Il limite oggettivo di un film come Don’t look up, “Non guardare in alto”, è che, per indurre nel pubblico il forte impatto dato dagli argomenti in esso trattati, dovrebbe rinnegare se stesso ed essere un’altra cosa. Non un film, ma – impossibile a realizzarsi – al tempo stesso un documentario basato su evidenze scientifiche e un reality. Così non è e il film è stato da più parti lodato soprattutto come una commedia noir, una storia che si occupa dei temi ambientalistici con graffiante ironia, un prodotto cinematografico che non annoia mai, una pellicola che regge perfettamente i suoi 138 minuti di durata senza che chi osserva distolga la sua attenzione.
A parte una limitata fascia (il classico pubblico di “nicchia”), chi s’immerge in questa storia avrà sempre almeno due classiche vie di fuga. La prima è che si tratta di fiction, l’altra è che, anche nella remota ipotesi che la situazione descritta nel film dovesse avvicinarsi alla realtà, la scienza sarà sempre in grado di cavarci dai guai. Inoltre, la trama, pur prendendo le mosse da temi ambientalistici, sposta apertamente le minacce che incombono sulla terra dal comportamento umano ad un nemico che si sta dirigendo dallo spazio verso il nostro mondo. Dunque siamo di fronte a un prodotto cinematografico a tratti di buon livello, fatto apposta per creare alibi.
A dire la verità, il regista e sceneggiatore Adam Mckay si adopra a scardinare almeno le prime due scappatoie. Il personaggio della Presidentessa Janie Orlean – impeccabilmente impersonato da Meryl Streep – sembra cucita su misura addosso a Donald Trump. Anche se nulla di assolutorio o di salvifico viene assegnato ad altri Presidenti che si sono avvicendati alla Casa Bianca almeno negli ultimi cinquanta anni, rimane, però, il dato che sotto quella figura presidenziale si attuerà la fine del genere umano. L’altro argine viene pericolosamente eroso da devastanti decisioni che compromettono ogni possibilità di salvezza per l’umanità, con la balbettante quiescenza degli scienziati e in nome del progresso tecnologico – leggi modalità per arricchire a dismisura i già straricchi con il falso pretesto di creare nuovi posti di lavoro. Se, nonostante tutto ciò, lo spettatore troverà il modo di “evadere”, sarà in grado, invece, di riflettere su noi stessi, sui nostri politici, sull’onnipotenza della tecnica a tutto vantaggio di un’economia fatta per pochissimi?
Visto sotto questo profilo, “Non guardare in alto” non è un film catastrofista. Almeno non dal punto di vista della sua conclusione, degli esiti da cui lo spettatore potrà trarre elementi per correre criticamente ai ripari.
In breve, Kate Dibiasky, laureanda in astronomia presso la Michigan State University (Jennifer Lawrence), comunica al professor Randall Mindy (Leonardo di Caprio) di avere scoperto l’esistenza di una cometa. In base a ripetuti calcoli i due realizzano che tale corpo celeste, dalle dimensioni fra i 5 e i 10 chilometri, si sta dirigendo verso la terra e la raggiungerà di lì a sei mesi e mezzo, con effetti catastrofici per l’intera umanità.
Le reazioni dei politici americani, del mondo dello spettacolo, della popolazione tutta sono subito quelle più ovvie: l’immediato rifiuto di pensare l’impensabile, il sottodimensionamento, la rimozione, il tentativo di negare credibilità ai due scienziati. Tutto il mondo dell’establishment è talmente immerso in se stesso, nelle sue convinzioni e nella sua modalità di vita da non essere in grado di distogliere il proprio sguardo da se stesso, da quello che è vissuto non come una coercizione, e nemmeno come “il migliore dei mondi possibili”, ma come l’unico mondo possibile.
Come è stato notato da altri, nel film non si parla mai di democratici o repubblicani e non è mai descritta una lotta politica fra le due parti. Tutto l’apparato vive di meschine corruzioni e di tentativi di sviare l’attenzione pubblica per trarre vantaggi elettorali, secondo una prassi consolidata e necessaria per mantenere oliato il meccanismo dello status quo. Gli scienziati stessi, che non hanno potuto fare altro che accendere quella miccia terrificante, non sono in grado di reggere tale condizione. Il professore Randall Mindy si fa irretire in una relazione con una nota conduttrice televisiva (perfetta e quasi irriconoscibile Cate Blanchett nel suo ruolo spersonalizzato) e, per allentare la tensione, si rifugia in momenti in cui lo sorprendiamo a ridere, simile in ciò al condannato a morte impersonato da Sean Penn in Dead Man Walking, diretto nel 1995 da Tim Robbins.
L’elevatissimo ritmo del film sa rendere giustizia al tenore convulso del nostro vivere e l’altrettanto sapiente montaggio mette a dura prova la nostra capacità di evadere dalla condizione esistenziale di uomini del XXI secolo. Abili pure la regia e la sceneggiatura. Il film, dopo un breve periodo di presenza nelle sale cinematografiche, è ora visibile attraverso la piattaforma di Netflix ed è vietato ai minori di 14 anni.