Teatro dell'Antico Corso delle Maschere

Locale elegante e confortevole, offre spettacoli di marionette di alto valore artistico: balli, opere buffe, commedie e melodrammi accompagnati da musica eseguita da valenti orchestrali
Maria Chiara Mazzi

L’enigmatico nome del Teatro dell'Antico Corso delle Maschere, aperto in via Mascarella nel 1831, deriva forse, ma senza certezza, proprio dal nome dalla strada, via Mascarella, dove la tradizione vuole che passasse il corso mascherato durante il carnevale.

 

Si tratta di un locale elegante e confortevole che, pur nella sua breve vita, riesce a mantenere alto il livello artistico dei suoi spettacoli, ancora una volta realizzati da marionette preparate e azionate da abilissimi artigiani e manovratori che, a basso costo riproducono in miniatura pantomime, balli, opere buffe, commedie e melodrammi, accompagnati da una piccola orchestra, agiscono anche attori e cantanti in carne ed ossa, nascosti anche se non sempre, dietro il palcoscenico. Spettacoli nei quali i marionettisti, veri artisti, girovaghi come lo erano i cantanti in carne ed ossa, percorrevano il mondo portando assieme ai loro pupazzi, una dotazione di costumi, attrezzerie, scenografie e, come le vere compagnie di canto organizzavano tournée nelle città che avevano gli spazi "giusti". Proprio come a Bologna città nella quale, nell’Ottocento sono solo tre i luoghi autorizzati dalle autorità a proporre a pagamento questo tipo di spettacolo: il Teatro Nosadella, il Teatro San Gregorio e, appunto, il Teatro dell’Antico Corso delle Maschere.

Cartolina con stampa raffigurante Porta Mascarella - 1817, Bologna

Qui, in particolare, sulle scene fornite e allestite da importanti decoratori e pittori locali (come Sangiorgi, Bragaldi, Conti, Fantoni, Madrigali, Ruggi, Fazioli, Dall’Aglio, Zanolini, Palazzi, Bruwer e Albe), il primo spettacolo viene programmato nella primavera del 1832 e realizzato dal marionettista Antonio Grandi.

 

Nell’occasione si rappresenta “colle marionette all’uso di Napoli” la farsa La nuova pianella perduta fra la neve, con musica di Carlo Cappelletti, alla quale è associato il ballo La scimmia perduta, che, come scrive il periodico «Teatri Arti e Letteratura» “è arricchito di personaggi, scenari, macchinismo e vestiario, non che diretto da valente artista con l’orchestra completa di tutti i professori”.

 

Nel 1835 è lo stesso periodico ad esprimere ammirazione sia per il luogo, dove “l’illuminazione è completa e ben disposta, cominciando dall’ingresso sino all’interno del teatro”, sia per la programmazione, nella quale ogni spettacolo è annunciato da “una sinfonia, susseguita sempre da nuovi concerti scelti, eseguita da valenti giovani, che starebbe bene in altro teatro di gran lunga più grande dell’attuale”.

 

Proprio in quell’anno, grande successo riscuote la pièce Caterina di Colunga, “un ballo magnifico e grandioso, in perfetto costume russo con oltre cento figure che agiscono, e due meccaniche figure agenti senza filo, una della Moletta e l’altra destinata ad invitare”. E addirittura, oltre al ballo, fa furore la Norma di Bellini, “spettacolo non mai rappresentato colle marionette”.

 

Per riempire la programmazione non mancano nemmeno i più vari intrattenimenti, realizzati con quella che i periodici definiscono “arte meccanica” come, ad esempio, “una nuova macchina di fantasmagoria, adorna di figure che sembrano aggirarsi per teatro”, che cantano arie e realizzano balli popolari e dove tutti coloro che contribuiscono al successo dello spettacolo, realizzato con precisione ed eleganza, oltre che senza risparmio di mezzi, ottengono calorosi applausi.

 

Purtroppo però, nonostante il concorso di pubblico, la bravura di tutti e il successo ininterrotto, il teatro ha vita brevissima e chiuderà definitivamente i battenti proprio dopo quella storica rappresentazione nel carnevale del 1836.

 

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