8 1/2 e dintorni

A trent’anni dalla morte di Federicio Fellini numerose iniziative verranno organizzate per celebrare una figura che, in realtà, non è mai uscita dai radar della settima arte
Enzo Vignoli

Il prossimo 31 ottobre saranno passati esattamente trent’anni dalla morte di Federico Fellini. Assisteremo con ogni probabilità a numerose iniziative che verranno organizzate nel corso dell’anno per celebrare una figura che, in realtà, non ha alcun bisogno di commemorazioni in quanto mai uscita dai radar della settima arte e non solo. Semmai, si tratterà di ringraziamenti per i film che ci ha dato e che lo rendono una delle figure centrali nella storia del cinema e della cultura del Novecento. Importanti, però, sarebbero le riproposizioni dei suoi film, attraverso rassegne che consentano anche alle generazioni più giovani di conoscere e amare la sua personalità. Fra tali manifestazioni, mi limito a segnalare FELLINI, Cinema è sogno, in corso alla Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo (Pr) dal 18 marzo al 2 luglio. Vi si possono ammirare disegni, fotografie, locandine e costumi indossati dagli attori protagonisti delle fantasmagorie del regista riminese. Andando direttamente all’interno del suo cinema, vorrei trattare brevemente i film da cui mi sono fatto maggiormente coinvolgere, a partire da "8 1/2", l’ottavo film e mezzo di Federico Fellini (il mezzo risale ai suoi esordi in "Luci del varietà", diretto nel 1951 insieme con Alberto Lattuada), appare già come il suo testamento definitivo. "8 1/2" non è solo il film di un regista in crisi che ha paura di deludere e di essere deluso, di non essere all’altezza di se stesso dopo il clamoroso successo di "La dolce vita". È un capriccio, come quelli che componevano Frescobaldi o Paganini, è la confessione della propria vita fatta non a un prete o a Dio, ma da Fellini a Fellini, che prova a non nascondersi, a non mentire. È una grande sarabanda, una carovana senza fine, è la storia dell’uomo che si nasconde per vivere, che può vivere solo nascondendosi e che ha il diritto di farlo, perché, poi, quello che vediamo è la storia di quel nascondersi; l’atto del nascondersi viene oggettivato in un film in cui il regista si mette a nudo.

Locandina del film "8 1/2"

Solo col dire io sono così interrompe la sua fuga. Federico Fellini, Guido Anselmi, Marcello Mastroianni, io, tutti sultani, puffaroli narcisisti, egocentrici, visionari disperati, inutili e stupidi, a meno che non siano riscattati dal fatto creativo, che conferisce loro una dignità identitaria. Fellini, che, a quanto dicono coloro che gli furono vicini, nella vita mentiva continuamente (ma non è una condizione umana necessaria e largamente condivisa, questa?), smette di nascondersi nei suoi film e, in quanto regista, non sa che farsene di quelle categorie di cui sopra. Fellini è sincero quando mente, perché questa è la natura che gli appartiene e che non si prova affatto a nascondere, di cui non si vergogna e che è la sola che vuol far passare. Mentirebbe se affermasse il contrario, se volesse imporre un’immagine di sé lusinghiera, politicamente corretta, impegnata, moralistica e bacchettona. Quando in Roma uno studente si augura che il regista non voglia proporre la solita immagine di una città caciarona e che invece si soffermi sull’analisi dei problemi che avvolgono la capitale, Fellini ribatte, senza polemica e senza alzare la voce, che ognuno deve fare quello che gli è congeniale.

Locandina del film "I Vitelloni"

Nella contrapposizione passato recente/presente - quando passa dalle stornellate, dal sudore, dall’odore grasso delle trattorie all’aperto o dall’altra carne in vendita nei maleodoranti casini dell’epoca fascista al caos che livella la vita in un rumorio continuo e ottundente di cui si finisce per non accorgersi più nel traffico stradale – oppure in quella antichità modernità - quando nei sotterranei della città ci si apre la strada per la metropolitana e il contatto con l’aria provoca la scomparsa degli affreschi appena venuti alla luce – Fellini non fa opera di denuncia, ma implicitamente dichiara la sua nostalgia per un passato intravisto e già morto, che non potrà mai convivere con il presente. Considerando insieme i suoi tre film che più amo - "I vitelloni", "La dolce vita", "8 1/2" - mi sembra di scorgere un valore unitario, al di là di quanto detto sinora, in un coerente flusso cronologico esistenziale, per cui I vitelloni riflette l’arco tardo adolescenziale della vita del regista. Fellini si rivolge al mondo senza sapere esattamente che cosa chiedergli e che cosa questo possa offrirgli. "La dolce vita" è il passaggio successivo, in cui l’uomo Fellini è avvolto dalla girandola dell’esistenza, vuole vivere, ha bisogno di vivere e respinge come può gli assalti di chi (la fidanzata soprattutto) quel bisogno di libertà vorrebbe negare.

Locandina del film "La dolce vita"

Per nostra fortuna, Fellini non poteva mettere la testa a posto e "8 1/2" è il testamento di chi ha vissuto, ma reclama ancora e sempre la vita; è una confessione, ma anche una rivendicazione di uno status, l’affermazione di un diritto. Fellini affronta il giudizio dell’intellettuale su cui prende il sopravvento e da cui prende le distanze, facendo un monumento al disimpegno, con una ferrea antilogica che ubbidisce solo al flusso dei sogni, dei ricordi, del diritto/dovere di rivendicare la propria vocazione alla sultanità maschilista, che non suona mai come deliberata volontà di prevaricazione sulla donna, ma come bisogno di essere libero dai freni inibitori e come onestà di riconoscerlo. Dovremmo serbare eterna gratitudine a Giulietta Masina. Quando in "8 1/2" Guido chiede alla moglie di percorrere quella strada insieme con lui, perché è la sola che lui conosca; quando Marcello in "La dolce vita" grida alla sua fidanzata che la vita che lei vorrebbe che lui conducesse è quella di un lombrico, senza sangue e senza anima, è Federico Fellini che parla a Giulietta Masina. La moglie potrebbe essere la causa e la destinazione prima dei suoi film.

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