Mozart, ovvero l’impossibilità di essere normale. Questo stigma, appartenente a tutti i grandi geni della Storia, in Mozart determina un caos esistenziale che gli preclude ogni possibilità di condurre una vita sociale stabile. Forse bisognerebbe intendersi sul significato della parola “normale”, col rischio, però, di abbandonare il terreno musicale per abbracciare quello psicanalitico. La copertina del 2° CD del gruppo cameristico “Il Tetraone” chiarisce subito il percorso interpretativo che ha guidato i quattro musicisti nell’esecuzione dei Quartetti per fortepiano e archi K 478 e K 493. Vi campeggia la dicitura : una reale professione d’intenti e non solo un puro gioco di parole, in omaggio all’indiavolato bisogno del musicista di esprimersi attraverso gli scherzi e le oscenità che gli uscivano fuori in modo naturale, senza particolari ostentazioni. Frutto, anche, di un ambiente familiare che pare si abbandonasse a tali modi espressivi senza problemi, in ottemperanza, d’altronde, al milieu sociale salisburghese dell’epoca. Il gesto di ribellione compiuto da Mozart nei confronti del disprezzato arcivescovo salisburghese Hyeronimus Colloredo, gli era costata, nel 1781, l’umiliazione di una pedata nel sedere da parte del conte Arco che, in questo modo, gli diede il ben servito. Allo stesso modo, l’impossibilità di rinnegare la propria creatività, nel 1785 causò al musicista la rottura dell’accordo stipulato con l’editore e amico viennese Hoffmeister per la composizione di tre quartetti, di cui solo il primo era stato ultimato, il K 478. Troppo complesso per essere compreso e accettato dal pubblico viennese che, allora, cercava solo conferme, ossia musiche d’immediata fruibilità, mentre Mozart andava esplorando nuove strade in campo puramente cameristico. Non vi è nulla dello spirito galante, col quale i due figli di Bach Johann Christian e Carl Philipp Emanuel avrebbero probabilmente trattato dei brani composti per il medesimo organico. Mozart va oltre, non è interessato a piacere e a compiacere. Per nostra fortuna, è a sé stesso che deve rendere conto e, va da sé, non può tradirsi. Come dire: per leggere Mozart devi scrivere trazoM. Un vero e proprio ammonimento, un invito a riconsiderare la figura del musicista, misteriosa come poche. Indagato, studiato senza tregua, in pratica fin dal momento della sua morte e con un crescendo inarrestabile fino al 1991, bicentenario della scomparsa, Mozart è stato interpretato e suonato da legioni di musicisti, smisurati essendo gli ambiti in cui si espresse. Eppure, si ha tuttora la sensazione che il salisburghese resti inavvicinabile, irraggiungibile, una promessa mai mantenuta, un traguardo inevaso la cui potenzialità espressiva ed interpretativa sia lontana dall’essere compiutamente esplorata, e questo a dispetto dell’apparente facilità e immediatezza della sua musica. Rileggere Mozart alla rovescia non significa stravolgerlo, ma, semmai, indagarlo, tentando di capire se e in quale misura si debba prescindere dalla sterminata produzione interpretativa di cui sopra. E questo per trovare l’immagine di un musicista chiave, attorno a cui ruotano il classicismo e l’imminente romanticismo, per avvicinarsi ad un’interpretazione non certo definitiva, ma, almeno, attendibile, se mai questa esista.
