Dimenticata per anni, la grande influenza “spagnola” del 1918 è tornata protagonista in questi tempi. L’emergenza del coronavirus, infatti, ha riportato alla ribalta una delle più tragiche pandemie che ha funestato la storia dell’umanità. Apparsa nella primavera del 1918 e chiamata così perché la prima a parlarne apertamente fu la stampa spagnola, l’unica a non subire la censura di guerra, in due anni infettò nel mondo 500 milioni di persone, causando più di 50 milioni di vittime, un dato impressionante se si pensa che ai tempi la popolazione mondiale fosse di due miliardi di persone. Caratterizzata da un tasso di mortalità maggiore tra giovani e sani, si diffuse rapidamente in tutto il Pianeta, dall’India all’Europa, dall’Australia all’America, forse anche a causa del movimento delle truppe di soldati e delle precarie condizioni igieniche, economiche e sociali determinate dal momento bellico. Probabilmente portata dai soldati americani sbarcati in Europa nel 1917, la “spagnola” fece seguire alla sua prima fase primaverile una successiva, nell’autunno del 1918, che esplose con particolare virulenza proprio in Italia. Nessuna trincea poteva fermarla. In alcune Regioni venivano registrati ogni giorno 3000 nuovi malati e 400 morti. Il Presidente del Consiglio si vide costretto a redigere un decalogo di regole che la popolazione doveva seguire per evitare la diffusione del contagio.
Tra le altre, eseguire gargarismi con acque disinfettanti, non viaggiare, evitare contatti con le persone, non frequentare luoghi pubblici affollati, sottolineando come l’unico mezzo veramente efficace contro l’influenza fosse l’isolamento. Scuole chiuse, negozi a orario ridotto, cinema e teatri sigillati, disinfezione dei luoghi pubblici ma, ieri come oggi, restarono aperte le fabbriche, luoghi dove le condizioni lavorative non erano in grado di garantire la salute degli operai. In quell’epoca, in Italia non esisteva un Ministero della Sanità e, forse anche perché ci si trovava in tempi di guerra, il problema veniva considerato più da un’ottica di ordine pubblico ed economico. Nonostante la diffusione della pandemia fu accelerata dai movimenti determinati dal conflitto mondiale, l’11 novembre del 1918, con la fine della guerra, la “spagnola” continuò a colpire. Nel nostro Paese, continuò a causare morti soprattutto nel Sud dell’Italia, dove erano assenti le strutture sanitarie necessarie per far fronte al numero di malati. Inoltre, a quell’epoca la ricerca scientifica non aveva compreso che la pandemia avesse un’origine virale e non esistevano ancora i farmaci antivirali. È solo all’inizio del XXI Secolo che si sono iniziati a raccogliere gli elementi necessari a identificare la malattia anche se, dopo un secolo, gli scienziati non sanno con certezza dire cosa pose termine all’influenza “spagnola”. Distanziamento sociale, mutazione del virus, fine del conflitto? Intrecciata a quella della Prima Guerra Mondiale, la storia dell’influenza “spagnola” è oggi studiata per provare a trovare connessioni tra quel contagio e quello del coronavirus, sperando che questa volta la scienza ci aiuti a scrivere un finale migliore.