Da quando è stato rieletto alla guida della Regione Emilia- Romagna, è accaduto di tutto, dal Covid alla guerra nel cuore dell’Europa. Ciò nonostante, la reazione delle Istituzioni del nostro territorio è sempre stata pronta. Da dove nasce questa capacità di affrontare anche crisi straordinarie e di reagire in poco tempo, fino a dettare standard adottati anche successivamente a livello nazionale?
Da due anni stiamo vivendo in uno stato permanente di emergenza. Prima c’è stato il Covid: un evento di una portata tale di cui ancora non ci rendiamo conto. Poi la guerra in Ucraina: sinceramente, mai avrei immaginato di assistere all’invasione di uno Stato sovrano nel mezzo dell’Europa, azione ingiustificabile da parte della Russia, con un nuovo carico di dolore e il destino stravolto di milioni di cittadini ucraini. Insieme alla crisi energetica, con il caro-bollette per famiglie, imprese e mondo del terzo settore. Di fronte a crisi di questa portata, serve mantenere il senso della realtà e affrontare i problemi col massimo senso di responsabilità. Chi guida un’istituzione non può permettersi di non farlo. In Emilia-Romagna questo sforzo è facilitato dal fatto che siamo abituati a lavorare bene insieme, soprattutto nei momenti difficili. Ce lo ha dimostrato l’esperienza del terremoto del 2012. Oltre 14 miliardi di euro di danni, interi comparti economici a rischio, patrimoni abitativi ed artistici a rischio scomparsa per sempre: dieci anni dopo la ricostruzione è completata al 95% e le aree colpite hanno dato risultati economici migliori di prima del sisma. Merito di tutti e della capacità, tutta emiliano-romagnola, di mettere da parte gli interessi singoli e far prevalere quelli delle comunità, con uno sguardo solidale e inclusivo. È la grande forza di questa terra, un grande aiuto e un orgoglio per chi la guida pro tempore come il sottoscritto.
L’invasione dell’Ucraina ha comportato un’epocale crisi umanitaria. L’Emilia-Romagna si è immediatamente distinta, tra le regioni italiane, per aver accolto nell’immediatezza il maggior numero di rifugiati. Come deve e può essere gestita la fase successiva dell’accoglienza?
L’Emilia-Romagna ha una grande tradizione di accoglienza e solidarietà. Sappiamo cosa significa avere bisogno. Molti dei nostri nonni furono costretti a emigrare nel dopoguerra, perché questa regione era tra le più povere d’Europa e, in tempi recenti, dopo il terremoto abbiamo ricevuto aiuti e sostegni che non dimentichiamo. In questa regione sono arrivati circa un quarto dei profughi in fuga dalle bombe, nonostante qui viva poco più del 6% della popolazione italiana. In gran parte donne e bambini. Auspico un riequilibrio di queste quote, ma nel frattempo non ci tiriamo indietro. Per un’accoglienza degna di questo nome, passata la prima fase più emotiva, serve, però, un’organizzazione adeguata: vanno sostenute le tantissime famiglie che si stanno facendo carico dei profughi – una generosità che mi ha commosso nei numeri e nei modi -, così come le associazioni del terzo settore, attive da subito. E vanno regolati gli inserimenti scolastici dei minori, con l’affiancamento di specialisti, traduttori e mediatori. Infine, stiamo pensando anche al lavoro: grazie al Patto per il Lavoro e per il Clima, abbiamo aperto un tavolo di confronto con le parti sociali per garantire accoglienza e il rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro per chi trovasse occupazione, per il miglior inserimento possibile. Molti di loro sono scappati con niente in mano, se non il diploma o la laurea: il lavoro è dignità, vogliamo aiutarli anche in questo senso.
I fondi del PNRR sono stati in parte assegnati. Alla luce degli eventi in Ucraina, pare attenuarsi la consapevolezza delle ragioni e delle esigenze che hanno rappresentato la genesi di tali fondi. Rimangono espressione di una logica emergenziale o costituiscono occasione di trasformazione strutturale di alcuni assetti logori o deficitari?