L’interpretazione del Tetraone è interlocutoria. Il gruppo va in profondità, scava, si prende i suoi tempi, dilatati, ariosi, quasi a domandarsi come possa eseguire quella musica, quale sia il possibile e corretto accostamento a Mozart. E per questo i componenti del quartetto esitano, si soffermano: si avverte in loro come una forma di pudore, un entrare in punta di piedi in un mondo che è stato scandagliato da legioni di esecutori, ma che ancora non sembra(va) aver visto messi in luce tutti i meandri nascosti, posta in evidenza la luce stessa insita in quelle (come in tantissime altre) composizioni mozartiane. Quasi confessino di non sapere se siano in grado di assolvere quel compito e a chiedersi timorosi se il loro approccio non sia che “uno fra i tanti”. Se cauto appare l’avvicinamento, nel timore di non riuscire a cogliere la visione interpretativa ideale, di non accorgersi della potenzialità ultima di un’idea interpretativa, il contrario avviene con la sicura padronanza del suono degli strumenti. Le pur minime perplessità sollevate dall’esecuzione del primo CD del Tetraone – come le lievissime asperità del violino che avrebbero potuto alterare gli equilibri interni al gruppo e bloccare lo slancio interpretativo – scompaiono del tutto nelle esecuzioni mozartiane. Il suono è fluido, sicuro, ma al tempo stesso controllato. Il fortepiano, il violino, la viola e il violoncello si fondono in un’unità compiuta, in cui non si avverte la minima prevaricazione dell’uno sugli altri, ma, al tempo stesso, le linee sonore dei quattro strumenti antichi sono chiaramente distinguibili senza alcuna fatica. Dell’insieme di questi dati si giova soprattutto il quartetto in sol minore, ricco di silenzi e di momenti forse inespressi nella partitura, quasi a voler lasciare agli esecutori il compito di trovarli.Queste due esecuzioni si calano all’interno di un Mozart che forse presagisce se stesso e che, pur essendo già nel pieno della sua maturità, si proietta nei grandi ulteriori capolavori che creerà nei 5/6 anni che gli restano da vivere. La chiave interpretativa utilizzata dal Tetraone per il quartetto K 478 potrebbe seguire e presagire i seguenti due mondi: Mozart aveva da poco composte la fantasia K 475 e la sonata in do minore K 457 per pianoforte, il Concerto K 466, la Maurerische Trauermusik. Ma già poteva pensare al Quintetto per archi in sol minore K 516, forse anche al Don Giovanni, se ascoltiamo le battute finali dell’opera, in cui – nell’interpretazione di alcuni geniali direttori - la musica quasi si ferma in un’impercettibile esitazione, subito prima della conferma finale in cui il sipario si chiude definitivamente su quella simbolica vicenda. Oppure a un brano intimo, di piccole dimensioni, quale l’adagio in si minore per pianoforte K 540.
Se andiamo, più specificamente, al quartetto in mi bemolle K 493 – più aereo, lieve e delicato del precedente - il mondo che lo circonda è quello delle Nozze di Figaro, dei concerti per corno, di quelli per pianoforte e orchestra K 482 e K 488 e, forse, anche di quello immediatamente successivo. Il concerto K 491, infatti, scritto nella relativa tonalità minore del Quartetto K 493, porta in sé l’espressione di una tragicità più intima e meno dirompente del K 466, in re minore, scritto l’anno precedente. Da non dimenticare, poi, il cosiddetto Trio dei Birilli, K 498, che viene implicitamente richiamato nella copertina del CD: in essa appare un’ampia stanza diroccata che, non fosse per la porta a destra sullo sfondo che si apre su di un giardino, potrebbe far pensare all’ex convento di San Francesco a Bagnacavallo, che ospita frequenti esecuzioni musicali. Vi è raffigurato anche un calciobalilla di antica data, forse a ricordare la passione di Mozart per il gioco del biliardo. Completa il CD una versione abbreviata del primo movimento del quartetto K 478, con il clavicembalo al posto del fortepiano. Pur se il nuovo strumento stava imponendosi in quegli anni, è presumibile che nelle case private fosse molto più facile trovare un clavicembalo. È, quindi, probabile che, in ambito domestico, le musiche per tastiera di Mozart fossero eseguite con il vecchio strumento. Il che equivale a dire che buona parte dei contemporanei del musicista potrebbe non avere mai sospettato chi fosse veramente Mozart, tanta è la differenza di sonorità, di respiro e di espressività dei due strumenti. Forse anche questa è stata la motivazione dell’inserimento di questa traccia finale. Magari una decisione dell’ultimo istante, dato che la custodia del CD non ne tiene conto nell’indicazione della durata totale. Un’azzeccata motivazione didascalica, ma anche un coup de théâtre.
Rispetto al precedente CD, che conteneva il Quartetto op. 16 di Beethoven e il Quintetto La Trota di Schubert, si nota un accostamento più intimo degli esecutori alle composizioni interpretate. C’è un fattore unitario più stringente, certamente favorito dal fatto di potersi/doversi dedicare a un unico musicista, per quanto poliedrico dal punto di vista qualitativo, ma spiritualmente sempre fedele a se stesso. Forse più liberi, ma al tempo stesso consci di avventurarsi in un territorio insidioso, per tutte le ragioni già esposte.
Che il gruppo, fondato nel 2011, abbia prodotto, in dieci anni, solo due registrazioni è garanzia dell’impegno profuso nell’approfondimento e nello studio della materia musicale affrontata.
Infine ricordiamo che la registrazione del CD, avvenuta fra il 5 e l’8 ottobre 2020 nella Chiesa di San Girolamo a Bagnacavallo, era stata preceduta, pochi giorni prima, da un’esecuzione aperta al pubblico, che aveva riservato ai musicisti del Tetraone un ascolto molto attento e applausi sinceri.