Nella scorsa primavera, presso il Museo di San Domenico, a Forlì, si è svolta un’esposizione di grande rilievo, dedicata al movimento artistico dei Preraffaelliti, confraternita che nel nome stesso espresse l’astensione dal “raffaellismo” e dunque da un rigorismo formale giudicato classicismo accademico, da cui prendere le distanze. La factory inglese, fondata nel 1848, sostenuta dal teorico John Ruskin, sorse in un’Inghilterra vittoriana già immersa nella Rivoluzione industriale, grazie ad alcuni giovanissimi e talentuosi artisti: Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Holman Hunt. Se la spinta programmatica fu breve, lo sviluppo dei modelli estetici a cui si ispirarono fu pervasivo e il loro successo duraturo. Nella pittura i Preraffaelliti cercavano la fedeltà alla natura, la visione dettagliata delle cose, mediante una trasfigurazione idealizzata dei soggetti tematici a loro più cari, sempre associati a contenuti spirituali. La loro tavolozza era vivida e fatta di colori puri, in contrasto con le città già annerite dal fumo delle ciminiere. Cercavano nelle fonti letterarie l’ispirazione all’assoluto e la passione d’amore, mentre la rivoluzione industriale mostrava una modernità contraddittoria e socialmente diseguale. Eppure non furono degli anacronistici reazionari. Furono la prima avanguardia, il primo movimento capace di inaugurare la difformità delle future espressioni simboliste europee del Novecento. Nel loro momento sorgivo sognarono di risvegliare l’autenticità spirituale che si respira nell’arte dei Primitivi, attingendo linfa dagli antichi maestri del Trecento e del Quattrocento italiano, soprattutto toscano. Si identificarono con il misticismo di Cimabue e Beato Angelico, con l’humanitas di Giotto, con la grandezza illustrativa di Benozzo Gozzoli, ma guardarono anche alla dolcezza di Filippo Lippi, ad Andrea del Verrocchio e Domenico Ghirlandaio, alla ieraticità di Piero della Francesca e alle suggestioni luministiche di Luca Signorelli. In particolar modo si immersero nell’infinita sensibilità di Sandro Botticelli in cui, citando Adolfo Venturi “(…) una febbre di godimento e di vita, che cela un pensiero amaro, si riflette nelle forme agili, nervose, nei subiti languori del più sottile creatore d’immagini che la pittura fiorentina e italiana abbia avuto, del più raffinato poeta del Quattrocento toscano (…)". In quel sentire, tradotto nel valore estetico di una cifra stilistica inconfondibile, si erano riconosciuti tutti. Il mito dell’Italia e il primato di Firenze vissero a lungo fino a coinvolgere una terza generazione di artisti ancora attivi nel primo Novecento. La loro fu una pittura tesa al femminile: donne dalla sensualità enigmatica, dalle passioni tristi, dalla bellezza sfuggente, abitano il pensiero visivo e ossessivo di Dante Gabriel Rossetti, le storie incantate di Edward Burne-Jones, il lenticolarismo di John Everett Millais. Il mondo preraffaellita si nutrì di matrici letterarie contemporanee: da William Wordsworth a John Keats, a Percy Bysshe Shelley, ad Alfred Tennyson, fino ad Edgar Allan Poe; e di modelli assoluti: da Dante Alighieri a Giovanni Boccaccio, oltre che a William Shakespeare. Spesso ambientate in un Medioevo fantastico e leggendario, le loro opere echeggiano un mondo romantico e mitico che rilegge la tradizione classica, storica, e dialoga con un passato riscoperto o ricreato, tale da legittimare il presente e le sue aspirazioni, i sogni e le proteste, le inquietudini e le nostalgie. La loro fu un’arte della cultura, dell’intelletto, della raffinatezza estetica, tipica di chi guarda al mondo e alla vita con poetica immaginazione, per quanto incline alla mestizia. Il sogno primitivo dei preraffaelliti fu la reazione a una modernità di cui diffidavano, mediante l’adozione di tematiche sociali che li indussero a operare una strana contaminazione fra idealismo, razionalismo ed eticità. Come si può altrimenti spiegare un gruppo di artisti la cui idea di modernità fu quella di dipingere il Medioevo? Ma il travestimento nel passato, da un lato per sfuggire, dall’altro per connotare il proprio tempo, resta la più sincera delle aspirazioni romantiche.
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