Dall'inizio dell'estate ho avuto la fortuna di partecipare al soggiorno estivo educativo e riabilitativo
"Un tuffo nel sole” organizzato dall'Istituto Francesco Cavazza di Bologna per ragazze e
ragazzi con disabilità visiva. I primi due giorni li abbiamo impiegati a investigare e capire lo spazio interno ed esterno, a rappresentarlo e a gestirlo. Utilizzando la metodologia I.Ri.Fo.R. per l’orientamento e mobilità, ci siamo mossi a piccoli gruppi all'interno del villaggio turistico. Per
raggiungere la spiaggia, il ristorante, la piscina e gli altri luoghi di interesse, alcuni ragazzi
utilizzavano il residuo visivo, altri il bastone bianco lungo e altri l’accompagnatore vedente. Abbiamo anche trascorso due giornate completamente dedicate al Judo, ed è proprio di questa
esperienza che vorrei parlare.
É ormai sicuramente riconosciuta la capacità tecnica del Judo di essere praticato proficuamente
dalle persone con disabilità visiva, dato che sia nel combattimento in piedi che in quello a terra si ha sempre un contatto con l'avversario e quindi si riesce benissimo a praticare questa disciplina aldilà
del fattore visivo. E questo non è l'unico motivo. La nascita stessa del Metodo Kodokan Judo,
creato dal giovane professore universitario di Pedagogia, il Maestro Jigoro Kano, è legata ad un obiettivo educativo. Infatti, nel 1882 egli si trasferì nel Tempio di Eisho e lì attrezzò una piccola sala di dodici tatami, impostando un vero e proprio metodo educativo. Non era dunque un njnjja, nè un samurai ma un educatore, che aveva l’ambizioso obiettivo di una crescita morale, intellettiva ed etica delle persone e della società tutta per mezzo dell'attività fisica.
Le due regole fondamentali che ideò per definire il Judo, “Massima Efficacia con il Minimo
Sforzo” e “Prosperità e Mutuo Benessere”, sono la sintesi dell’intero metodo.
La prima è attuabile
sia durante un combattimento con un avversario che durante un'attività di formazione, di
allenamento con i propri compagni, all’interno del gruppo della propria palestra. La seconda regola
integra, completa e armonizza la prima attraverso un principio apparentemente molto semplice: “se
io cresco cresci anche tu e si avvia tra i compagni e nel combattimento un cambio di prospettiva;
più il mio avversario sarà bravo, più io dovrò essere bravo, quindi anche il mio avversario è in realtà un mio amico che mi stimola a migliorare”.
E questo è un qualcosa che i ragazzi hanno potuto sperimentare durante le lezioni che si sono svolte nelle due giornate dedicate al Judo. Quello che veramente mi è piaciuto, è stato l’utilizzo di alcune
sfumature che hanno permesso un consenso coinvolgente da parte di tutti i Judoka. Infatti, abbiamo in primo luogo chiarito che tutti coloro che praticano Judo sono Judoka e che sia il maestro che
l’allievo sono Judoka. Ognuno ha ricevuto la sua cintura, di colore diverso in base all’esperienza e
alla responsabilità.
Ad alcuni Judoka di taglia “mignon” le cinture bianche che avevo portato con
me facevano anche svariati giri intorno al loro corpo.
Il Judo viene praticato su un tappeto che si chiama Tatami, un supporto morbido e al contempo rigido che permette di camminarci sopra con stabilità e di cadere senza traumi. Ne avevo portato in macchina per l'occasione nove pezzi da un metro quadrato, di due colori, verdi e rossi, incastrabili tra di loro. Ogni ragazzo ha preso un singolo pezzo di tappeto e lo ha portato in una stanza, lo ha
esplorato, ha provato come il suo corpo stava in quell’area, ha misurato il perimetro, ha valutato quanti piedi o passi ci stavano sui lati del quadrato e le varie differenze tra metro lineare e quadrato. Poi lo abbiamo battuto con le mani, con un piede, con due piedi; abbiamo provato a entrare nel
metro quadrato dell’altro difendendo il nostro e diverse altre attività ludiche, sino ad arrivare a capire che se volevamo fare Judo avremmo dovuto unire i singoli tatami. Per fare Judo ho bisogno
degli altri, così come ne ho sempre bisogno per poter fare qualsiasi cosa. A quel punto abbiamo costruito il nostro tatami.
Le lezioni si sono svolte con piacere e divertimento da parte di tutti e, naturalmente, parlavamo in giapponese. I termini relativi al saluto, all’inizio dell’attività e alla fine dell’azione motoria hanno pian piano preso significato consentendo un utilizzo appropriato. Le ragazze e i ragazzi hanno trovato veramente molto interessante l’attività, perché sono riusciti a scaricare le loro energie e convogliare i comportamenti necessari alla vittoria.
Hanno appreso le nozioni per combattere a terra tra di loro e in piedi con il Maestro e per fortuna uno alla volta! Fondamentale per la riuscita dell’iniziativa è stato il maestro Sanzio Magnani del Judo Club Sakura di Forlì per averci prestato gli ormai “famosissimi 9 m² di tatami” e che voglio ringraziare a nome
di tutti i Judoka.