Ho sempre trovato che lo sport, e più precisamente le arti marziali, diano una forte sicurezza e fiducia in sé stessi. Trovare il proprio “perché” sportivo è una soddisfazione che poche cose possono dare. Trovare la propria pratica sportiva non rappresenta solo uno sfogo, un aiuto a vivere la quotidianità in un tentato stato di quiete, ma è soprattutto una ricerca continua di automiglioramento, tecnico e personale.
Meritare una nuova cintura in un'arte marziale, riuscire a giocare un'intera partita dello sport che si pratica, sentirsi parte di una squadra o essere considerati fondamentali o insostituibili sono tutte ancore di forza che non danno solo coraggio e confidenza per la vita di tutti i giorni, ma ci aiutano a esplorare, vivere e affrontare le più diverse situazioni in cui potremmo trovarci. Con tanti sport, per me la giocoleria non è stata la prima scelta e, anzi, non era proprio in lista. Mi sono avvicinato ai Nunchaku all'età di 17 anni e da lì, dopo qualche tira e molla, in un paio d'anni ho iniziato a praticarlo assiduamente. Piano piano, ho adorato la forma tecnica che un'arte marziale può insegnarti in relazione a quella che è considerata un'arma, ma che per me rappresenta qualcos'altro.
Il Nunchaku e altre "armi" hanno, purtroppo, questa accezione perché è l'unico uso che se n'è fatto per anni, mentre il mio scopo è quello di unire e portare l'arte marziale nella giocoleria e viceversa.
Ho provato a farlo in varie occasioni e nel 2018/2019 ho partecipato al mio primo torneo di Nunchaku, una competizione che vedeva partecipanti da varie nazioni del mondo e che mi ha permesso di confrontarmi con persone che per me erano leggende in questo campo. Alcuni dei migliori praticanti avevano il loro nome vicino al mio e questo, oltre che fonte di orgoglio, era per me anche un grande stimolo a dare il meglio.
Quell'anno i partecipanti erano poco oltre i 200 e, dopo un anno di impegno, sono arrivato in finale, al 7° posto a pari merito con il 6°. È difficile dimenticarlo, anche perché quel risultato non mi ha deluso. Come dicevo, alcuni dei nomi più importanti erano vicino al mio e questo mi ha obbligato a continuare e pretendere di più. Infatti, io credo che solo chi si ferma perde realmente. L'anno dopo ecco una nuova occasione. Questa volta poco meno di 400 partecipanti, persone che provenivano dalle esperienze più disparate: chi veniva dalla giocoleria, chi dall'arte marziale e chi, semplicemente, partecipava perché era attratto dal fascino di quest'arte.
Arrivare in finale non è stata la cosa più difficile, ma è stato molto impegnativo unire il percorso di formazione professionale che stavo seguendo all'Istituto Cavazza agli allenamenti. Ho praticato trovando il mio spazio tra una lezione e l’altra, negli orari più stretti e, spesso, nei momenti più freddi di quel lungo autunno e inverno. Ore su ore in cerca della sequenza che mi dava soddisfazione e, alla fine, tentativo dopo tentativo, ho raggiunto il mio obiettivo. Ho vinto il torneo con tanta fatica e passione, un risultato che ancora oggi mi lascia quella forte soddisfazione di aver fatto qualcosa che mi ha reso fiero di me. Non ho parlato mai a nessuno della mia disabilità prima di vincere, non volevo che qualcuno potesse avere favoritismi o che la mia vittoria potesse essere sminuita da qualche avversario. E così, sono rimasto in silenzio fino alla fine.
Condivido questa esperienza per incoraggiare chi ha una passione a seguirla, coltivarla e farla crescere, a prescindere da quali difficoltà fisiche possa avere. Alcune cose sembrano impossibili se non vengono "viste" da angolazioni diverse e, quando finalmente ci si riesce, il proprio percorso sembra più chiaro e i passi più sicuri.