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Trasfigurazione

Autore: 

Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520)

Datazione: 

1518-1520

Collocazione attuale: 

Pinacoteca Vaticana

Tecnica e dimensioni dell'opera originale: 

Pittura a olio su tavola; cm 405 x 278

Tecnica e dimensioni della traduzione plastica: 

Bassorilievo prospettico in gesso alabastrino, cm 79 x 55 x 23

Soggetto iconografico: 

Un tempo ogni iconografo cominciava la sua "arte divina" dipingendo l'icona della Trasfigurazione per imparare che l'icona è dipinta non tanto con colori, ma con la "luce taborica" manifestazione dello Spirito Santo. Dio si comunica all'uomo come luce e come suono. Così si mostrò nell'apparizione sul monte Sinai e così si rivela nella Trasfigurazione di suo figlio, sua parola finale e definitiva. La luce è l'irradiazione di Dio, il dono che Dio fa di tutto se stesso. È ciò che nella Scrittura si definisce "vedere faccia a faccia".
La Trasfigurazione è dunque la visione di Dio, e della SS. Trinità. In questo episodio Cristo appare nello splendore della sua gloria divina, simboleggiata dal candore delle vesti, a due testimoni: Mosé, rappresentante della legge di Israele, ed Elia, profeta per eccellenza, e ai tre discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo. Gesù si trasfigura sul monte Tabor, e come si legge dal vangelo di Matteo (Mt. 17,2) “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. Il tema fondamentale della Trasfigurazione è dunque la luce che risplende intensamente nel Cristo e si irraggia tutto intorno. La festa della Trasfigurazione, amatissima dall’Oriente cristiano e da lì assunta in Occidente a partire dal XII secolo, è celebrata il 6 Agosto, 40 giorni prima della festa dell’Esaltazione della S. Croce, e sottolinea la gloria di Cristo come prefigurazione della Sua Passione volontaria. Sin dalle origini lo schema iconografico riproduce il momento centrale del racconto sinottico: i due gruppi laterali mostrano rispettivamente la salita e la discesa dal monte Tabor, mentre nella zona superiore Cristo campeggia tra Mosè ed Elia, i grandi veggenti dell’Antico Testamento, che sul Sinai e sul monte Carmelo ebbero la visione di Dio, mentre i discepoli sbigottiti dalla visione cadono a terra ai loro piedi. Nell’interpretazione data da Raffaello, il tema della Trasfigurazione è descritto attraverso la raffigurazione di due episodi differenti, narrati consecutivamente nel vangelo di Matteo (XVII, 1-13. 14-20) e interpretati da Raffaello con estrema puntualità ma anche creatività. In alto, dunque, abbiamo la Trasfigurazione di Cristo tra Mosè ed Elia, sul monte Tabor, come si diceva al cospetto dei tre apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, e in basso gli apostoli e i fedeli che cercano invano di curare il ragazzo indemoniato, cura che solo Cristo saprà imporre, considerato che il tentativo di guarigione del giovane, da parte degli apostoli, era fallito, come ci spiega il Vangelo di Matteo.
Sappiamo che nel 1516 il Cardinale Giulio de’Medici indisse una sorta di competizione tra i due più grandi pittori attivi a Roma, Raffaello Sanzio e Sebastiano del Piombo (alle cui spalle vi era Michelangelo Buonarroti). Il cardinale chiese loro di realizzare una pala ciascuno, da destinare alla Cattedrale di Narbona, sua sede vescovile. Si riporta che Raffaello lavorò piuttosto lentamente all'opera, e forse alla sua morte il capolavoro non era ancora del tutto concluso: tuttavia, su questo dato la critica non è unanime, come non trova conferma la tesi di un subentrare di Giulio Romano, dopo la morte di Raffaello, per un intervento conclusivo nella parte inferiore della pala. Va ricordato infine che il soggetto iconografico dell’opera commissionata a Sebastiano del Piombo fu la Resurrezione di Lazzaro mentre quello riservato a Raffaello, la Trasfigurazione di Cristo, fusa per la prima volta all’episodio evangelico, solitamente distinto, della Guarigione dell'ossesso: due temi significativi e comunque affini per contenuto.

Descrizione dell’opera: 

