterno quanto il bene. Una ulteriore interpretazione vede nella fanciulla una Principessa, figlia del Re della città libica di Silena, salvata da Giorgio, cavaliere della Cappadocia, che domato il drago lo conduce in città, legato alla cintura della giovane, allo scopo di rassicurare il popolo terrorizzato per poi convertirlo alla Cristianità.
Descrizione dell’opera:
Nell'opera San Giorgio, in sella al cavallo, raffigurato nel profilo destro, occupa la scena a partire da sinistra nella composizione, fino a tre quarti nello spazio della tavola. Il Santo sembra rischiare di essere disarcionato perché l'impeto con il quale conficca la lancia nella gola del drago, posto al suolo e calpestato dagli zoccoli della sua cavalcatura, lo porta a un precario equilibrio. Il cavallo, splendida immagine di una credibile reazione equina, rovescia l'incollatura all'indietro, mentre la tensione della redine sinistra, allungata e tirata verso il basso dal cavaliere, ha lo scopo di raddrizzare la testa del destriero per riportare l'animale al controllo e alla compostezza qui compromessi inesorabilmente dall'eccitazione e dallo spavento. Gli anteriori dell’animale calpestano il corpo del Drago sovrastato dai suoi antagonisti. Sulla coscia del posteriore destro si legge il monogramma dell'artista e quindi il valore concettuale di questo marchio a fuoco idealmente impresso sul mantello del cavallo. La postura del Santo è di straordinaria pregnanza: nello sforzo di restare in sospensione, facendo perno sui laterali della sella e leva sull’arcione, San Giorgio solleva il braccio destro che impugna la lancia e con movimento speculare e contrario abbassa il braccio sinistro, quasi a ricomporre una distribuzione degli equilibri. Del Santo è ben visibile la gamba destra, il cui piede finisce col toccare la groppa del cavallo mentre il piede sinistro si intravede sotto la pancia del cavallo che ne occulta la rispettiva gamba. Il corpo di San Giorgio è totalmente protetto dalla cotta medievale, parzialmente coperta da una veste rossa priva di maniche, dotata di breve strascico che, all’altezza della cintura, si alza per effetto del continuo e intuibile spostamento d’aria generato dai movimenti repentini di cavallo e cavaliere. Questo dettaglio stilistico ha la funzione di enfatizzare il moto dinamico che attraversa l'intera composizione, culminando nello scontro di due spinte opposte: quella che sale in un crescendo di tensione lungo la diagonale da sinistra a destra e sembra proiettare il Santo oltre l'incollatura del cavallo e quella che rivelando il rovesciamento del muso e del collo dell'equino oppone una diagonale crescente da destra a sinistra. Il risultato finale è un'ideale croce di Sant’Andrea, collocata quasi al centro della composizione e mirata a bilanciare il rapporto tra moto e stasi, tra direzione oraria e antioraria del movimento a cerniera. L'espressione del volto del Santo è di straordinaria bellezza, le labbra accennano a una smorfia determinata da una contrazione muscolare di mascelle e guance, lo sguardo rivolto verso il Drago si fa acutissimo, le pupille si stringono e il bulbo oculare, nel suo biancore, non può che accentuare questa concentrazione umana e ferina al contempo, in cui si esprime tutta la complessità della scelta effettuata, la gravità del conflitto, la necessità di confrontarsi con l’avversario. I capelli, per lunghezza, sporgono dall’elmo, sollevati dal vento. L'elmo, circondato dall'aureola dorata, difende parzialmente la nuca del Santo e riporta ai significati simbolici dell'oro inteso come simbolo ultraterreno: segno di incorruttibilità, compiutezza ed eternità. Anche i finimenti della cotta del Santo e il morso con filetto, all’angolo sinistro dell'imboccatura del cavallo che ha la testa rovesciata all’indietro, sono dorati: tali particolari, fortemente decorativi, si offrono come punti di luce che attraggono l'attenzione dell’osservatore.
Come in una condizione disperata, dove si attende la propria sorte, San Giorgio, per postura ed espressività, traduce visivamente il concetto teologico del “Soldato di Cristo”, secondo una concezione medievale di “Chiesa militante” chiamata a debellare il nefasto Drago, emblema del male, responsabile di aver seminato morte e terrore nell'isola in cui si trova prigioniera la Principessa. Quest’ultima assiste al confronto cruento e sporgendosi all'estrema destra del dipinto, si rivela solo parzialmente, restando occultata da un paesaggio collinoso, le cui regole di rappresentazione prospettica eludono il calcolo matematico delle distanze nella percezione dei corpi immersi in uno spazio tridimensionale. Qui, in una prospettiva simbolica e intuitiva tesa a far leggere simbolicamente e gerarchicamente i soggetti, l'andatura diagonale del terreno in salita, da sinistra in basso, verso destra in alto, si accorda perfettamente alla scena, in un moto di crescente tensione percepibile nella composizione. Il volto della Principessa, in lieve scorcio di tre quarti, appare reclinato alla sua destra e la sua espressione, mesta e meditativa, nell'assoluto controllo ribadisce la concezione stilnovista della donna angelicata: ermetica e impenetrabile, trattenuta e passiva.
Cenni sull'artista:
Tra gli artisti attivi in Emilia nel XIV secolo, Vitale da Bologna è stato considerato uno degli interpreti più importanti della pittura trecentesca e uno dei massimi esponenti della pittura bolognese, contraddistinta da una narrazione espressiva e incisiva. San Giorgio e il drago è l'opera che più lega Vitale a una vivacità compositiva non aneddotica e colma di tensione. Pur muovendo da suggestioni francesi, assimilate attraverso la conoscenza dei codici miniati, l'artista non perde quella vena realistica che rende la sua pittura testimonianza di una sensibilità penetrante, in grado di trasferire nelle immagini i caratteri psicologici dell’umano, anche quando rappresenta immagini di Santi.