Lo sbarco sulle coste italiane di migranti che fuggono dai propri paesi afflitti da guerra e povertà è ormai cronaca di tutti i giorni.
L'aumento della mobilità umana è comunque diretta conseguenza della crescita della popolazione a livello mondiale e aumenta proporzionalmente con essa. Oggi si stima che fra gli oltre 33 milioni di stranieri residenti nell’Unione Europea ben il 14% lo sia in Italia; volendo suddividere in aree geografiche di appartenenza sappiamo che il numero degli immigrati proviene per lo più da paesi dell’Est Europa e del Nord Africa, mentre in misura minore dall'Asia e dall'America (soprattutto del Sud).
Nel 2012 i più rappresentati tra gli immigrati regolari non comunitari erano gli albanesi, i marocchini, i cinesi e gli ucraini. Secondo i dati Istat relativi al bilancio demografico nazionale, alla data del 1º gennaio 2013, risultavano residenti in Italia 4.370.317 stranieri, pari al 7,4% della popolazione totale.
I flussi di persone possono favorire anche la diffusione di malattie e per avere maggiori informazioni in merito ai potenziali rischi o alle conseguenze per la salute, abbiamo intervistato il Dott. Gian Luca Laffi, medico oculista, presidente di AMOA (Associazione Medici Oculisti per l'Africa).
Dott. Laffi, come giudica lo stato di salute della popolazione migrante in Italia?
"La maggior parte di coloro che giungono in Italia è fondamentalmente in buona salute. Chi decide di partire é solitamente sano perché altrimenti difficilmente si imbarcherebbe in un viaggio così a rischio e difficoltoso. Il discorso è un po’ diverso se uno é obbligato a partire come in caso di guerra, in quel caso la possibilità che ci siano malati in effetti é maggiore."
Quindi non vede fondato il timore che possano riaffacciarsi patologie che magari per il mondo occidentale rappresentano oggi solo un lontano ricordo?
"In realtà sembra che siano più a rischio gli immigrati di contrarre le nostre malattie che noi. È stato registrato un aumento della tubercolosi anche se sembra che non ci sia un rischio reale di diffusione della malattia. Per quanto riguarda la poliomielite c'é effettivamente il rischio di importazione di virus dai 3 paesi ancora endemici: Nigeria, Pakistan, Afghanistan o da quelli di recente reintroduzione come Somalia e Siria, anche se é più una paura che un problema reale. Per quanto riguarda l'ebola, attualmente non è più un'emergenza, il rischio è bassissimo. Una volta giunti nel nostro paese, può succedere che gli immigrati vedano progressivamente impoverirsi il loro stato di salute, poiché esposti a molti fattori di rischio legati a condizioni di vita generalmente precarie."
L' aumento della multietnicità pone problemi per gli oculisti italiani che devono modificare le proprie attitudini di visita?
"Sì, ad esempio una malattia come il glaucoma ha una prevalenza nettamente maggiore fra i neri (8%) rispetto ai bianchi (2,5-3%), con comparsa 10 anni prima rispetto agli italiani e decorso più aggressivo, così come la risposta al trattamento medico e chirurgico e di conseguenza l’incidenza di cecità soprattutto se non ci si sottopone a cure adeguate. Parlando poi del glaucoma ad angolo chiuso, in Italia siamo abituati ad un’incidenza dello 0.6%, ma fra gli immigrati cinesi, vietnamiti, filippini, indiani ed arabi l’incidenza è nettamente maggiore."
La diversità culturale come incide nel rapporto medico/paziente?
"Fattori come la diversa cultura di appartenenza, il livello linguistico, la religione, la non condivisione dei modelli di salute, di malattia e di cura, sono uno dei principali ostacoli all’accesso nelle strutture sanitarie da parte degli immigrati. In assenza di disturbi o sintomi vanno molto meno dal medico rispetto agli italiani.
Il 14% ha difficoltà a spiegare in italiano i disturbi al medico oppure a comprendere ciò che il medico dice.
Questo vale soprattutto per gli adulti e gli anziani, in particolare le donne e chi ha un titolo di studio basso.
Come collettività, le cinesi, le indiane, le filippine e le marocchine sono quelle in cui il rapporto medico/paziente è più difficoltoso."