Per rendere tangibile la componente prospettica delle due scene narrate e quindi rendere percepibile la progressione dei piani di posa, la traduzione tridimensionale in bassorilievo di questo ultimo capolavoro di Raffaello ha richiesto di adottare volumetrie consistenti, allo scopo di offrire, alle persone non vedenti e ipovedenti, un’efficace visione di insieme dei soggetti distribuiti idealmente, in alto e in basso, su due piani distinti, pur in relazione tra loro. Con un complesso lavoro di traduzione dei valori pittorici in valori plastici, la traduzione del dipinto è una trasposizione in bassorilievo di componenti estetiche legate a: segno, volume, forma, geometria compositiva e spazialità. Il manufatto, realizzato in scala ridotta rispetto all’originale ha dimensioni di cm. 92 di altezza per cm. 65 di larghezza.
Dopo avere fatto scorrere le mani lungo lo sviluppo perimetrale del rilievo, sarà possibile iniziare la lettura tattile dell’opera, secondo movimenti aptici sincronici e bimanuali, a partire dalla sezione superiore dell’opera, per poi procedere nella lettura tattile della sezione inferiore che accosta per la prima volta due episodi, trattati invece in successione nel Vangelo secondo Matteo. In alto troviamo dunque la raffigurazione della Trasfigurazione di Gesù, in prossimità di un promontorio. Alla destra del Cristo, quindi alla nostra sinistra, compare Mosè e alla sinistra, quindi alla nostra destra, riconosciamo Elia. Le tre presenze si offrono agli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, prostrati sulla collina per la visione della manifestazione divina di Gesù. La nube che circonda Cristo sembra spirare un forte vento che agita le candide vesti del redentore e quelle dei profeti, schiacciando i tre apostoli sulla piattaforma montuosa. Nella parte inferiore, alla nostra sinistra, cogliamo invece i restanti apostoli che si incontrano con il fanciullo ossesso, i cui occhi sbiechi riflettono lo stato di possessione, circondato dai parenti in grave apprensione. Qui una luce cruda e incidente, alternata a ombre profonde, rivela un concitato protendersi di braccia e mani, col fulcro visivo spostato a sinistra, sulla figura dell'ossesso, bilanciato dai rimandi gestuali, altrettanti numerosi, verso la miracolosa apparizione superiore. Nella parte inferiore la scena si infittisce dunque di personaggi: alla nostra sinistra gli apostoli appaiono raggruppati e distinti dai familiari che alla nostra destra sorreggono il giovane sofferente e implorano la sua liberazione dal male. Gli apostoli indicano nella figura del Cristo l’unico Salvatore e l’evangelista Matteo, effigiato in primo piano a sinistra, con il libro aperto appare quale immagine sapienziale. Con questa esplorazione si coglieranno le espressioni drammatiche dei singoli volti dei nove apostoli che si trovano a sinistra del lettore, e i dettagli fisionomici e i gesti concitati dei familiari e del ragazzo posseduto, sempre nel numero di nove, che si leggono a destra del lettore. Come accennato, nel vangelo di Matteo risulta che il giovane indemoniato viene miracolosamente guarito da Cristo al ritorno dal Monte Tabor. Ma il momento che precede l’evento miracoloso è dominato dalla paura, da sentimenti contrastanti e da una domanda incessante sull’origine del bene e del male, domanda che solo la fede può placare. Si presume che all’origine Raffaello non avesse previsto la scena della guarigione dell’ossesso, e l’abbia inclusa solo dopo avere appreso della commissione data a Sebastiano del Piombo, optando così per la compresenza dei due temi, qui raffigurati senza scarto temporale, quindi volutamente in contemporanea, quasi a comunicare ai fedeli il principio dell’Epifania del Sacro nella coscienza della potenza del Divino. La figura femminile, statuaria, in primo piano, mette in relazione i personaggi e appare come un monito, un invito alla Fede: forse ne è personificazione. Sull'asse verticale si consuma infatti il raccordo verso la straordinaria epifania del Salvatore, che scioglie tutto il dramma della metà inferiore in una contemplazione incondizionatamente ammirata che è anche stupore. In alto a sinistra è possibile percepire i volti e parte dei corpi dei santi Felicissimo e Agapito la cui festa si celebrava il 6 agosto, stesso giorno della Solennità della Trasfigurazione: si tratta forse di un valore liturgico ma vi sono teorie che sostengono come in questi due personaggi si debbano riconoscere piuttosto i Santi Giusto e Pastore, protettori di Narbona. Importante è percepire infine il paesaggio al tramonto e la tecnica, a pennellate rapide, quasi “impressionistiche” con la quale Raffaello rappresenta la luce proveniente da fonti diverse, con diverse graduazioni e intensità. La diversità tra le due metà, simmetrica e astrattamente divina quella superiore, convulsa e irregolare quella inferiore, non compromette l'armonia dell'insieme. Lo stesso Giorgio Vasari ricordò l'opera come "la più celebrata, la più bella e la più divina" dell'artista. Il carattere teatrale e drammatico dell'opera fu all'origine della sua straordinaria fortuna per tutto il Cinque e Seicento, nell’arte italiana ed europea.

Cenni sull'artista: 

Raffaello Sanzio nasce a Urbino, il 28 marzo 1483; tra i grandi maestri del Rinascimento è l’esponente di una pittura in cui tradizione classica e creatività si coniugano con estrema naturalezza. Allievo del Perugino, a soli diciassette anni è già citato dai contemporanei come “magister”. Agli inizi del 1504 si reca a Firenze con l’intento dichiarato di studiare le opere di Leonardo Da Vinci, Michelangelo e fra Bartolomeo. La sua evoluzione nel corso del soggiorno fiorentino può essere ripercorsa esaminando i numerosi dipinti sul tema della Madonna con il Bambino. Trasferitosi a Roma, per volontà del pontefice Giulio II, riceve una tra le committenze più importanti della sua vita, ovvero l’affrescatura delle Stanze Vaticane, opera alla quale si impegna nel 1511. Parallelamente a questa grande opera si rileva la sua cospicua attività di ritrattista, ma anche di realizzatore di opere a soggetto sacro.
Nel 1514, in seguito alla morte dell’architetto Bramante, Raffaello viene nominato responsabile per la cura dei lavori nella costruzione di San Pietro, lavorando contemporaneamente alla realizzazione delle logge di Palazzo Vaticano. Oltre alle opere universalmente note, va ricordato come Raffaello sia giudicato grande ritrattista, capace di introspezione psicologica, ed eccelso pittore di soggetti sacri. Vale dunque annoverare tra i suoi ultimi capolavori la realizzazione della Trasfigurazione, opera che rimase incompiuta alla sua morte e quindi completata nella parte inferiore dal suo allievo Giulio Romano. Raffaello muore a Roma il 6 aprile 1520, a soli 36 anni, all’apice della sua gloria, ammirato dal mondo intero per come era stato in grado di incarnare sapientemente l’ideale supremo di serenità e bellezza del Rinascimento. Le sue spoglie giacciono presso il Pantheon, a Roma.

Dipinto: 

Trasfigurazione

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