Totò Cascio si racconta

“Non vergognarsi di chiedere aiuto, perché chiedere aiuto non è segno di debolezza, tutt’altro. É la forma più alta e nobile del coraggio"
Silvia Colombini

Ci sono storie che sembrano davvero uscite dalla fantasia di un romanziere ma che, invece, sono scritte dalla vita, sempre più imprevedibile di qualsiasi racconto immaginato. La storia di Salvatore Cascio è una di queste. Nato a Palazzo Adriano in provincia di Palermo, a otto anni si trova protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso”, film che vince l’Oscar e che porta il piccolo Totò a essere il più giovane attore a ricevere un premio prestigioso come il BAFTA (British Academy of Film and Television Arts). Il suo talento gli permette di proseguire una brillante carriera nel mondo dello spettacolo, continuando a lavorare come attore tra televisione e cinema. Poi, intorno ai trent’anni, la scoperta di una malattia implacabile, la retinite pigmentosa con edema maculare, malattia genetica che colpisce anche il fratello e che progressivamente lo porta a perdere la vista. Anni difficili, sofferti, dolorosi per accettare una nuova realtà. Anni che, però, hanno portato oggi Totò, un giovane uomo di 42 anni, a raccontare la sua storia prima nel cortometraggio “A occhi aperti” (regia Mauro Mancini, produzione Movimento Film con Rai Cinema per Fondazione Telethon) e poi in un libro bellissimo “La gloria e la prova. Il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0” (scritto con Giorgio De Martino Editore Baldini e Castoldi).

Hai cominciato piccolissimo a lavorare nel cinema, dove la visione è il mezzo per raccontare la realtà. Cosa ti ha insegnato questa tua nuova condizione sul modo convenzionale che abbiamo, appunto, di vedere la vita?

Copertina del libro "La Gloria e la Prova" di Totò Cascio  - Editore Baldini e Castoldi

Adesso ho capito che la vita si può vedere soprattutto con gli occhi del cuore e con gli occhi del cervello.

Oggi vivi una realtà esplorata da altri sensi. Cos’è cambiato nel tuo modo di essere?

È cambiato il senso della vita. Io oggi, proprio dò un altro significato al mio vivere e al senso della vita.

Un percorso esistenziale particolare, giovane star e poi una malattia importante. In qualche modo, sempre sotto ai riflettori. Cosa diresti a chi non ha la tua possibilità di parlare al mondo delle proprie difficoltà?

Il mio messaggio principale è quello di non vergognarsi nel chiedere aiuto, perché chiedere aiuto non è un segno di debolezza, tutt’altro. È la forma più alta e nobile del coraggio.

Trovi che la società sia pronta a includere persone che vivono una condizione di diversità?

Totò Cascio e Philippe Noiret sul set del film "Nuovo Cinema Paradiso"Bisogna, naturalmente, lavorare sempre di più sul pregiudizio che in alcuni individui persiste nei confronti delle persone che hanno una disabilità. Credo molto nella solidarietà e nel cuore delle persone, ma è sempre molto importante svolgere azioni di sensibilizzazione soprattutto per quanto riguarda il pregiudizio mentale.

L’Istituto Cavazza di Bologna ti è stato d’aiuto in questa tua riabilitazione?

L’Istituto Cavazza, e lo dico con cuore, per me è stato fondamentale. Sono entrato qui che avevo il morale a terra e sono uscito cambiato. Prova è che vi ritorno sempre. Io considero il Cavazza un luogo familiare e caro.

Riconoscere e accogliere la propria debolezza è il primo passo per diventare forti. Tu come hai fatto?

Quando ho toccato il fondo e quando ho capito che toccare il fondo non è la fine. A quel punto, infatti, hai due possibilità: o ci rimani sul fondo, e in quel caso è finita, o sei pronto a ripartire più forte di prima. E io, grazie a Dio, ce l’ho fatta.

In “Nuovo Cinema Paradiso” il tuo personaggio, diventato adulto, si trova con un’eredità di Alfredo, il suo amico proiezionista interpretato da Philippe Noiret. Quale eredità ti ha lasciato quel film?

Mi ha lasciato tanto, fa parte della mia vita. Mi ha insegnato che la passione e l’amore in tutto ciò che si fa sono fondamentali. Passione e amore, sono queste le priorità.

Totò Cascio oggi - Foto di Jurij Gallegra.

Tu usi spesso la parola consapevolezza. Cosa significa per te?

Consapevolezza per me è l’adrenalina della vita. Una volta che si conosce la consapevolezza non si può più abbandonare. Naturalmente, però, io intendo una consapevolezza unita all’azione.

Che progetti hai per il futuro? Nel tuo libro parli di trasferirti a Bologna…

Già, delle volte ci penso. Passando tanto tempo a Bologna ho scoperto una città moderna, accessibile, accogliente. Quando a volte mi dicono “Eh, ma tu dovevi conoscere Bologna vent’anni, trent’anni fa”, come a dire che è cambiata in peggio, io rispondo “Ragazzi, voi dovreste conoscere Palermo”, e lo dico con tutto il rispetto e l’amore per una città che adoro. E, a parte decidere dove vivere, ho tanti sogni, tanti progetti. Mi piacerebbe fare un film, raccontare la disabilità con un tocco di leggerezza, senza pietismi. Questo è un progetto che spero di realizzare e ci sto lavorando.

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