Quando si pensa alla pubblica amministrazione, almeno in Italia, un’associazione di idee che balena immediatamente è quella dello spreco di risorse, per ciò intendendosi sia la mala gestio del dirigente o dei funzionari, che l’incapacità, tecnica o normativa, di avviare e mantenere un corretto sfruttamento di quanto si ha a disposizione (poco o molto che sia) per tradurlo in risultati strutturali e duraturi.
In molti, troppi casi i gestori della cosa pubblica si celano, a torto o a ragione, dietro alla cortina delle rigidità, prima ancora di mentalità che organizzativa, che ammanterebbe gli enti pubblici. Un coro di “vorrei ma non posso” si leva in ogni angolo del Paese, divenendo palese manifesto di ammissione che nulla si può contro lo status quo. Ma naturalmente così non può essere e così non è. Al di là dell’esperienza generale, o dei meri luoghi comuni, le dimostrazioni di buone prassi e gestioni non mancano neppure nella nostra amministrazione pubblica, ma sono sempre da accreditare all’iniziativa dei dirigenti che davvero vogliono lasciare il segno. Uno di questi è certamente Mauro Felicori, bolognese, laureato in filosofia, studioso che si è dedicato anima e corpo, se così si può dire, alla sua città, nonché alla tutela del patrimonio culturale del nostro Paese. Assurto all’onore delle cronache nazionali per la sua attenta ed impavida gestione della Reggia di Caserta, che sotto la sua egida ha conosciuto risultati economici e culturali di grande spessore (cospicuo attivo di bilancio nonché raddoppio dei visitatori), in realtà il Dott. Felicori era già ben noto a Bologna fin dagli anni ’80, avendo coperto diversi ruoli all’interno della amministrazione comunale del capoluogo di regione, in ruoli chiave della politica culturale e giovanile. A lui si deve la candidatura della città felsinea a capitale della cultura europea del 2000, così come la partecipazione attiva nel Giubileo del medesimo anno. Poliedrico ed incapace di rimanere nei confini dello status quo, Mauro Felicori è certamente un amministratore che non si sottrae alle difficoltà del quotidiano, cercando sempre di superarle.
A lui abbiamo chiesto se esista una “ricetta” che consenta di mantenere l’azione della pubblica amministrazione nell’alveo della pratica virtuosa o se sia ormai ineluttabile una perdita di efficacia e di risultati. La risposta è stata, ancora una volta, una crasi tra pragmatismo e visione ampia dell’attualità. Secondo il dott. Felicori, non è possibile esimersi dal considerare che le scarse risorse attuali siano il frutto di sprechi protrattisi per decenni senza alcun vero controllo e che, quindi, risulti inevitabile gestire al meglio quanto è ora a disposizione degli amministratori della cosa pubblica. Non ci si può limitare a lamentarsi di ciò che non si ha più, ma occorre reinvestire in ciò che ancora è a disposizione, sia in termini di compiuto e corretto sfruttamento dei finanziamenti, sia, forse ancor più, nell’ambito dell’investimento nelle capacità manageriali. La formazione degli amministratori, pertanto, non può più essere trascurata, al fine appunto di garantire agli stessi quegli strumenti, anche mutuati dall’esperienza del settore privato, che consentano di utilizzare al meglio le risorse disponibili, per scarse che possano essere.
Espressione diretta di questa necessaria innovazione è la comprensione del valore intrinseco che la cultura ha e deve avere nell’essenza stessa di una nazione. Si tratta, secondo Mauro Felicori, di un valore su cui investire, non una spesa da minimizzare. Non solo perché l’Italia è uno dei Paesi più ricchi di tesori artistici (circostanza che talvolta viene fatta risuonare come uno slogan autosufficiente), ma anche e soprattutto perché il dividendo che la cultura elargisce non può soggiacere a meri criteri di economia, rispondendo ad esigenze collettive ed individuali che vedono nella Costituzione un tutore attento.La stessa Costituzione, tuttavia, non “stampa moneta”, come efficacemente ricordato dal nostro intervistato. Pertanto, i principi devono anche adattarsi alla realtà contingente, spingendo gli enti culturali ed assistenziali privati a non limitarsi ad un ruolo di percettori di finanziamenti pubblici, o a meri cantori di peana per il passato che non torna più; ma, anzi, a divenire sempre più protagonisti del proprio destino. Infatti, neppure tali soggetti possono sfuggire a criteri di gestione efficace ed autosufficiente, dovendo limitarsi a ricorrere all’ausilio del pubblico laddove sia davvero indispensabile, facendo compiutamente i conti con la realtà. Quindi, il management dovrà essere formato correttamente, consentendo in tal modo la proliferazione di realtà indipendenti che consentano di ampliare la platea di più voci distinte ed indipendenti, incrementando l’afflato democratico voluto dalla Carta Costituzionale, dando vita ad un patto di collaborazione tra res publica e privati.
Mauro Felicori ha dimostrato, ex multis, che coniugando aspirazioni personali con principi di buona amministrazione si possono ottenere risultati lusinghieri e gratificanti per il bene comune. Occorre la giusta preparazione nonché uno spirito pronto a confrontarsi con le difficoltà dettate dalla logistica e finanche dalle persone che non riescono a restare al passo con i tempi, convinti che alcuni dei privilegi del passato non fossero, in realtà, sprechi veri e propri. In fondo, come evidenzia il dott. Felicori, la prima fonte di energia è proprio il risparmio energetico: evitando inutili dispersioni si avranno maggiori risorse da destinare a chi, davvero, ne ha più bisogno.