Diciamolo chiaramente. Il PNRR è un’occasione straordinaria e irripetibile che non ci capiterà una seconda volta. L’Europa in passato si è dimostrata lontana dalle esigenze dei cittadini, ma non è questo il caso. Tutt’altro. Non avremo mai più una tale quantità di fondi, che dovranno servire per recuperare quei gap storici che l’Italia sconta verso le zone più avanzate del continente. Risorse che vanno spese bene e in fretta, per questo l’Emilia-Romagna ha già messo nero su bianco gran parte dei progetti che vogliamo finanziare: potenziamento della sanità pubblica e della medicina del territorio, nuove scuole e asili per abbattere liste d’attesa, politiche di genere, transizione ecologica e digitale, messa in sicurezza del territorio, investimenti in nuove tecnologie per le aziende e il pubblico, ricerca e innovazione. Sono già 230 le amministrazioni locali e gli enti coinvolti titolari di progetti per quasi 4 miliardi di euro già stanziati per l’Emilia-Romagna. Sono convinto di due cose: da un lato la necessità che il Governo coinvolga di più gli enti locali sul territorio, altrimenti non riuscirà da solo a mettere a terra una tale mole di investimenti e progetti. Allo stesso tempo non mi sfugge la responsabilità in capo a chi guida le istituzioni: io, come tutta la classe politica a cui appartengo, verrò giudicato in primis dall’esito di questo straordinario piano Marshall made in Europa. Certo, la guerra in Ucraina può portare a modifiche e ad aggiustamenti. Uno su tutti, che dico da qualche settimana: un recovery plan energetico, che permetta all’Italia di affrancarsi e rendersi più indipendente dal punto di vista della produzione di energia.
Da alcuni anni, la nostra rivista si interroga sul ruolo ed il rapporto tra Stato, enti territoriali e soggetti privati nell’ambito del welfare, alla luce del progressivo inaridirsi dei flussi finanziari dettati da ragioni macroeconomiche. La Regione Emilia Romagna ha sempre fatto leva sulla collaborazione tra pubblico e privato, in considerazione delle eccellenze industriali e commerciali presenti nel suo territorio. È una relazione biunivoca destinata sempre più a rafforzarsi o devono esservi delle competenze esclusive che ciascuna parte non può delegare all’altra?
Il privato sociale rappresenta una ricchezza per il nostro territorio. Realtà, competenze, professionalità e umanità con le quali integriamo il numero di servizi, molto alto, che l’Emilia-Romagna offre ogni giorno. In questo senso, nella nostra Regione c’è un ottimo rapporto tra pubblico e privato, sia nella sanità, sia nel welfare. I ruoli sono chiari: il privato partecipa condividendo i nostri obiettivi di inclusione e sviluppo, ma la guida di queste politiche resta al 100% pubblica. Non c’è contraddizione tra queste due affermazioni. Tutt’altro. Vedo un dialogo virtuoso, che sta dando ottimi frutti e ha ancora numerose potenzialità da esplorare, alla luce di una società che sta invecchiando e necessiterà sempre più di forme di assistenza alla persona.
Nell’ambito del programma esecutivo del suo mandato 2020-2025, le esigenze dei disabili potranno ricevere risposte effettive ed efficaci, con risorse ad hoc?
Abbiamo aumentato ulteriormente il Fondo Regionale per la Non Autosufficienza: oltre 500 milioni di euro, di cui 55 del Fondo nazionale. È la dotazione finanziaria più elevata del nostro Paese, perché vogliamo potenziare e qualificare i servizi, incrementare il sostegno ai Caregiver e all’autonomia delle persone nell’ambito dei progetti di vita indipendente e del Dopo di Noi. Oltre un terzo viene investito nei servizi domiciliari, diurni e residenziali per le persone con disabilità, con una spesa annuale che tocca i 170 milioni di euro. Ogni anno sono oltre 19 mila le persone con disabilità gravi e gravissime assistite in Emilia-Romagna grazie alla rete dei servizi socio-sanitari per le persone in età adulta. Di queste, oltre 16 mila ricevono assistenza attraverso la frequenza di centri diurni socio-occupazionali o socio-riabilitativi (5 mila persone), la concessione di assegno di cura (2.400 persone) e l'assistenza domiciliare o altri servizi (8.600 persone). Siamo molto attivi anche sul versante dell’abbattimento delle barriere architettoniche: dal 2015 sono oltre 700 gli interventi e le opere, per un valore di 13 milioni di euro, che hanno riguardato anche l’installazione di ascensori, montascale e altri lavori di adeguamento degli appartamenti per garantire anche agli assegnatari più fragili un utilizzo il più possibile comodo e funzionale. A questi si aggiungono 30 milioni di interventi nell’edilizia privata. Certo, siamo consapevoli che le risorse a disposizione delle Regioni e degli Enti Locali per gli interventi a favore delle persone con disabilità sono comunque ancora insufficienti a coprire tutti i bisogni, che la pandemia ha ulteriormente aumentato e contiamo sul PNRR per ottenere nuovi finanziamenti. Abbiamo un ottimo rapporto con le associazioni e le realtà del mondo della disabilità: troverete sempre una porta aperta e la volontà di ascolto e confronto.
Infine, se dovesse definire l’emiliano-romagnolo, quale parola le verrebbe in mente per mera associazione di idee?
Due parole. Lavoro, perché nessuno ci ha mai regalato nulla e tutto ciò che oggi abbiamo, ce lo siamo sudati, rimboccandoci le maniche. E solidarietà. Perché in questa terra conosciamo il valore del benessere, ma non siamo felici finché non lo è anche chi ci sta a fianco.