“Ogni realtà è in sé totale. Tutto nell’universo è come l’universo”.
Michel Granet nel suo volume sul pensiero cinese scrive questa frase molto semplice che è sempre stata guida nel mio fare e nel mio pensare.
Significa che in un piccolo giardino c’è il mondo, così come in una pozza d’acqua possiamo trovare l’intera complessità dell’universo: ogni sua parte, ciascuna sua molecola di h2O è soggetta alle stesse forze universali della gravità ed elettromagnetismo che fanno funzionare l’intero dispositivo del cosmo.
Così anche una bambola, tra tutte la più apparentemente superficiale, può offrire l’occasione per parlare e sperimentare la progettazione dell’autonomia. È questo il pensiero che ha guidato l’atelier del Museo Tolomeo durante la “manomissione" della DREAMHOUSE di Barbie, ed è stato fatto per raccontare oltre duecento tra dispositivi, ausili, strategie, soluzioni possibili per rendere una casa il luogo dell’autonomia per la disabilità visiva.
L’occasione è stato un evento organizzato al Museo tattile statale Omero di Ancona, all’interno della sezione Collezione Design.
Il pensiero di realizzare questa opportunità parte da un fatto semplice, sotto gli occhi di tutti, anzi nelle mani di tutti: la chiave dello straordinario successo di Barbie è per natura legata alla tattilità e alla multisensorialità del progetto della Mattel, si lega al suo essere una rappresentazione tridimensionale globale e multisensoriale. È quindi “una realtà in sé totale”: contiene la stessa Barbie, i suoi abiti realizzati con diversi materiali tessuti, i suoi accessori e abita i propri spazi. Ruth Handler, co-fondatrice della Mattel con Harold Matson e con il marito Elliot Handler ebbe una grande intuizione: aggiungere la terza dimensione e la multisensorialità alle bambole di carta bidimensionali da ritagliare e vestire con le quali giocava la propria figlia Barbara.
L’obiettivo era rendere più completa l’esperienza di gioco rendendola tridimensionale e tattile, offrire l’opportunità per fare esperienza in piccolo della costruzione dell’identità attraverso una bambola. Non è semplicemente una bambola che ha gusto nel vestire e carattere ma è progetto di Design che mira a cambiare la società. Come tutti gli oggetti del migliore design risponde a un pensiero pedagogico: non si limita a suggerire elementi di gioco per il tempo libero ma mostra come può cambiare il nostro modo di pensarci - rappresentarci - nella società in continua evoluzione.
L’universo Barbie ha le sue grammatiche e le proprie pratiche. Tra queste c’è la possibilità di creare un modello “One Of A Kind” (OOAK) e cioè la costruzione di una Barbie unica nel suo genere da parte dei “consumatori” o meglio dire “consumatrici”: il metter mano, manomettere la Barbie Stereotipa per creare una copia unica che testimonia il nostro pensiero sulla Barbie. È l’espediente narrativo, il plot che porta allo sviluppo dell’intero film e agli argomenti discussi intorno all’opera di Greta Gerwig, regista, sceneggiatrice e attrice statunitense: l’uso delle cose modifica le cose medesime. Non siamo più semplicemente educati dalle cose ma possiamo educare noi, attraverso l’uso e la manomissione delle pratiche di gioco, le cose stesse. Abbiamo così pensato di realizzare una Dreamhouse OOAK - unica nel suo genere - pensando a una Barbie che non vede, con disabilità visiva. Costretta a dotare la propria casa di elementi di facilitazione per l’orientamento e la mobilità, l’autonomia domestica e per l’autonomia in genere Barbie riscrive le pratiche di gioco, le grammatiche per abitare la Dreamhouse. Il risultato è un campionario di elementi che sono sintesi di anni di ricerca e studio: la casa di Barbie è stata quindi integrata da elementi che normalmente progettiamo a scala reale per rendere accessibili le stanze. Lo abbiamo fatto senza negare lo stile cromatico e materico dell’universo Barbie: il bastone bianco che termina con il puntale color Pink o il braille scritto con puntini glitter. La DREAMHOUSE OOAK, “unica nel suo genere”, diventa così occasione per parlare dell’importanza dell’autonomia e delle modalità per raggiungerla e mostra che fa parte della costruzione della propria identità, dell’autostima ed è quindi motore dell’autodeterminazione. Farlo con l’universo Barbie non ha significato cavalcare semplicemente il successo del fenomeno cinematografico uscito a tarda primavera ma farne un manifesto di condivisione di immaginari. Un pensiero in chiusura: non c’è autonomia e autodeterminazione se non c’è la dimensione immaginativa attivata e condivisa, posta in relazione con gli altri, dove si misurano e verificano le proprie competenze.
Per questo motivo è importante fare uso dei giocattoli mainstream lo spazio di relazione per sviluppare immaginazione e quindi rappresentazioni del mondo che ci agevolano a comprendere le strade per l’autonomia e quindi l’autodeterminazione.