In questo periodo di lenta uscita dall’emergenza ci stiamo ponendo delle domande molto importanti.
La mia domanda è semplice: vogliamo che tutto torni realmente a quello che era prima dell’emergenza? Vogliamo che i nostri musei tornino ad essere quello che erano prima? Quella che si è interrotta non è una storia perfetta ma una storia che aveva molte macchie cieche.
A fronte di tanti discorsi sull’inclusione sappiamo quanto lavoro dovesse ancora essere fatto da tutti noi per poter superare molti pregiudizi intorno all’accessibilità dell’arte e per poter permettere a tutte le persone di poter avere esperienza delle opere non solo in copia ma anche in originale.
Credo che i musei, nel momento in cui con cautela si trovano a riaprire, abbiano l’occasione di ripensarsi e di accelerare il cammino verso l’accessibilità e l’inclusione verso quel principio human centered design del quale tutti riempiamo i nostri discorsi.
È sentire comune che il museo è luogo che produce benessere, che fa bene nel senso che offre l’occasione di riequilibrare mente e corpo. Se questo è vero deve esserlo per tutti.
Il confinamento nelle nostre case in fondo ci ha mostrato qualcosa che abbiamo dimenticato: apprezzare il tempo lento, il silenzio, le nostre relazioni.
Abbiamo imparato a riconoscere la bellezza nelle piccole cose e ad apprezzare e a riconoscere le nostre memorie. Lo sapevamo quanto fosse importante perché lo leggevamo sui libri ma non ne facevamo esperienza diretta.
Sicuramente ci ha anche mostrato anche quanto importante sia la relazione a distanza, quanto importante possa essere per noi la presenza del digitale per le nostre vite e per la vita del museo.
Ma qui non mi interessa parlare delle relazioni vicarie del museo, metaforiche.
Dell’ecosistema museo mi interessa parlare del luogo museo perché il confinamento ci ha fatto sentire quanto fossero importanti per noi questi spazi di relazione, di incontro e di esperienza.
È stata una brutale presa d’atto la chiusura dei musei e più in generale dei luoghi della cultura come i teatri, come pure le scuole. Ci ha portato a desiderare di rifare quelle esperienze che avevamo certamente dimenticato.
Quello che ci sta accadendo ci offre ora un’opportunità straordinaria di ripensare i luoghi improvvisamente liberi dai flussi massicci e incontrollabili di turisti, che ci avevano tolto la possibilità di esercitare quel tempo che serve a chi non ha lo stesso tempo, a chi ha bisogno di più attenzioni e ha bisogno di trovare il suo modo e i suoi strumenti per comprendere le cose. Nei prossimi mesi potremo prenderci il lusso di sperimentare nei musei diversi modi per entrare in contatto con le opere e con gli spazi che le contengono.
Il confinamento è un esercizio di esclusione. Se lo sappiamo leggere e interpretare diventa occasione per ripensare i nostri musei in chiave inclusiva.
Ma il nostro tempo e i nostri musei sono pronti e disponibili ad accettare il cambiamento?