IIl mondo del melodramma italiano dell’Ottocento è un mondo meraviglioso. Quando citiamo però i titoli dei grandi capolavori (Barbiere di Siviglia o Norma, Elisir d’amore o Trovatore) o ne ricordiamo i loro autori (Rossini, Bellini, Donizetti o Verdi) non pensiamo mai che questi geni dell’arte e questi capolavori scritti sulla carta pentagrammata avevano poi bisogno, per arrivare al pubblico, di tanti, tantissimi interpreti piccoli e grandi, che con la loro instancabile azione e col loro continuo muoversi tra città e paesi di ogni continente garantivano, in un mondo senza in nostri mass-media, la diffusione e la popolarità delle opere e dei loro personaggi. Cantanti, celeberrimi e osannati come i nostri divi del cinema e della canzone, dei quali oggi per i più spesso resta solo il ricordo di una strada a loro dedicata o di un monumento, più o meno elegante, in qualche cimitero cittadino.
Proprio partendo da questi due elementi vogliamo raccontare la vicenda di una cantante bolognese, Adelaide Borghi Mamo, celeberrima in tutta Europa e il cui ricordo oggi è legato a Bologna a una strada e a uno stupendo monumento sepolcrale completato nel 1894 dallo scultore Enrico Barbieri e collocato in una delle zone più suggestive della Certosa bolognese, la Galleria degli Angeli.
Nata a Bologna nel 1829, Adelaide Borghi fu incoraggiata da celebri interpreti come Donzelli e Giuditta Pasta ad intraprendere la via del canto lirico, debuttando nel 1846 ad Urbino in un’opera di Mercadante. Da lì iniziò una carriera che la portò subito in Europa. E a Malta, conobbe il tenore spagnolo Miguel Mamo che sposò, unendo il proprio cognome a quello del marito.
Poi, dal San Carlo di Napoli all’opera Vienna alla Scala di Milano, seguì un decennio di successi nei quali autori come Petrella e Braga, Rossi e Pacini scrissero opere appositamente per la sua splendida e amplissima voce, che spaziava dalle note acute del soprano leggero alle profondità di un potente contralto, mantenendo sempre uguaglianza di timbro nei vari registri. La tessitura così ampia e la presenza scenica le consentirono di proporre un repertorio che spaziava dalle opere di Rossini (che fu in rapporto di amicizia con lei) a quelle di Gounod, dai capolavori di Mozart alle pagine di Meyerbeer e di Halevy.
Forte di questa esperienza e di questi successi la Borghi Mamo fu chiamata a Parigi dove, come scrive un giornale milanese dell’epoca “la rinomata attrice cantante, rapita alle nostre scene per lungo tempo e per non lieve discapito dell’arte italiana, ha esordito con successo più lieto che bramar si potesse”. Qui strinse amicizia con grandi primedonne dell’epoca, come Erminia Frezzolini e Giulia Grisi, e fu protagonista per oltre un decennio non solo al Théâtre Italien (fu Azucnena nella prima rappresentazione del Trovatore di Verdi nella capitale francese), ma anche, conquistasi il pubblico parigino con le sue doti e un repertorio difficile e molto vario, anche all’Opèra, luogo riservato di solito agli interpreti francesi, dove riscattò con la sua arte anche opere di poco valore. Scrive una corrispondenza da Parigi “Come sempre, maggiore per lungo tratto sui suoi compagni fu Adelaide Borghi Mamo, la celebre attrice cantante contralto che da più anni forma le delizie dell’Opèra, come già formò quelle per lungo tempo del teatro italiano. Con tutto che la musica non si prestasse a far rifulgere le qualità di arte e di voce della signora, ella nondimeno, novello Prometeo, infuse vita e moto alla musica inerte e fece il miracolo di suscitare l’effetto ove era la più scoraggiante monotonia e dove lo stile spezzato, contorto, trito, metteva al più duro cimento le voci e la perizia dei cantanti. Alla signora Borghi Mamo perciò furono fatto applausi moltissimi, senza che la claque avesse d’uopo di promuoverli o sostenerli”.
Poi Londra, all'Her Majesty's Theatre in una Favorita di Donizetti che fece il giro d’Europa e che da Londra giunse al Comunale di Bologna e alla Scala di Milano. E poi ancora Madrid, Genova, Venezia, ancora Parigi (nella Forza del Destino di Verdi) rimanendo sulle scene fino al 1880, quando decise di dedicarsi all’insegnamento, dapprima a Firenze e poi a Bologna.
Qui rimarrà fino alla morte, nel 1901, e la sua casa, a Palazzo Lupari, diverrà da quel momento un importante centro di riferimento culturale cittadino fino inizio secolo.