Una Bologna alla francese

Tra la delusione per il mancato ritorno all’età dei Comuni e la necessità di fondare uno Stato moderno mosse i primi passi una generazione che portò Bologna dentro la più avanzata civiltà europea
Angelo Varni

Sabato 18 giugno 1805, poco dopo l'ave Maria, un piccolo distaccamento dell'esercito francese entrava in Bologna da porta San Felice: la seconda città dello Stato pontificio era trascinata, così, nella grande vicenda della Rivoluzione francese e del nascente disegno militare del giovanissimo generale in capo, Napoleone Bonaparte.

Ma Bologna con i suoi tradizionali gruppi dirigenti poco capì la carica dirompente di un simile evento, credendo che il messaggio di libertà subito portato da Napoleone si riferisse ad una nuova stagione di autonomia cittadina rispetto al potere della Roma pontificia, secondo il modello dei comuni medievali; e non fosse, invece, che uno degli elementi qualificanti delle novità "alla francese", costruite sui concetti-chiave di costituzione, uguaglianza, rappresentanza, sovranità dal basso e, appunto, libertà dei sudditi trasformati in cittadini rispettosi di leggi che garantissero gli stessi diritti e gli stessi doveri per ognuno e per tutti.

Napoleone scaccia gli ecclesiastici a Bologna - Museo Civico del Risorgimento di BolognaLasciato dal generale in capo alla guida della città nei primi mesi, l'antico Senato bolognese cercò di resistere all'ondata di novità, che cominciava ad incidere nella vita quotidiana nell'inevitabile imitazione del regime ispirato dal modello francese: dalla fondamentale eliminazione dei titoli nobiliari con il relativo obbligo di chiamarsi reciprocamente cittadino, all'abolizione dei feudi; dal dovere di portare la coccarda tricolore, alla scansione delle ore della giornata secondo le abitudini francesi; fino al simbolo più solenne dell'albero della libertà, eretto solo il 18 ottobre e in un clima surriscaldato che degenerò in violenze di massa a sottolineare l'insoddisfazione della città per un antico che non risorgeva e per un nuovo che non si realizzava. Fu ovviamente Napoleone a risolvere questo "nodo", imponendo un percorso di progressivo inserimento della città in un ordinamento statale più vasto che, vide la nascita, prima, della Cispadana e poi della Cisalpina, con Bologna che vedeva spegnersi i suoi sogni di rinnovato autogoverno. La delusione si alimentava, pure, di un diffuso malessere economico, mentre persino le innovazioni più banali, come il pettinarsi degli uomini con la frangetta alla Brutus, suscitavano reazioni durissime, con la sciopero dei barbieri colpiti pesantemente nei loro guadagni per la sparizione della moda delle elaborate parrucche. Sembrava segno di progresso persino l'abbattimento dei fittoni che circondavano i palazzi nobiliari, rendendoli così simbolicamente più accessibili. Infatti, in quel forzato trapasso di abitudini, di leggi, di costumi, tutto diveniva allegoria di concetti emblematici e accenni a valori chiamati in causa pure per gli eventi più minuti del vivere quotidiano. Da qui la prioritaria necessità di educare le persone a farsi cittadini consapevoli, affidandosi soprattutto al teatro, al diffondersi di catechismi popolari, al ripetersi di feste patriottiche fitte di scenografie "istruttive".
Stendardo della Guardia d’onore o erto a Napoleone, 1805 - Museo Civico del Risorgimento di Bologna

Come, ad esempio, il pranzo patriottico in piazza Maggiore offerto da 524 cittadini benestanti ad altrettanti poveri, condotti per mano dai primi con avvio del corteo dall'Archiginnasio. Il servizio alle tavole imbandite sotto grandi tende adorne di festoni tricolorati era assicurato da 200 ufficiali della Guardia nazionale, che portarono in successione salumi, maccheroni, manzo lesso, umido di vitello, arrosto di agnello, 250 crostate, formaggio e frutta. Una tradizione, quella della qualità della tavola, che nessun giacobino bolognese si sentiva di trasformare. Un mese dopo, identico pranzo, con ancor maggior sfoggio di apparati scenici, fu organizzato dalle cittadine per le "compagne indigenti". Importante era, poi, organizzare un Circolo costituzionale che potesse, attraverso conferenze pedagogiche, spiegare ai cittadini i concetti basilari delle novità "alla francese", sì che potessero, fra l'altro, comprendere il senso della libertà politica e civile, dell'uguaglianza, del diritto di cittadinanza, della costituzione del diritto-dovere del servizio militare. Tutti concetti lontanissimi dall'esperienza storica dei Bolognesi e solo richiamabili attraverso il ricorso alle memorie di una cultura letteraria fondata sui miti della classicità greco-romana, in un tentativo di agganciare il presente delle trasformazioni politico-sociali in corso con l'unica piattaforma culturale - dopo il fallimento del ritorno all'età dei comuni - percepibile da vasti strati dell'opinione pubblica. Formar cittadini per una società nuova che premeva sugli immobili rapporti civili e sulle stesse coscienze degli uomini presenti nella nostra città: questo l'impegno assunto sulle proprie esili spalle dalla locale classe dirigente. E per questo occorreva a rontare tutte le tematiche connesse alla fondazione di uno Stato moderno. Prendeva così a muovere i primi passi una generazione che di tale lezione non si sarebbe mai più dimenticata e l'avrebbe fatta germogliare nei di cili e contraddittori anni successivi per portare anche Bologna dentro la più avanzata civiltà europea delle conquiste di libertà, di giustizia, di partecipazione politica e sociale.

Precedente | Successivo

Sommario

Oltre l'arte

Attività

Salute

Tecnologia

Musica

Cultura