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Sentirsi liberi

Disintossicarsi dalla dipendenza da performance per evitare nuovi malesseri
Giacomo Prati

In quest’epoca gli individui hanno sempre più la percezione che il tempo stia loro sfuggendo e che sia troppo breve. Sembra che il tempo sia diventato una materia prima da consumare e che stia divenendo una risorsa sempre più rara e preziosa. Emerge così un’umanità che va di corsa e che il sociologo Hartmut Rosa definisce come una «società dell’accelerazione».

 

Secondo il filosofo Han la percezione di questa fugacità della vita porta a una reazione di iperattività e di performance accompagnate da un’isteria della produttività. È ciò che l’autore definisce come «società della prestazione», nella quale vi è la continua necessità di accumulare performance. La prestazione diventa la risposta all’accelerazione e, a sua volta, la alimenta.

 

La società della performance premia, in tal modo, solo chi eccelle e penalizza chi parte da situazioni di svantaggio, ad esempio chi ha difficoltà psicofisiche o socioeconomiche.

 

Si manifesta così la paura dell’inadeguatezza, di non essere abbastanza performanti, il timore di non essere capaci di acquisire la forma e l’immagine desiderata dalla società, dal mercato e dalle imprese.

 

Performaholism: la dipendenza da performance

 

La continua focalizzazione sulla produzione di performance non è una caratteristica relegata al mondo del lavoro. Oggi si riempie anche il tempo “libero” con continue prestazioni, magari da mostrare sui social o sulle chat, oppure per monetizzarle.

 

Nel mio ultimo libro “Io, performer. Siamo dipendenti da performance?”, edito da Guerini e Associati, evidenzio proprio come in questa società si vuole essere performer in ogni momento: si dedica tempo per essere più attraenti, si vuole dimostrare di essere produttivi e si realizzano costantemente nuovi progetti che non appagano mai completamente. Ciò genera una nuova patologia: il performaholism, ovvero la dipendenza da performance.

Fotografia copertina “Io, performer. Siamo dipendenti da performance?”  - Giacomo Prati. Editore Guerini, Milano (2024)

Per una nuova cultura della performance

 

La prestazione può certamente fungere da strumento di soddisfazione e apprendimento, ma essa deve inserirsi all’interno in una nuova cultura della performance che guardi alla sostenibilità.

 

Una società sempre più competitiva, individualista e poco cooperativa genera disuguaglianze tra coloro che partono in situazione di vantaggio e chi, invece, si muove tra vite precarie.

 

In uno scenario caratterizzato dall’esaltazione del successo e del risultato, coloro che hanno limiti psicofisici più evidenti o che richiedono la risposta a esigenze specifiche, rischiano di essere tagliati fuori o di subire una pressione sociale troppo forte. Ciò va ad evidenziare le loro criticità invece di valorizzare le qualità personali che hanno a disposizione ed i traguardi personali raggiunti.

 

Un individuo costretto a rincorrere standard sempre più elevati e di “perfezione” va incontro a nuovi malesseri. È necessario un processo di disintossicazione e trovare nuove strategie, sviluppando una coscienza sociale maggiormente attenta ad un benessere che guardi più al percorso del singolo e della collettività che alla mera celebrazione del successo.

 

https://www.guerini.it/index.php/prodotto/io-performer/

 

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