Nel nostro percorso alla ricerca dei teatri scomparsi di Bologna arriviamo in via de’ Giudei e immaginiamoci qui il Teatro San Gabriele in Porta Ravegnana, collocato in un ex oratorio.
Nel 1798, a seguito dell’avvento di Napoleone, viene infatti soppressa la congregazione che si riunisce in quello spazio e tutto il palazzo viene venduto a tal Pellegrino Coralli che, nel 1810, chiede licenza di aprirvi un teatro per proporre un tipo di spettacolo molto amato a Bologna: le marionette!
Nello spazio, che può arrivare a contenere oltre un migliaio di spettatori nei suoi palchi, Coralli ha tutto ciò che gli serve (custode, inservienti, maschere, orchestrali, manifesti) e così, l’anno dopo, nel 1811, comincia a proporre le sue stagioni.
Nel 1812 però avviene il salto di qualità: le marionette restano solo a carnevale, mentre per il resto dell’anno si programmano spettacoli di genere differente.
Ecco allora arrivare i nomi degli artisti più popolari, come le compagnie drammatiche di Romualdo Mascherpa e di Arrisi-Androux o quella acrobatica “di ballerini e saltatori di corda” di Antonio Chiarini. Il San Gabriele è però un teatro popolare e di dubbia fama ma, malgrado la pessima nomea, ha un pubblico affezionato e “col suo bizzarro allettamento comico-musicale - come scrivono le cronache - rigurgita sempre di moltitudine”. Come quando, ad esempio viene programmata la rappresentazione di Bertoldo, Bertoldino, Marcolfa e Cacasenno “adorna di vestiario, strumenti rurali, arnesi campestri, animali quadrupedi”.
Così, il Comune emana precise disposizioni sull’orario di apertura: gli spettacoli devono iniziare al tramonto e terminare prima che inizino quelli dei teatri limitrofi (come il Marsigli, il Contavalli e il Comunale) per non creare problemi di ordine pubblico!
Tra tutti quelli realizzati, lo spettacolo più "bizzarro" nella vita del San Gabriele è stato sicuramente il balletto Prometeo, Ballo spettacoloso, già proposto a Milano e a Vienna (e in quel caso addirittura con musiche di Beethoven!), realizzato con automi nel 1814. Si tratta però del canto dei cigno, perché pochi mesi dopo, nel 1815, arriva l’ordine di chiusura. La Restaurazione, col ritorno del Papa e la partenza delle truppe di occupazione che fino a quel momento avevano rappresentato il pubblico più affezionato del teatro, decreta la morte dell’impresa.
Ed eccone l’epitaffio dal Guidicini: “fu tolto tutto quanto serviva ad uso del teatro, e la chiesa nuda servì a magazzino di canepa”.