Da circa 20 anni, durante le festività natalizie, il signor Nourredine Amirouche, detto Nino, con l’Associazione “Un bastone per l’Africa”, si reca in Algeria, suo Paese natale, per distribuire materiale essenziale per la formazione e l’autonomia dei disabili visivi (tavolette Braille, cubaritmi, bastoni bianchi, ecc…). L’Istituto Cavazza sostiene la sua attività offrendo materiali, servizi e consulenze. Alcuni suoi dipendenti e collaboratori, dopo essere diventati volontari di “Un bastone per l’Africa”, hanno scelto proprio le ferie natalizie per accompagnare e aiutare Nino in Algeria e quest’anno anche io ho fatto questa esperienza. Partiti da Roma con i nostri 8 scatoloni pieni di materiale tiflotecnico, siamo arrivati ad Algeri dove i controlli sono stati veramente molto scrupolosi. Avevo letto che l’Algeria è una terra ricca di storia, cultura e paesaggi mozzafiato che mescola l’antichità dei siti archeologici con la bellezza incontaminata del deserto del Sahara, ma quello che ho visto e le sensazioni provate sono state medicine ricostituenti per la mia anima. La mia avventura è iniziata nella capitale, Algeri, di una bellezza candida. Qui, la Casbah, dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO, ti riporta indietro nel tempo. Ci sono stato di venerdì prima della preghiera di mezzogiorno, e per le stradine e le case tutte bianche si respira e si vive un raccoglimento e una serenità d’animo veramente inebrianti. Appena fuori la Casbah c’è la Grande Moschea di Algeri costruita intorno al 1400 e ampliata alla fine del 1700. Era appena finita la preghiera del venerdì e, accompagnato da Nino che parla l’arabo, ho chiesto di visitarla. La cosa che colpisce di più entrando in questo tempio islamico è l’atmosfera mistica e avvolgente con la sua gigantesca sala, completamente vuota, il pavimento ricoperto da tappeti e alle pareti gigantesche iscrizioni di frasi del Corano insieme alle antiche decorazioni bizantine. Siamo poi partiti per Djanet, città oasi dell’Algeria a pochi chilometri dal confine con la Libia e il Niger, una delle porte di accesso al Sahara, per la nostra attività di incontro con le poche associazioni sul territorio e la distribuzione dei materiali. Invitati dal governatore della provincia di Djanet, il signor Ibrahim Mermoura e dalla dottoressa Samia Bekhoucha, siamo stati ospiti del “Centro per disabili” dove abbiamo incontrato le operatrici e gli operatori che insieme alla dottoressa Samia si occupano di bambini, adulti e anziani con difficoltà sensoriali e motorie, oltre che di persone con problemi di autismo. Abbiamo incontrato persone con minorazione visiva scoprendo che le tre patologie oculari più frequenti sono glaucoma, complicazioni da diabete e cataratte, legate alla combinazione di tre fattori: la forte luminosità, le tempeste di sabbia, la scarsità d’acqua. Quando le persone si sfregano gli occhi, tendono inoltre a sviluppare infezioni oculari. Per queste ragioni abbiamo donato molti occhiali sia da sole che correttivi e abbiamo distribuito bastoni sia “bianchi” che di sostegno per anziani.
La cosa che colpisce è la poca mobilità dei ciechi e degli ipovedenti. È la famiglia che si prende cura giornalmente della persona con minorazione visiva, e per questo le persone anziane sono “costrette” su sedie a rotelle non per problemi fisici ma perché, in questo modo, risultano “più gestibili”.
I bambini ipovedenti frequentano solo saltuariamente il “Centro per disabili” dove riescono a fare attività manuali e a leggere o scrivere con qualche piccola lente ingrandente. Il Braille non è conosciuto soprattutto per mancanza di istruttori e i bambini ciechi hanno scarsa mobilità e giocano o fanno attività manuali quasi sempre da seduti. Al Centro di Djanet abbiamo lasciato molti giochi adatti a tutti i bambini sperando di aver regalato un momento di spensieratezza, ma quello che manca soprattutto è formazione e materiale medico primario: il collirio è più importante di qualsiasi strumentazione tiflotecnica. Gli operatori e la dottoressa Samia Bekhoucha fanno un lavoro enorme ed encomiabile anche utilizzando fondi personali, ma sono una “goccia d’acqua nel deserto” però il Centro è un’avanguardia di civiltà e di rispetto per le persone con difficoltà. Finita l’attività, sono partito in jeep per scoprire il fascino della “falesia del Tadrart Rosso” e mi sono inoltrato per 4 giorni in un mondo fatato, dormendo in tenda e mangiando cibo cucinato sulla brace. Il Sahara mi ha segnato l’anima: ho portato con me i colori, il silenzio e la luminosità delle stelle. Abbandonato il deserto la destinazione è stata l’ospedale di Tiessemsilt, dove i medici oculisti hanno effettuato circa 200 visite gratuite alla popolazione e noi abbiamo regalato occhiali e oggetti tiflotecnici.
Sono venuti a trovarci molti ciechi e anche qui abbiamo rilevato le stesse problematiche di Djanet. Abbiamo deciso di aiutare, in particolare, due bambini di 5 e 9 anni che hanno bisogno di trapianto di cornea. In Italia tale operazione è poco invasiva e si ha un veloce recupero dopo l’intervento con costi relativamente bassi.
Le famiglie di quei bambini non hanno possibilità economiche e hanno accolto il nostro aiuto con tanta riconoscenza e dignità. Io invece mi sono sentito impotente e amareggiato per tutte quelle persone che avevano riposto tante speranze in noi e che non abbiamo potuto aiutare in modo adeguato.
Il ritorno nella realtà italiana, dopo esser stato per circa 12 giorni immerso in un mondo inaspettato, è stato come risvegliarsi da un sogno dove si sono mescolati tantissimi sentimenti e che mi ha lasciato una bella visione onirica.